domenica 6 dicembre 2009

Tirana, Bucarest Tunisi. Call center italiano diventa «off shore»

Call center off shore. È il termine tecnico per definire la campagna di colonizzazione delle aziende di call center, che si stanno spostando dove il costo del lavoro è più basso. Un risiko telefonico che ha come obiettivo la conquista di Paesi come Romania, Tunisia, Albania, Turchia e Argentina. Il tutto a discapito di chi fa questo lavoro in Italia. Telecom, Vodafone, Wind, H3g, British Telecom, Fastweb, Sky, più in generale le aziende che rispondono alle telefonate dei clienti di questi grandi operatori, o lavorano già oltrefrontiera o hanno avviato i colloqui per selezionare personale che parli italiano.

Il dossier

Che ci fosse un flusso migratorio verso lidi dove l’operatore in cuffietta lavora per pochi soldi era nell’aria. Ora però è la Slc/Cgil a raccogliere il fenomeno in un rapporto dettagliato, curato dai delegati sindacali delle aziende di Tlc italiane. E non solo, visto che a dargli una mano ci hanno pensato anche - là dove presenti - i colleghi stranieri. Domani la Romania sarà chiamata al ballottaggio per l’elezione del prossimo presidente (sfida tra l’uscente Basescu e Mircea Geoana), nel frattempo è già stata eletta dalla aziende di call center miglior lido in cui mettere radici. Dal dossier Slc-Cgil emerge che tutti i grossi operatori di Tlc hanno qualcuno che lavora per loro tra Bucarest e dintorni. Wind, ad esempio. Il gruppo dell’egiziano Sawiris ha annunciato tre o quattrocento posti di lavoro tra la Romania e l’Albania. Non saranno i soli. H3G. La società lavora già circa la metà delle chiamate tra Tirana, Bucarest e Tunisi, con 400 operatori. E starebbe pensando di svilupparsi anche in Argentina. British Telecom. Almeno cento gli operatori che rispondono per conto della Tlc made in Uk, tra Romania e Albania. Vodafone/Tele2. Tramite i principali fornitori, che - segnala il sindacato - sono Comdata, Comdata Care, E-Care e Transcom, lavora già in Romania con 300 persone e starebbe sbarcando anche in Albania. Un Paese dove è presente Sky, con 300 dipendenti. E mentre Fastweb ha diverse attività in subappalto tra Albania e Romania, il marchio Telecom Italia sembra proiettato alla conquista di questo nuovo mondo: Slc-Cgil, stima 600 lavoratori pronti a rispondere per conto dell’ex monopolista tra Tunisia, Albania, Romania, Turchia e Argentina. L’azienda, interpellata, risponde: «Telecom non delocalizza. Se lo fanno, sono i nostri fornitori».

Ad ogni modo, questo flusso migratorio - avverte il sindacato che ha lanciato una campagna contro le delocalizzazioni - metterà a rischio nel 2010 4mila posti di lavoro. «Andare all’estero è una scelta sbagliata - dice il segretario nazionale Alessandro Genovesi - per la scarsa qualità del servizio e l’incongruente rapporto costi/benefici. Le delocalizzazioni riducono l’occupazione in Italia e stressano la parte finale della filiera, favorendo gare d’appalto al massimo ribasso. Il tutto - conclude - non è in linea con le direttive dell’Agcom, che chiede trasparenza». Per questo il sindacato propone «una moratoria contro le delocalizzazioni» e un «avviso comune» che recepisca clausole sociali chiare per l’assegnazione degli appalti, a tutela di occupazione e salari. Al problema però non sembra insensibile neanche l’impresa. Umberto Costamagna, presidente di Assocontact, i call center riuniti in Confindustria, risponde: «Delocalizzare vuol dire perdere qualità. Anch’io anni fa sono andato all’estero con la mia azienda ma sono tornato. In un momento di crisi, tuttavia, capisco che possa sembrare una soluzione. Le nostre imprese soffrono: hanno bisogno di molto personale e sono schiacciate dall’Irap.

Autore: GIUSEPPE VESPO
Fonte: L'Unità

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