domenica 28 febbraio 2010

"Giudizio universale”....Call center, addio Italia

L’altra faccia delle vicende Eutelia e Phonemedia: le grandi aziende chiudono in Italia e aprono all'estero. Così, nonostante la crisi, i gestori di telecomunicazioni aumentano i fatturati. Per dipendenti e utenti, però, nessun guadagno

Chiamano dall'altra parte dell'Adriatico per proporre in un italiano stentato tariffe telefoniche agevolate. Si presentano come Antonio o Giovanni, ma in realtà bastano poche frasi per comprendere che quel ritornello lo hanno imparato a pappagallo e che sulla loro carta di identità alla voce “nato a” figurano piccoli e grandi cittadine di paesi come l'Albania e la Romania, dove il costo del lavoro è pari circa ad un quarto di quello italiano. Nelle aziende telefonano in orario di ufficio, nelle abitazioni ad ora di pranzo o di cena. Si qualificano come operatori delle grandi compagnie nazionali, ma la cornetta la alzano da Tirana, Bucarest o Tunisi.

È in questi mercati del lavoro low cost, infatti, che grandi gestori delle telecomunicazioni stanno progressivamente sbarcando, con una sempre meno silenziosa politica di esternalizzazioni e delocalizzazioni. In pratica, buona parte delle attività che fino all'altro ieri erano svolte nei call center nostrani (contratti commerciali, pratiche amministrative, mero telemarketing) vengono affidate ad imprese di outsourcing italiane e poi, tramite subappalto delle stesse, verso aziende già operanti in Romania, Albania, Tunisia, Turchia, persino Sud America.

Il processo è iniziato da mesi in modo sotterraneo, con un capillare battage di annunci di lavoro pubblicati dalle aziende sui quotidiani dei paesi cosiddetti emergenti. Mentre in Italia vive in sordina, con le compagnie telefoniche che tacciono, e solo i sindacati e le associazioni dei consumatori – tempestate dalle segnalazioni di molti cittadini infastiditi dall'invadenza di questo meticcio telemarketing – impegnati a contrastarlo.

Lo scandalo delle “scatole vuote” rimbalzato sulle cronache con le cessioni dei call center di Eutelia ed Agile, insomma, è solo la punta dell'iceberg. La reazione a catena che verrà scatenandosi nei prossimi mesi resta ancora sotto traccia come in una sorta di Giano bifronte: da una parte il progressivo svuotamento dei call center italiani con migliaia di posti di lavoro a rischio, dall'altra il continuo avvio di nuove postazioni nelle aree dell'Europa orientale, africane o sudamericane dove nascono, seppur prive di tutte le minime tutele sindacali, nuove opportunità di lavoro per centinaia e centinaia di giovani.

A formare le nuove leve con missioni in loco, indovinate un po', gli italiani altamente specializzati che paradossalmente rischiano di perdere il posto. A dispetto delle norme (la delibera 79/2009) appena stilate dall'Agcom, l'autorità garante per la comunicazione, che imporrebbero alle imprese delle telecomunicazioni maggiore trasparenza nella gestione e nello sviluppo delle licenze, e più attenzione nella qualità dei servizi erogati ai consumatori, la deregulation è ormai sfrenata.

Per questo motivo la Slc-Cgil e la Federconsumatori, sguinzagliando i propri delegati nelle diverse compagnie telefoniche e incontrando i “formatori” che le società mandano nei nuovi mercati, hanno dato vita ad un vero e proprio lavoro investigativo da cui emerge che il settore sta vivendo di fatto su una bomba ad orologeria la cui miccia è data dalla corsa all'abbattimento dei costi. Se Federconsumatori è allarmata soprattutto per la perdita di qualità dei servizi e per la violazione della privacy degli utenti, la Cgil ha davanti a sé lo spettro di quella che rischia di diventare una nuova ondata di licenziamenti. Per questo motivo ha avviato una campagna nazionale, che però non trova molta eco sulla stampa, con cui chiede la moratoria di tutte le delocalizzazioni del settore, in particolare delle attività di customer care e di back office.

Il segretario nazionale Slc-Cgil, Alessandro Genovesi, parla di 4mila posti a rischio in Italia e, anche se le loro strategie di mercato sulla carta non hanno nulla di illegale, mette sul banco degli imputati per comportamenti poco trasparenti le grandi compagnie telefoniche nazionali: da Telecom a Vodafone, passando per Wind, H3G, Fastweb, Bt Italia e Sky che, tramite esternalizzate come Comdata, Almaviva Teleperformance o E-care (che a loro volta si affidano a piccole società all'estero), creano una rete di matrioske in cui è difficile distinguere responsabilità e catena di comando. Le motivazioni? “Aumentare gli attuali profitti a vantaggio degli azionisti, come risposta ad un calo dei guadagni”. Con un piccolo grande nonsense: il settore continua, nonostante la crisi che tenta di cavalcare, a generare profitti e liquidità (+1% di fatturato nel 2009).

A chi vive questi nuovi operatori dall'accento straniero come inopportuni molestatori, sciacalli della privacy e “ladri” di numeri di telefono non liberamente concessi, ci sentiamo di dare dunque un consiglio: munitevi di dizionario. E cercate alle voci “dumping”, “outsourcing” e “delocalizzazione”. I termini sono da globalizzazione cattiva (proprio come il colesterolo), ma dietro pulsano vite reali: dipendenti italiani che nella migliore delle ipotesi verranno ceduti a società esterne e, nella peggiore, prima sfiniti con contratti di solidarietà, cassa integrazione e mobilità incentivata, poi licenziati per essere rimpiazzati da nuovi “schiavi” del profitto dotati di microfono e cuffiette ed educati prima alla gentilezza e poi all'insistenza per un minimo premio di produzione.
Per dirla con Rita Battaglia, vice presidente di Federconsumatori, “una nuova guerra fra poveri è scoppiata”. Però, è l’amara profezia, non ci saranno vincitori, ma solo perdenti.

Articolo tratto da http://www.giudiziouniversale.it
Titolo originale: Call center, paradisi telefonici
di Alessandra Testa
Fonte: http://www.rassegna.it


mercoledì 24 febbraio 2010

Phonemedia, sì al primo commissario; il tribunale dà ragione ai lavoratori


La protesta dei dipendenti Phonemedia Raf
Azienda commissariata, beni e liquidità congelati, l'amministratore escluso da qualsiasi attività di gestione. Il tribunale di Novara - presidente Quatraro, giudice delegato Filice - ha accolto le istanze dei lavoratori di Phonemedia e a 48 ore dall'udienza sull'istanza di insolvenza ha emesso un verdetto che dà qualche speranza ai settemila dipendenti dell'ex colosso dei call center passato nelle mani del gruppo Omega.

Il tribunale ha disposto il commissariamento della società Raf - ramo di Phonemedia da cui dipendono direttamente i contact center di Novara, Trino Vercellese, Gaglianico (Biella) e Monza - , il sequestro dell'azienda con il congelamento di tutti i crediti e le disponibilità liquide e il blocco di ogni attività societaria. I giudici novaresi hanno quindi nominato un custode-amministratore giudiziario al quale sono affidati tutti i poteri, ordinari e straordinari, per la gestione e l'esercizio dell'impresa, a partire dall'attivazione urgente delle pratiche per ottenere la cassa integrazione straordinaria per i dipendenti di Raf spa. Al contempo, i giudici hanno decretato la sospensione dell'amministratore Claudio Marcello Massa da ogni attività inerente la società, dedicando molto spazio alle esigenze cautelari che hanno portato all'immediata estromissione degli amministratori dalla gestione dell'azienda.

"La sentenza non fa che confermare la giustezza dell'impostazione nazionale della vertenza - commenta in una nota la segreteria nazionale della Slc-Cgil - rendendo, finalmente, giustizia ai lavoratori della RAF e, presto a quelli, di tutto il gruppo Phonemedia. Con questa sentenza si è definitivamente dimostrata l'inaffidabilità della proprietà palesando, se ancora ce ne fosse bisogno, la strumentalità delle azioni effettuate sino ad oggi dal gruppo Omega comprese le raffazzonate e tardive richieste di apertura di ammortizzatori sociali e la strumentale dichiarata volontà di predisporre un concordato".

La Cgil-Slc confida che nel fatto che la sentenza di Novara venga presto seguita da provvedimenti identici nei confronti delle altre controllate Phonemedia-Omega per le quali sono state presentate identiche istanze di commissariamento. A doversi pronunciare sono infatti ancora i tribunali di Pistoia e Vibo Valentia. Nel primo caso, Omega sta trattando una cessione del call center Answers con la formula dell'affitto di ramo d'azienda alla Call & call. Nel secondo caso, il verdetto del tribunale di Vibo deciderà sulla Multi media planet, controllata Phonemedia-Omega che gestisce i call center di Bitritto (Bari) e Trapani. Tutte le istanze di insolvenza sono state presentate perché l'azienda non ha più pagato gli stipendi dal mese di settembre.

A Catanzaro, la sentenza novarese è stata "festeggiata" da un centinaio di lavoratori del call center Multivoice a un incontro con il sindaco Rosario Olivo, il quale ha espresso soddisfazione e assicurato il sostegno del Comune anche nel prosieguo della vertenza.

di SALVATORE MANNIRONI
Fonte: http://www.repubblica.it


martedì 23 febbraio 2010

Comunicato Segreteria nazionale Slc Cgil (23.02.2010)

CALL CENTER: AVVIATO TAVOLO DI SETTORE.
PER SLC-CGIL SERVONO FATTI CONCRETI IN TEMPI BREVI

Venerdì 19 febbraio si è svolto il primo incontro del tavolo nazionale sui call center presso il Ministero dello sviluppo Economico. Al tavolo, richiesto espressamente al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, On. Letta, dalle OO.SS durante l’ultimo incontro a Palazzo Chigi sulla crisi del gruppo Omega (vertenze Phonemedia\Agile), hanno partecipato le Segreterie Nazionali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UILCOM-UIL, i rappresentanti dei Ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Assocontact, Confindustria e Regione Calabria.
Dopo il processo di stabilizzazione, con la conseguente normalizzazione delle condizioni di lavoro del settore, il mondo dei call center sta affrontando ora un processo di ristrutturazione molto profondo, in parte causato da crisi aziendali specifiche, in parte da debolezze strutturali intrinseche al settore.
Nell’illustrare il quadro della situazione le OO.SS. hanno posto l’attenzione su alcuni punti in particolare, sottolineando, in particolare come SLC-CGIL, l’importanza che il tavolo produca risultati in tempi brevi e possa essere un utile accompagnamento a risolvere casi aperti come quelli di Omnia, Phonemedia (pur nel rispetto del tavolo specifico presso la Presidenza del Consiglio), Ratio Consulta, ecc.
Per quanto riguarda la tenuta complessiva del settore, l’auspicio delle OO.SS è che il tavolo congiunto possa verificare le disponibilità delle Istituzioni ad interventi che possano ridare strumenti di supporto alle imprese del settore. Strumenti che potranno essere di natura fiscale o sotto forma di incentivi. In particolare come SLC-CGIL abbiamo chiesto ai rappresentanti ministeriali di verificare l’opportunità di dedicare parte dei fondi destinati al rilancio dell’economia a quelle aziende che, nel rilevare commesse da imprese in crisi, si facciano carico dell’occupazione dei lavoratori (di fatto un’agevolazione all’applicazione di clausole sociali).
Un altro elemento di forte preoccupazione espresso dal sindacato riguarda l’assenza di forme strutturate di ammortizzazione sociale per il settore. In particolare si è posto l’accento su un elemento nuovo, emerso proprio durante la gestione della crisi dei call center del gruppo Phonemedia: l’inefficacia della legislazione in materia di ammortizzatori nel caso di “scomparsa” della proprietà. La drammatica condizione delle migliaia di lavoratori Phonemedia ha evidenziato il rischio che si possano venire a creare situazioni di stallo legislativo nel quale, in assenza di una azienda che attivi la richiesta di ammortizzatori, diventa molto complicato portare concreti sostegni al reddito ai lavoratori. Auspicio del Sindacato è che il tavolo ministeriale possa affrontare il tema degli ammortizzatori provando a superare l’attuale contraddizione per la quale, oggi, alcuni call center possono accedere alla Cassa Integrazione perché iscritti all’INPS sotto la categoria “industria”, mentre la stragrande maggioranza, essendo iscritta come “servizi”, può contare solo sugli strumenti in deroga (con le difficoltà e le lungaggini dell’erogazione della CIG che lo strumento della deroga comporta).
Sempre riguardo la tenuta del settore, si è posta l’attenzione sull’urgenza di far ripartire l’attività ispettiva, anche in relazione all’annunciato rilancio degli “indici di congruità”. A riguardo è stato richiesto ed ottenuto che, nel prosieguo dei lavori, partecipino anche i responsabili dei servizi ispettivi del Ministero del Lavoro.
Altro punto sul quale il tavolo dovrà provare a rimettere in moto un percorso di confronto è quello fra la domanda e l’offerta, ovvero fra gli outsourcer e i committenti (compresi quelli pubblici e partecipati dal Ministero delle Finanze). E’ interesse di tutti i soggetti interessati che la competizione avvenga sempre più sulla qualità e sempre meno su politiche ribassiste. Perché ciò avvenga è indispensabile il coinvolgimento dei committenti, a cominciare da quelli pubblici o a partecipazione pubblica.
L’incontro è terminato con la determinazione, da parte di tutti i partecipanti, a dare un ritmo serrato ai lavori del tavolo, dividendo i prossimi incontri sulle seguenti tematiche:
1) Orientamento della domanda (committenti)
2) Qualificazione dell’offerta (rapporto tecnologia\lavoro, qualità)
3) Fiscalità
4) Quadro legislativo (ammortizzatori sociali, politiche ispettive).

Come SLC-CGIL abbiamo chiesto che gli incontri siano fissati rapidamente per produrre orientamenti – ci auguriamo condivisi – da tradurre in interventi rapidi. Sarà nostra cura tenere le lavoratrici ed i lavoratori informati su tutte le evoluzioni del confronto.

Roma 23 Febbraio 2010
La Segreteria Nazionale di SLC-CGIL


martedì 16 febbraio 2010

Fisco: CGIL, al via mobilitazione 'Per un fisco giusto' fino a sciopero 12 marzo



CGIL, in Italia si paga una tassa in più: quella sull'evasione. Sono circa 3mila euro l'anno che ogni contribuente onesto paga in più del dovuto
È partita oggi dalle Marche l’iniziativa della CGIL ‘Per un fisco giusto’. Da oggi e per le prossime settimane, fino allo sciopero generale del 12 marzo, l’organizzazione sindacale porterà in giro per l’Italia le sue proposte di riforma fiscale e sulle quali il sindacato ha aperto una vertenza con il governo per realizzare un sistema all’insegna di un fisco più giusto.

In sintesi, la confederazione di Corso d’Italia propone la riduzione della pressione fiscale sul lavoro dipendente e sui pensionati, con un bonus di circa 500 euro da erogare entro la primavera e poi strutturalmente con 100 euro medi mensili di riduzione del prelievo fiscale per i prossimi 3 anni, insieme alla riduzione della prima aliquota Irpef dal 23% al 20%. “Senza squilibrare i conti pubblici - ha affermato il segretario confederale della CGIL, Agostino Megale, nel presentare la campagna - si può istituire un sistema fiscale che rilanci progressività ed equità come fattori di coesione sociale, di crescita e di sviluppo economico, attraverso una maggiore tassazione delle rendite, delle transazioni finanziarie internazionali e delle ‘grandi ricchezze’”.

Il dirigente sindacale ha, inoltre, messo in rilievo come sia “ormai passato oltre un mese da quando è stata inviata formalmente al governo la richiesta di aprire un tavolo ma non ci è ancora giunta alcuna risposta”. Per questo, osserva il dirigente sindacale, “si rafforzano ulteriormente le ragioni del nostro sciopero generale, in programma il prossimo 12 marzo, affinché il governo si renda conto che la ragione principale della bassa crescita della nostra economia risieda nella totale assenza di qualsiasi progetto di politica industriale, di sostegno all’occupazione e di riforma fiscale”. Su quest’ultimo punto la CGIL ha anche avviato una campagna di comunicazione ‘Più evadono, più paghi’ all'insegna di un fisco giusto con un messaggio chiaro: “In Italia - ha concluso Megale - si paga una tassa in più: quella sull'evasione. Sono circa 3mila euro l'anno che ogni contribuente onesto paga in più del dovuto”.




lunedì 8 febbraio 2010

Così i call center rischiano il crac

Incentivi in scadenza, migliaia di posti in bilico. La Cgil: «E' una bomba che sta per scoppiare».
Phonemedia, Omnia Network. Sono i campi di battaglia, le trincee che si sgretolano di un modello di lavoro, quello dei call center, che da simbolo dell’esasperazione dello sfruttamento, unico sbocco per disoccupati e «bamboccioni» in fuga forzata dalla famiglia, aveva anche saputo alzare la testa e cercare di diventare «lavoro vero». Sotto i colpi della crisi, dei cambi di proprietà, degli appalti al ribasso spinto, ora queste due aziende si sono dissolte, lasciando a terra oltre 10 mila persone. A Trino Vercellese, Novara, Ivrea. A Palermo, Catanzaro, Bari, Napoli, Milano, Cagliari. Stipendi non pagati da mesi, sedi chiuse per sfratto, dipendenti nell’assurda situazione di non potersi nemmeno licenziare, perché la mancata retribuzione non è ritenuta dall’impresa ipotesi di «giusta causa». Oppure, perché non possono mostrare a un giudice il cedolino dello stipendio.

Sono in atto vertenze in tutt’Italia. Proteste, occupazioni, manifestazioni. Per Phonemedia i sindacati hanno presentato istanza d’insolvenza al tribunale di Novara, e richiesta di commissariamento. Per Omnia Network, a Milano, c’è un’istanza di fallimento avanzata da alcuni creditori. Le due aziende hanno richiesto, nelle ultime ore, la cassa integrazione. In deroga, a rotazione. Ma i sindacati non ci stanno. «Siamo arrivati a un punto di non ritorno per i call center», dice Emilio Miceli, segretario generale di Slc-Cgil. «O si punta a trasformarlo davvero in un’industria, oppure si precipita nell’abisso». Perché Phonemedia e Omnia Network sono soltanto i casi più macroscopici. Nell’ombra, navigano gli altri. «Cooperative non riconosciute, sottoscala dove si continua a sottopagare gli operatori, se va bene con contratti a progetto. Ma in alcuni casi non li pagano proprio. Anzi, addirittura li derubano: non versano i contributi all’Inps, non effettuano i versamenti per l’assistenza sanitaria, s’impossessano del quinto dello stipendio» dice Renato Rabellino, segretario di Slc-Cgil Piemonte.

Una giungla. Che travolge tutto e tutti, anche quelle aziende - perché ci sono anche queste - virtuose. Che assumono con contratti regolari, che offrono servizi di alto livello. Che hanno per committenti multinazionali, grandi aziende, banche. Su cinquanta-sessanta marchi presenti sul mercato italiano, per un totale di almeno 50 mila addetti calcolano i sindacati, quelli virtuosi sono una quindicina. Tra questi, un leader da 180 milioni di fatturato, due o tre gruppi da 50 milioni, altrettanti sui 30 milioni, poi i più piccoli, destinati a uscire da un mercato sempre più difficile. «Abbiamo tre ordini di problemi da risolvere» dice ancora Miceli. «C’è quello dei riders, gli imprenditori che si sono gettati nel business in tempi più floridi, mettendo su call center per guadagnare in tempi brevi e a scopi speculativi. Non hanno puntato sulla qualità, e al momento della contrazione del mercato sono saltati. Non prima di aver rastrellato tutto il denaro possibile ed essersi lasciati dietro le spalle migliaia di posti di lavoro in dissoluzione».

Poi, c’è la crisi del settore. «Cala la domanda, calano gli ordini, cala il valore delle commesse». Gli appalti sono tirati al ribasso, le grandi concessionarie spingono i fornitori a puntare sull’estero, a delocalizzare per abbassare i costi. «Su questo fronte è meno peggio che in altri comparti, perché l’italiano non è parlato ovunque, ed è ancora un valore aggiunto» spiega Miceli. «Sì, però anche i gruppi italiani, come ad esempio Telecom, dovrebbero rifiutarsi di veder finire i call center in Tunisia», denuncia Rabellino.

Infine, la questione della stabilizzazione dei posti di lavoro. Nel 2006 la «circolare Damiano» ha stabilito anche per le Tlc, anche per i call center (inbound), il divieto dei contratti a progetto. Lo Stato ha introdotto incentivi, sgravi contributivi per le aziende che trasformavano queste posizioni in contratti a tempo indeterminato. Sgravi pieni al Sud. Si spiega così perché sono sorti come funghi call center nel Mezzogiorno. «Abbiamo stabilizzato 25 mila posizioni», dice Miceli. Ma adesso la festa è finita. «Gli incentivi sono in scadenza». Che succederà, se non saranno prorogati, a Catanzaro, Bari, Cagliari, Palermo? «Ci sono città che sono bombe sociali pronte a scoppiare. E non solo nel Sud. A Ivrea, ad esempio, che rischia di diventare una Sheffield» avverte Miceli.

Ecco il punto di non ritorno. Il bivio. I sindacati hanno convinto il governo ad aprire un «tavolo dei call center». Il 12 febbraio, la prima riunione presso il ministero dello Sviluppo economico. Il 22 la seconda. «Chiediamo una proroga degli sgravi contribuitivi», dice Miceli. I riders finirebbero espulsi dal mercato, le aziende virtuose avrebbero interesse a farsi carico dei «cocci» lasciati da questi ultimi, altri lavoratori senza futuro potrebbero, per la prima volta, ambire ad un contratto serio. A un lavoro vero.

di Fabio Pozzo
Fonte: http://www.lastampa.it

sabato 6 febbraio 2010

XVI Congresso Slc Cgil: Assemblea congressuale

ASSEMBLEA SLC-CGIL
IN OCCASIONE DEL XVI° CONGRESSO CGIL SI INDICONO LE ASSEMBLEE CONGRESSUALI CON ORDINE DEL GIORNO:

XVI° CONGRESSO CGIL
VOTAZIONE RISERVATA AGLI ISCRITTI DEI DOCUMENTI CONGRESSUALI - DEI DELEGATI AL CONGRESSO - DEL COMITATO DEGLI ISCRITTI

08 FEBBRAIO
10.00-11.30
12.00-13.30
16.00-17.30
17.30-19.00
SEDE VIA LAMARO

09 FEBBRAIO
11.00/12.30
15.30/17.00
SEDE CASAL BOCCONE

Sostengono la prima mozione "I diritti e il lavoro oltre la crisi":
Pompeo Scopino
Norma Coccia
Alessandro Spinedi
Furgiuele Gian Paolo
Agostini Emanuela
Agnese Topa
Pasquale Mazzitello
Valentina Tropeano
Bartolomeo Bull

Sostengono la seconda mozione: "La Cgil che vogliamo":
Cosimi Barbara
Montesi Massimiliano
Coco Piero
Moretti Ilaria
Iaccarino Stefania
Amodio Gaetano
Pani Marcello
Taddei Fabio
Marotta Giuseppe
Sbardella Barbara
Lo Russo Mariolina
Montalto Elisabetta


LA SEGRETERIA TERRITORIALE
SLC-CGIL ROMA SUD



venerdì 5 febbraio 2010

Gli "okkupati" di Phonemedia, da 130 giorni senza stipendio

La protesta degli operatori del colosso nel settore dei call center con l'incubo del fallimento. Coinvolti Sette mila lavoratori, da Catanzaro a Novara
MILANO - Sette mila lavoratori, da Catanzaro a Novara, senza stipendio da quattro mesi. Sono gli operatori di Phonemedia, azienda fondata nel 2002 da Fabrizio Cazzago e diventata nel giro di pochi anni un colosso nel settore dei call center, almeno così sembrava: clienti come Telecom, Enel, Vodafone, Avon, Seat ma anche Regioni, Asl e Comuni. Tutto pare andare per il meglio, tanto che l'azienda arriva ad aprire succursali fino in Argentina e in Albania; ma a fine 2008, complice la crisi economica, qualcosa cambia: gli stipendi iniziano a essere pagati in due tranche, Cazzago si sfila e a luglio 2009 cede Phonemedia nelle mani di Omega Spa, già nota per altre acquisizioni come quella di Agile, finita con un migliaio di licenziamenti.

LA PROTESTA - Non basta: i lavoratori denunciano ritardi nel pagamento dei contributi, il mancato versamento del Tfr e, da settembre 2009, cominciano a non ricevere più un euro. Il lavoro c'è, le commesse non mancano, eppure nessuno li paga e allora inizia la protesta: i dipendenti occupano con le brande le sedi di lavoro. A Novara l'occupazione dura ormai da più di due mesi. Per gli operatori niente mobilità e, finora, niente cassa integrazione nonostante - notizia delle ultime ore - Omega, dopo la richiesta di insolvenza avanzata dai sindacati, abbia dato la propria disponibilità a discutere la cig a livello regionale: un 'ipotesi che allarma ancora di più i lavoratori, perché avvicinerebbe una possibile istanza di fallimento.


G. Alari e G. Gaetano
Fonte: http://www.corriere.it