sabato 30 agosto 2008

Clandestini nel suo capannone: nei guai un assessore leghista

Predicano bene, ma razzolano molto male. I leghisti urlano contro l'immigrazione clandestina e nel frattempo sfruttano gli stessi immigrati per arricchirsi.
Faceva così anche Roberto Zanetti, assessore della Lega alle Attività produttive e presidente degli artigiani di Cartigliano, comune in provincia di Vicenza. Nel capannone di sua proprietà la Guardia di Finanza di Bassano del Grappa ha scoperto un laboratorio di confezionamento di abbigliamento con nove cinesi costretti a lavorare in condizioni pietose.
L'assessore adesso cerca di difendersi dicendosi sconcertato. «Questa storia mi toglie 10 anni di vita, io non ne sapevo niente».
Dopo aver effettuato una serie di controlli nei giorni precedenti, i finanzieri della Compagnia di Bassano sono entrati in azione all'una di notte di mercoledì. Nell'immobile c'erano 9 asiatici. A finire in manette sono state la donna cinese che gestiva il laboratorio, immigrata regolarmente in Italia, e due operai sui quali pendeva già un provvedimento di espulsione, arrestati per violazione della legge (pensa un po') Bossi-Fini. Tre erano regolari, di altri tre non avevano documenti.
Gli operai lavoravano giorno e notte in mezzo a puzza e rumore. Ma nel capannone erano completamente segregati dormendo in due stanzette nascoste dietro un armadio con un solo e lurido wc. Gli otto vivevano come schiavi: lavoravano tutta la notte, non uscivano mai. La "direttrice", almeno, aveva una camera tutta per sè.
«Quando siamo arrivati hanno iniziato a correre e a gridare, ma la cosa che ci ha colpito di più - spiega il capitano Danilo Toma della compagnia di Bassano del Grappa - è stato il doppio fondo che abbiamo trovato su un muro. Da una botola si accedeva alle stanze, di cui una piccolissima, pochi metri quadri con i letti ammassati e un puzzo incredibile».
Per quanto riguarda la posizione dell'assessore, il capitano spiega: «Come il fratello, al momento non è indagato, anche perché il contratto di affitto era regolare». Difficile però credere che la famiglia Zanetti non fosse al corrente di cosa stesse accadendo nel capannone. «La casa dei Zanetti dista poche centinaia di metri», osserva il capitano. In più, non è la prima volta che nel profondo Nord est leghista vengono scoperti laboratori clandestini: «Di casi simili anche in zona ne abbiamo scoperti parecchi», ricorda il capitano.
Zanetti da parte sua cerca di difendesi. «La cinese titolare - spiega Roberto Zanetti - era venuta da noi la scorsa primavera; era stata costretta ad abbandonare la precedente sede, ne cercava un'altra e aveva saputo del nostro capannone. Era iscritta alla Camera di Commercio e, a quanto ci constava, i suoi dipendenti erano a posto con il permesso di soggiorno. Insomma, sembrava tutto in regola e abbiamo perfezionato la locazione, alla luce del sole».
Peccato che "alla luce del sole" però non lavorassero i cinesi. E Zanetti ne era al corrente. «Parevano invisibili - continua l'assessore vicentino - lavoravano di notte, come formiche, non disturbavano. Cosa combinassero là dentro, non lo sapevamo: avevano messo subito le tende alle finestre e non aprivano a nessuno. Consideravamo l'affitto che ci pagavano una sorta di compensazione: in fondo, è proprio per colpa della Cina che abbiamo cessato la nostra attività originaria».
È rimasto «sorpreso e sconcertato» anche il sindaco leghista di Cartigliano, Germano Racchella, nell'apprendere che il capannone dove è stato scoperto un laboratorio cinese clandestino è di proprietà di un suo assessore. «Una bella mazzata - commenta il primo cittadino - Sono sorpreso più come leghista che come sindaco», dice orgogliosamente. Racchella non ha ancora sentito il suo assessore e collega di partito Roberto Zanetti e non lo farà prima di sera. «Ho convocato una riunione - spiega il sindaco - vedremo cosa uscirà dall'incontro».

Fonte: http://www.unita.it

venerdì 29 agosto 2008

Manifestazione nazionale dei lavoratori dei call center del 19.09.08

Manifestazione nazionale dei lavoratori dei call center del 19.09.08

• A difesa dell’occupazione e per la stabilizzazione di tutti i lavoratori del settore
• Per una crescita di qualità contro il dumping delle imprese che ricorrono a lavoro nero e al lavoro precario
• Per l’applicazione e il rispetto delle circolari del Ministero del Lavoro a partire da quella sul lavoro in outbound
• Per maggiori controlli ispettivi e per dare attuazione ai circa 8 mila verbali che hanno sanzionato l’uso illegittimo di altrettanti contratti a progetto
• Per una maggiore responsabilità dei committenti, che non devono dare commesse a chi non ha lavoratori subordinati e non rispetta il CCNL
• Per introdurre nel settore clausole sociali di tutela occupazionale in caso di cambio di commesse
SLC-CGIL FISTEL-CISL UILCOM-UIL

giovedì 28 agosto 2008

Call center Atesia, adesso i problemi toccano agli interinali

Precari in affitto dall'agenzia «Interim 25», rispondono per la Tim. Ma dopo due mesi non hanno ancora visto un euro.

Vuoi o non vuoi ad Atesia, il call center più grande d'Italia, c'è sempre qualche problema. Dopo l'abbondante stabilizzazione dei precari storici - con luci e ombre, nel corso del 2007 - adesso tocca agli interinali. Presi in affitto attraverso le agenzie Metis, Adecco e Interim 25, ad alcuni capita di lavorare senza venire retribuiti. In particolare, ci occupiamo di quelli della Interim 25, società che ha sede legale a Bari, ma che quest'anno aveva trovato una novantina di persone per l'emergenza estiva attraverso la filiale di Roma. Tutti lavoratori da impiegare al 119 della Tim. I novanta hanno fatto un corso di 15 giorni che avrebbe dovuto essere retribuito intorno ai 300 euro, con relativo attestato finale. Circa la metà di loro ha passato la selezione di fine corso e ha regolarmente preso servizio dal 7 luglio, per un contratto di due mesi: e il primo stipendio sarebbe dovuto arrivare già a inizio agosto. Ma siamo costretti a tutti questi condizionali perché dei soldi non s'è vista traccia e, come se non bastasse, la Interim 25 di Roma dopo alcune telefonate di protesta ha deciso di non rispondere più, lasciando un numero affisso in bacheca: per info contatta la sede di Bari. Noi ieri pomeriggio abbiamo provato ripetutamente a chiamare, sia Roma che Bari, ma non ci ha risposto nessuno.
«Ormai sono quasi due mesi che lavoro ma non ho ricevuto un euro - ci spiega un operatore, che per motivi comprensibili lasciamo nell'anonimato - Siamo esasperati, dobbiamo pagare affitti, bollette, abbiamo problemi persino con la spesa. Abbiamo chiamato decine di volte la Interim 25 ma ormai alla sede di Roma non ci rispondono più. A Bari abbiamo trovato qualcuno che ci ha ascoltato, ma non ci ha dato risposte esaurienti». E così, quasi per un crudele contrappasso, gli addetti al call center hanno dovuto attaccarsi a un altro call center per ottenere il loro salario. Almeno 800 euro per il solo luglio, senza contare le maggiorazioni per domeniche e notti; e gli straordinari: per alcuni sono più di 20 ore. Un po' il fatto che i dipendenti di Atesia sono in ferie, un po' le campagne estive, il lavoro non manca. E anche i 300 euro del corso: per ora nisba. E dire che si è svolto con tutti i crismi nella sede di Atesia, con una formatrice della Tim. Alla faccia, è tutto gratis?
Per il momento, pare di sì, anche se gli operatori annunciano vertenze a raffica: «Noi non ci arrendiamo, non è giusto lavorare e non essere pagati nelle scadenze giuste. E' una questione di correttezza. E poi con cosa viviamo?». Si tratta di contratti da 30 ore settimanali, quasi un full time, e dunque praticamente l'unica fonte di sostentamento per la gran parte dei lavoratori.
A 30 ore settimanali, comunque, arriveranno gradualmente anche i dipendenti di Atesia, grazie a un accordo di giugno: chi ne farà richiesta, potrà passare da 20 (o 25) a 30 ore. Il tutto in 3 anni, i primi 450 operatori già in settembre. Ma nonostante questo, Atesia continua a pescare nelle agenzie interinali. Per tutti, comunque, va ricordato l'appuntamento del prossimo 19 settembre: a Roma si terrà la prima manifestazione nazionale dei call center.
Antonio Sciotto
Fonte: http://www.ilmanifesto.it

Lavoratori in somministrazione Interim 25 presso Atesia

Nei colloqui telefonici intercorsi tra Cgil ed Interim 25 i referenti dell’agenzia hanno motivato il non pagamento delle retribuzioni dei mesi di giugno e luglio con la mancanza di liquidità dovuto al mancato pagamento delle fatture da parte di Atesia.
Siamo stati informati che Interim 25 ha chiesto un incontro al gruppo Almaviva per affrontare la situazione che si sta ripetendo anche per il mese di agosto.
La Cgil indipendentemente dal contenzioso Almaviva Interim 25 ha chiesto che comunque, come da contratto e nei termini di legge, Interim 25 provveda al pagamento delle retribuzioni spettanti.
Contemporaneamente chiederà un incontro urgente con il gruppo Almaviva che, in caso di insolvenza da parte della società somministrante è tenuta a risponderne in solido.
Sarà nostro impegno tenervi aggiornati, costantemente sugli avanzamenti, prevedendo anche eventuali iniziative di lotta.
Invitiamo i lavoratori in somministrazione in Atesia ad eleggere un loro rappresentante (uno ogni 20 lavoratori) che potrà affiancarci e partecipare a tutte le iniziative che metteremo in campo (per disponibilità ed informazione rivolgetevi a Giampiero Modena tel. 3480143653, Pompeo Scopino tel. 3389665816).
Invitiamo tutti i lavoratori di Atesia con qualsiasi forma contrattuale e delle altre agenzie di somministrazione ad esprimere fattiva solidarietà ai colleghi di Interim 25.
Roma 22 agosto 2008
Cgil Roma Sud
Slc-Cgil Roma Sud
Nidil-Cgil Roma Sud
Rsu Slc-Cgil Atesia/Almaviva Contact

Un primo passo……

Finalmente, come sancito dall’accordo siglato tra le OO.SS., le Rsu e l’azienda si stanno eseguendo i primi passaggi a 6 ore. Il numero di lavoratori che dal 1 settembre vedranno un miglioramento delle loro condizioni economiche con l’aumento dell’orario di lavoro, sono, per questa prima tranches, 147 complessivamente tra Atesia e Almaviva C. Appare forse un numero esiguo, ma è al contrario un passaggio importante ed un inizio, per un percorso che dovrà coinvolgere tutti i lavoratori che lo vorranno. Come Slc Cgil ci siamo posti da sempre come obiettivo principale il miglioramento delle condizioni salariali di tutti i lavoratori di Atesia e di Almaviva contact. Abbiamo inoltre ottenuto un ulteriore vittoria, il mantenimento delle fasce orarie anche per chi passerà a 6 ore, a dispetto di chi aveva gia’ dato per scardinato il modello delle fasce orarie.
Come Slc Cgil abbiamo fatto dell’implementazione dell’orario di lavoro e del mantenimento della fascia oraria il fine primario delle nostre battaglie. Abbiamo infatti sempre difeso il diritto acquisito di chi in fase di contrattualizzazione ha ottenuto la fascia oraria, consapevoli che chi è penalizzato economicamente per avere un contratto part-time, debba avere almeno garantito una minore flessibilità oraria.
Certo siamo consapevoli delle molte difficoltà che ancora ci sono in azienda. Siamo coscienti delle notevoli differenze e discriminazioni che sussistono ancora tra i lavoratori: esiste infatti chi da anni ha un contratto part/time a 4 ore e che non passerà in questa prima tranches a 6 ore, esiste chi non ha la fascia, ma ruota su matrici orarie fino alle 24.00 pur essendo part time a 4/5/6 ore, esiste chi si è visto assegnare il turno in fascia serale obbligatoriamente in fase di assunzione, pur avendo un’anzianità di anni da lap in Atesia , e molte altre sono le condizioni di gravità e criticità tra cui anche quelle che vive il personale delle aree di staff.
Non pensiamo come Rsu Slc Cgil di avere risolto ogni problema, al contrario crediamo che il percorso sia ancora lungo e difficoltoso. Ci assumiamo (come già abbiamo fatto in passato) l’onere e il compito di sanare tutte queste differenze, in modo tale che non ci siano più lavoratori che si sentano discriminati.
Con gli accordi sottoscritti abbiamo ottenuto:
• i passaggi di livello inquadramentale (passaggi che hanno poi coinvolto naturalmente anche i team leader)
• l’estensione oraria
• il mantenimento della fascia oraria
• la pausa pranzo retribuita per il personale full time (operatori e team leader) e per coloro che svolgono lavoro supplementare/straordinario fino alle 8 ore giornaliere,
• il premio di risultato.
Noi Rsu Slc Cgil abbiamo sempre creduto in tutto questo e continueremo a lottare invitando i lavoratori a seguirci per il miglioramento delle condizioni salariali e di vivibilità di tutti.
RSU SLC CGIL ATESIA/ALMAVIVA C.

mercoledì 27 agosto 2008

Comunicato Tim out 19.08.08

Nella riunione dell'11 agosto 2008 l’azienda ha comunicato alle RSU una variazione di matrici relative al servizio Tim Out. Tale variazione a loro dire si è resa necessaria per una riorganizzazione complessiva del servizio che vede gli operatori gestire anche il traffico Inbound. Le nuove matrici presentateci nella data suddetta sono peggiorative in quanto prevedono l’introduzione delle domeniche e dei festivi lavorativi.
Vogliamo sottolineare come questo gruppo di colleghi è stato sottoposto ad un progressivo peggioramento delle condizioni di vivibilità e di lavoro.
Molte sono le criticità che su quel servizio si riscontrano:
• Evidente carenza nella formazione che vede gli operatori in risposta al servizio 119 senza un’adeguata preparazione con briefing non terminati e con scarso supporto tecnico (Team Leader senza alcuna formazione).
• Una pessima gestione operativa e “l’utilizzo” dei lavoratori Tim Out per sopperire alle criticità del servizio Tim 119 (piano ferie in funzione di quello del servizio Tim 119).
• Continua incertezza della collocazione della propria prestazione lavorativa.
• Ulteriori variazioni degli orari di lavoro in pieno piano ferie.
La destabilizzazione ed il non affrontare le problematiche che questo servizio sta accumulando al suo interno da gennaio ad oggi e soprattutto il non voler trovare risposte adeguate non va nella direzione dell’obiettivo concordato da Azienda e Sindacati di raggiungere la normalizzazione questa Azienda.
La variazione degli orari di lavoro, la mancata riorganizzazione della gestione operativa e soprattutto l’assenza di informazioni su un progetto a breve termine che coinvolga questo gruppo di lavoro denota una scarsa trasparenza e correttezza di rapporti.
Roma, 19-08-2008
RSU SLC CGIL

Richiesta incontro (settore IT) 11.08.08

Spett. Atesia/Almaviva C
Oggetto: sollecito richiesta di incontro
Sollecitiamo un incontro, come già in precedenza richiesto, al fine di discutere le notevoli criticità in essere nel settore IT. (reperibilità, eccessivo carico di straordinari notturni e diurni etc.)
In attesa di incontro invitiamo l’azienda a sospendere qualsiasi variazione di trattamento e a non sottoporre alcuna modifica contrattuale ai lavoratori interessati.
Roma, 11-08-2008
Rsu Slc Cgil/Fistel Cisl/Uilcom Uil
Atesia/Almaviva C

Comunicato Tim out 11.08.08

In data 11/08/08 l’Azienda ha comunicato alle Rsu che dal 1 settembre le matrici orarie del personale addetto al servizio Tim out e che gestiscono anche il servizio Tim inbound 119, subiranno delle modifiche. Verrà infatti introdotta la domenica lavorativa, fermo restando però l’attuale orario complessivo 9.00/21.00.
Abbiamo naturalmente accolto in modo negativo tale modifica.
A noi appare che la instabilità che i lavoratori di questo servizio Tim out subiscono da mesi, risulta ormai eccessiva.
E’ già troppo tempo che questi lavoratori non vivono piu’ un clima sereno sul posto di lavoro. Hanno subito ferie imposte dall’azienda, dopo la chiusura di un piano ferie che ha visto comunque molti no alle richieste dei singoli. Sono stati messi in risposta sul servizio Tim 119 senza un’adeguata formazione, non ultimo sono costretti a gestire sia l’attività inbound sia quella outbound e comunque con un peggioramento della condizione lavorativa. Queste solo per citare alcune delle difficoltà che su questo servizio si vivono e si sono vissute, ma molte altre se ne possono annoverare.
Comprendiamo le necessità tecniche produttive dell’azienda e le difficoltà di questa di dar risposta al cliente (Tim), tuttavia vogliamo ribadire che il lavoro viene svolto da persone e che non si può ricercare qualità competenza professionalità e produttività se le persone stesse non vivono in un clima lavorativo positivo e sereno.
Abbiamo avanzato alcune proposte per rendere le nuove matrici meno svantaggiose, richiedendo che fossero introdotte un numero di domeniche lavorative inferiori rispetto a quelle proposte dall’azienda, almeno un sabato di riposo in più, una maggiore alternanza tra week end lavorativi e quelli di risposo e una maggiore alternanza di turni serali e diurni per chi ruota su fascia 9/21.
Auspichiamo che tali proposte vengano accolte e che comunque si ponga attenzione alle numerose disparità di trattamento che vi sono tra i lavoratori.
Invitiamo dunque a trovare soluzioni condivise che rispondano sia alle esigenze di produttività dell’azienda ma anche e soprattutto a quelle del lavoratore, unico artefice di produttività.
ROMA 11/08/2008
RSU Atesia/Almaviva C.
Slc cgil

Epifani: "Lavoratori, aria esagerata; così si nascondono i veri problemi"

"C'è un clima che non mi piace. Si licenzia gente che guadagna 1500 euro al mese, mentre manager che non hanno brillato nella gestione delle aziende tornano a casa ricoperti d'oro...". Guglielmo Epifani è preoccupato. Non bastasse la prospettiva di un autunno difficilissimo per l'economia e le famiglie italiane, ora c'è anche il caso dei licenziamenti alle Ferrovie ad angustiare gli ultimi giorni di ferie del leader della Cgil. "Non mi stancherò mai di ribadirlo: il sindacato non difende fannulloni e lavoratori scorretti, che peraltro danneggiano prima di tutto i propri colleghi. Abbiamo ben chiaro qual è il giusto equilibrio tra rivendicazione dei diritti e rispetto dei doveri. Così come l'esigenza di lasciarci alle spalle ogni esperienza di sindacato consociativo. Ma ora ci troviamo di fronte ad un clima esagerato, come a voler scaricare sui lavoratori la responsabilità delle cose che non vanno nel Paese e che, nel caso delle Fs, sono una politica generale del trasporto sbagliata, l'inefficienza dei servizi, l'assenza di trasferimenti da parte dello Stato, la minaccia della concorrenza".
Crede davvero che ci sia tutto questo dietro ai licenziamenti decisi dai vertici delle Ferrovie? Nel caso degli otto dipendenti di Genova l'azienda parla di infrazioni molto gravi. Non sarebbe un errore in certe eventualità usare il guanto di velluto?
"Se è stato alterato il rapporto tra ore lavorate e timbratura del cartellino si tratta di un'infrazione grave, passibile di licenziamento. Se, invece, i lavoratori hanno solo chiesto ai colleghi di timbrare al posto loro il cartellino ma senza assentarsi dal lavoro, allora si tratta di un caso che andrebbe affrontato con sanzioni meno pesanti".
Che idea si è fatta dell'altra vicenda, quella del macchinista licenziato per aver denunciato possibili rischi sulla sicurezza dei treni?
"Lì qualcosa evidentemente non torna, come dimostrano anche le reazioni degli schieramenti politici e degli osservatori imparziali. Come fanno Cipolletta e Moretti a parlare di lesione dell'immagine dell'azienda quando i veri problemi sono altri? Che dire, allora, della pulizia dei treni e delle inefficienze del servizio? Come si fa a licenziare una persona che, magari esagerando, non fa altro che difendere gli interessi degli utenti? E se poi accade un incidente che fine fa, davvero, l'immagine dell'azienda? La linea adottata dai vertici delle Fs inverte causa ed effetto ed è controproducente, anche se mi sembra dettata dalla voglia di spostare l'attenzione dai problemi reali".
Secondo l'amministratore delegato Moretti bisogna attraversare il guado che separa il pubblico impiego da una vera impresa. Lei non teme di ancorare il sindacato a posizioni anacronistiche?
"Guardi, le Fs sono passate nel giro di pochi anni da 200mila a meno di 100mila dipendenti. E' stata la più grande ristrutturazione aziendale nella storia del Paese ed è stata fatta con il consenso del sindacato. Se ora l'esigenza è quella di diffondere il più possibile la cultura del dovere, mi chiedo perché non si cerchi un rapporto positivo con i sindacati piuttosto che risolvere il tutto sul fronte degli attacchi individuali".
In realtà non si tratta solo di un caso Fs. Ormai da qualche mese in Italia ha trovato solide radici la riflessione sulla licenziabilità dei lavoratori, nel solco delle misure varate dal ministro della Funzione Pubblica, Brunetta. Non crede che nel Paese sia ormai un sentire comune l'esigenza di rivalutare concetti come meritocrazia ed efficienza?
"Già ho detto come la penso sul ruolo del sindacato nella lotta ai fannulloni e alle irregolarità. D'altro canto, nella pubblica amministrazione i licenziamenti di lavoratori per giusta causa ci sono sempre stati, senza che nel Paese si scatenassero particolari dibattiti. Ma ora esiste un clima generale alimentato da anni di campagna ideologica contro la pubblica amministrazione, motivata in fondo dagli interessi di chi vuole mettere in discussione i servizi pubblici, a partire dalla sanità e dalla scuola".
Non pensa che sinistra e sindacato si siano inseriti con ritardo e con qualche contraddizione in questo dibattito?
"Non abbiamo chiuso gli occhi. E' evidente che esistono sacche di inefficienza e forti esigenze di modernizzazione. Ma mi sembra che Brunetta abbia lisciato il pelo a questo comune sentire usando però strumenti indifferenziati che penalizzano anche chi ha sempre fatto il proprio dovere, cioè la stragrande maggioranza dei lavoratori: ci sono dipendenti pubblici che negli ultimi anni non hanno mai fatto un giorno di assenza per malattia e che se lo fanno ora si vedono decurtare lo stipendio...".
Che autunno attende i lavoratori italiani? Il governo non prevede di integrare la manovra economica varata a luglio, anche se la congiuntura internazionale continua a peggiorare...
"E' vero, l'esecutivo tende a minimizzare. Ma sarà un autunno difficile. Dopo la pubblicazione dei pessimi dati sul Pil nella Ue molti governi europei hanno interrotto le ferie per riunioni d'urgenza sulle contromisure da adottare di fronte alla crisi. Il nostro, invece, non ha dato segni di vita. Davanti ai venti di recessione, dimostra che l'unica cosa che gli sta a cuore è il federalismo. Mi dispiace anche per l'enfasi dimostrata dal ministro Sacconi per i dati sull'aumento delle ore di straordinario determinato dalla defiscalizzazione: in realtà il vero problema è lo spaventoso incremento delle ore di cassa integrazione nelle aziende! Il fatto è che le misure del governo nel breve periodo hanno effetti depressivi, perché non sostengono i redditi e gli investimenti oltre a tagliare fondi per settori chiave come la ricerca e l'innovazione".
Il sindacato ha già prefigurato una mobilitazione in vista di settembre. Vi spingerete fino allo sciopero generale?
"In effetti ci sono forti rischi per la coesione sociale, con l'aumento della precarietà per i giovani e l'ulteriore abbandono del Sud. Noi chiediamo al governo di cambiare la politica economica, con un vero sostegno al reddito di famiglie e pensionati, detrazioni al lavoro dipendente, restituzione del fiscal drag. L'indicazione che arriverà la valuteremo unitariamente con Cisl e Uil: è chiaro che riteniamo necessarie risposte nel segno dello sviluppo e della giustizia sociale. Le prossime settimane saranno decisive".

Fonte: http://finanza.repubblica.it 20.08.08

martedì 12 agosto 2008

A Londra scatta l'emergenza bicicletta

LONDRA - Troppe bici, Londra entra in crisi. Mentre tutte le grandi metropoli soffrono per carenza di parcheggi per le auto, a Londra scoppia l'emergenza per i parcheggi per le biciclette, un mezzo di trasporto che - visti prezzi dei carburanti, la tassa per entrare al centro e la coscienza ecologica - sta diventando sempre più popolare. Da un'inchiesta del tabloid Evening Standard risulta che molte stazioni della metropolitana londinese e ferroviarie non dispongano di sufficienti posteggi per le bici.
SERVONO 100MILA NUOVI POSTI - Secondo l'inchiesta del quotidiano per fronteggiare al meglio la diffusione costante del mezzo a due ruote, Londra necessiterebbe di almeno 100mila posti. Sono invece 25mila i posteggi attualmente disponibili. Il Network Rail, l'ente gestore della rete ferroviaria, ha già programmato ben 500 posti nella nuova stazione internazionale di King's Cross. Secondo stime ufficiali a Londra si effettuano circa 500mila trasferiment in bici all'anno, con un incremento del 91% rispetto al 2000: la maggior parte dei ciclisti però si trova costretta a lasciare il mezzo per le strade del centro. Le municipalità hanno fatto richiesta all'azienda di trasporti londinesi Transport of London, di installare nelle stazioni della metropolitana le apposite basi per le bici. «So che i municipi si stanno attrezzando per installare delle apposite postazioni, ma al momento non sono sufficienti perché non tengono il passo dell'incremento del numero di biciclette. Troppo spesso si notano ciclisti impegnati a incastrare la bici in parcheggi che già ne ospitano due», ha dichiarato Tom Bogdanowicz, portavoce della Campagna Londra Ciclabile.

Fonte: http://www.corriere.it

domenica 10 agosto 2008

Morti sul lavoro o sulle strade. Quelle vittime di serie B

Siamo una società insicura, tanto abituata a sentirsi tale da non farci neppure caso. Insicura per default. Abbiamo molte paure che tracimano in un unico bacino, nel quale si deposita un sentimento inquieto. Una paura di fondo. Che ci accompagna dovunque. Non ci lascia mai soli. Anche se non ne siamo consapevoli. Eppure non tutte le paure sono uguali, hanno la stessa dignità, la stessa audience e la stessa evidenza mediatica. Il medesimo impatto politico. Quando si parla di "paura", per esempio, oggi pensiamo immediatamente all'incolumità personale. E quando pensiamo alla incolumità personale pensiamo immediatamente alla criminalità, comune ed eccezionale, che ci minaccia dovunque. Da vicino. Noi, i nostri cari, le nostre abitazioni. Ladri, aggressori, violentatori, rapinatori, pedofili. Perlopiù, stranieri, immigrati e zingari. Gli "altri" per definizione. Siamo eterofobi. Temiamo di essere insidiati, che i nostri figli e i nostri familiari vengano aggrediti. Dagli altri. Per questo gran parte degli italiani guarda con favore all'impiego sul territorio di esercito, polizia, ronde padane e democratiche. Tutto quanto renda "visibile" la sorveglianza sulla nostra incolumità. Sulla nostra sicurezza. A prescindere dall'efficacia che realmente sono in grado di garantire. Preoccupano di meno, invece, altri rischi che incombono sulla nostra vita. E sulla nostra morte. Gli infortuni sul lavoro. Gli incidenti che avvengono sulla strada. Per non parlare di quelli domestici. I quali avvengono, cioè, tra le mura delle nostre abitazioni. Eventi tragici che ricevono, perlopiù, evidenza minore sui media. Salvo che in situazioni molto particolari. L'esplosione alla ThyssenKrupp, che ha provocato la morte di 7 operai. Oppure l'incidente (auto) stradale in cui, qualche giorno fa, sono decedute 7 persone presso Treviso. O, ancora, quello di cui è stato vittima Andrea Pininfarina. Imprenditore di grande qualità manageriale (e, ancor prima, umana), alla guida di una grande azienda legata all'industria dell'auto. Casi eccezionali, per le proporzioni dell'evento o per la specifica identità della vittima. Mentre, in generale, all'emozione del momento subentra, rapida, la rimozione. Un sentimento di sottile fastidio, non dichiarato e neppure ammesso. Quasi che quegli avvenimenti non ci coinvolgessero in modo diretto. Eppure, ogni giorno in Italia (dati Istat per ACI) si verificano oltre 600 incidenti che causano la morte di circa 15 persone e il ferimento di 800. Nel complesso, in media, ogni anno, sulle strade, decedono circa 5mila persone, mentre 300mila subiscono traumi e lesioni di diversa gravità. Quanto agli incidenti sul lavoro (fonte INAIL), provocano circa 1000 morti ogni anno. Nel 2008, fino ad oggi, oltre 400 persone sono morte di lavoro, mentre 11mila sono rimaste ferite o invalide. Come ha rammentato di recente il Censis, rispetto agli omicidi, i morti sul lavoro sono quasi il doppio e i decessi sulle strade otto volte di più. Tuttavia, il grado di visibilità offerto dai media è inverso rispetto alla misura di questi tipi di episodi. Non c'è paragone. Vuoi mettere i delitti di Cogne e Perugia? La tragica aggressione avvenuta nel quartiere romano della Storta? Fa eccezione la saga delle "morti del sabato sera". Un serial che si ripete, perché evoca altri scenari, più attraenti. La gioventù bruciata dai rave tossici consumati nelle discoteche o in altri luoghi di perdizione. Ma, per il resto, è un basso continuo. Da cui si stacca qualche onda episodica, destinata a venire riassorbita da un solido senso di abitudine. Il fatto è che le morti sul lavoro e, ancor più, sulle strade incombono su di noi. Sui nostri familiari. Perché i luoghi di lavoro ma, soprattutto, le strade, in Italia, sono fra gli ambienti più insicuri d'Europa. Lavorare è pericoloso. Da noi più che altrove. Per diverse ragioni, per diverse cause. Per colpa dei contesti. Le aziende, i luoghi di lavoro, dove il rispetto delle regole e delle condizioni di sicurezza è spesso disatteso. E gli stessi lavoratori, talora, le disattendono. Perché costretti. Ma anche per abitudine e imprudenza routinaria. (Molte vittime, peraltro, sono lavoratori autonomi). Circolare è altrettanto - forse più - pericoloso. Di nuovo: per lo stato della nostra rete viaria. E per la generale e generalizzata tendenza a bypassare le regole. D'altronde, chi si sentirebbe "colpevole", peggio, un criminale per aver parcheggiato in doppia fila o per aver attraversato col rosso? Colpa dello Stato. Lo stesso che ci costringe a "evadere" le tasse. Per legittima difesa. Non fanno paura, i luoghi di lavoro, agli italiani, quanto le proprie case. Dove temono di venire aggrediti e derubati dagli "altri". (Ma la maggior parte delle aggressioni e delle violenze avvengono per mano di familiari e vicini di casa). Egualmente per quel che riguarda le strade: sono più preoccupati quando le attraversano da soli, a piedi, magari a tarda ora, piuttosto che in auto o in moto. A grande velocità. E' probabile che questo orientamento rifletta una consolidata definizione dei fattori di rischio. Morire per il lavoro lascia, ogni volta, un vuoto incolmabile. Però, in fondo, è "socialmente" sopportato. Nonostante la reazione costante di molte autorevoli voci (per prima quella del Presidente della Repubblica). Perché il lavoro è necessità, ma anche virtù e valore. Mezzo per vivere e ragione di vita. Per questo, morire sul lavoro, è doloroso. Un abisso. Ma ha "senso". Come un male incurabile. Morire o ammazzare altre persone sulle strade. Ha meno "senso". Però è accettato. Non quando ci tocca di persona, ovviamente. Ma quando ne sentiamo gli echi sui media. Ce ne facciamo una ragione. Perché viaggiare in auto o in moto comporta rischi calcolati. Accentuati dalla diffusa e regolare "irregolarità". Quelli che viaggiano senza cinture, quelli che telefonano alla guida, quelli che se ne sbattono dei limiti di velocità, quelli che fanno zig-zag su strade e autostrade, per superare chi sta di fronte. Non sono considerati "criminali". Ciò che fanno non è ritenuto un atto "criminoso". Nessuno, di conseguenza, invoca le camicie verdi a presidiare i luoghi di lavoro, per assicurare il rispetto delle norme di sicurezza. Per controllare e denunciare imprenditori o lavoratori "non in regola". E nessuno invoca l'intervento dell'esercito sulle strade a scoraggiare comportamenti criminosi (che, d'altronde, non sono considerati tali).
Morire sul lavoro o sulle strade non fa spettacolo e non sposta voti. Non favorisce il governo né l'opposizione. Né la destra né la sinistra. Perché al centro di questi reati, di queste trasgressioni non sono gli altri. Siamo noi, i nostri valori, le nostre abitudini, i nostri stili di vita. Per cui, facciamoci coraggio: nei cantieri e sulle strade vi saranno ancora vittime. Troppe. Accompagnate da molto dolore, un po' di rabbia e tanta rassegnazione.

di ILVO DIAMANTI
Fonte: http://www.repubblica.it

giovedì 7 agosto 2008

In Italia più morti bianche che omicidi

In Italia le morti bianche e il numero delle vittime della strada superano di gran lunga i decessi legati alla criminalità o ad episodi violenti. I morti sul lavoro in particolare sono quasi il doppio degli assassinati e i decessi sulle strade otto volte più degli omicidi.
È questo l'allarme che lancia il Censis, specificando che nel 2007 le morti legate al lavoro nel nostro Paese sono state 1.170, di cui 609 per infortuni stradali, ovvero lungo il tragitto casa-lavoro o in strada durante l'esercizio dell'attività lavorativa. E l'Italia, avverte il Censis, è di gran lunga il Paese europeo dove si muore di più sul lavoro. Se si escludono gli infortuni in itinere o comunque avvenuti in strada, non rilevati in modo omogeneo da tutti i Paesi europei, si contano 918 casi in Italia, 678 in Germania, 662 in Spagna, 593 in Francia (in questo caso il confronto è riferito al 2005).
I numeri crescono ancora se si considerano le vittime degli incidenti stradali. Nel 2006, in Italia, i decessi sulle strade sono stati 5.669, un dato che supera di gran lunga quello registrato in altri Paesi europei anche più popolosi del nostro come Regno Unito (3.297), Francia (4.709) e Germania (5.091). Gli altri Paesi hanno fatto meglio di noi negli interventi tesi a ridurre i decessi sulle strade. Nel 1995 la Germania era maglia nera in Europa, con 9.454 morti in incidenti stradali, ridotti a 7.503 già nel 2000, per poi diminuire ancora ai livelli attuali. In Francia, si è passati dagli 8.892 morti sulle strade nel 1995 agli 8.079 nel 2000, per poi registrare un ulteriore calo. La riduzione in Italia c'è stata (i morti erano 7.020 nel 1995, 6.649 nel 2000, fino agli attuali 5.669), ma non in maniera così rapida, sottolinea il Censis, tanto da diventare il Paese europeo in cui è più rischioso spostarsi sulle strade.
E nonostante i decessi sul lavoro e quelli legati a incidenti stradali superino quelli legati alla criminalità, nel nostro Paese, sottolinea il Censis, «gran parte dell'attenzione pubblica si concentra sulla dimensione della sicurezza rispetto ai fenomeni di criminalità». Il numero degli omicidi in Italia continua a diminuire. In base ai dati delle fonti ufficiali disponibili elaborati dal Censis, sono passati da 1.042 casi nel 1995 a 818 nel 2000, fino a 663 nel 2006 (-36,4% in 11 anni). Sono molti di più negli altri grandi Paesi europei, dove pure si registra una tendenza alla riduzione: 879 casi in Francia (erano 1.336 nel 1995 e 1.051 nel 2000), 727 in Germania (erano 1.373 nel 1995 e 960 nel 2000), 901 casi nel Regno Unito (erano 909 nel 1995 e 1.002 nel 2000). Anche rispetto alle grandi capitali europee, nelle cittá italiane si registra un numero minore di omicidi. Nel 2006 a Roma si sono contati 30 casi, quasi come Parigi (29 omicidi, ma erano 102 nel 1995), 33 a Bruxelles, 35 ad Atene, 46 a Madrid, 50 a Berlino, 169 a Londra, che aveva toccato la punta massima (212 omicidi) nel 2003.

Fonte: Il corriere della sera

Leggi il comunicato stampa del Censis

martedì 5 agosto 2008

Comunicato Cgil, Cisl, Uil 05.08.08

Cari amici e compagni,
l’azienda ci ha oggi comunicato che nei prossimi giorni incontrerà le RSU per comunicare i passaggi a 6 ore come da accordo sottoscritto, in ottemperanza alle quantità e ai criteri definiti dallo stesso.
La divisione dei primi passaggi, secondo il principio di proporzionalità definito nell’intesa, sarà la seguente:
• Palermo 72 (Alicos) + 96 (Marcellina)
• Catania 39
• Napoli 14
• Roma (Atesia + Almaviva) 147/148
• Milano 6
Cordiali saluti, l’occasione ci è gradita per augurarvi buone vacanze.
Roma, 5 Agosto 2008
LE SEGRETERIE NAZIONALI
SLC-CGIL FISTEL-CISL UILCOM-UIL

Tripi: «Altre assunzioni entro l'anno»

Da oggi il gruppo Almaviva ha messo fine alla cassa integrazione per un migliaio di dipendenti (con riduzione dell'orario di circa il 10% ciascuno). Inoltre i dati del primo semestre sono in ripresa, dopo un biennio di perdite.
«Ma questo non significa – spiega il presidente Alberto Tripi, 68 anni – che la ristrutturazione del gruppo sia finita. La strada è tutta in salita e il cammino da fare è ancora lungo e duro. Comunque ne abbiamo fatti di passi avanti dopo che con mio figlio Marco, amministratore delegato, nell'ottobre 2007 abbiamo varato il "crash programme" perché la marginalità di tutti i prodotti era in calo (abbiamo anche dovuto chiudere in Romania). Siamo fiduciosi di farcela, anche con l'aiuto del management, dei dipendenti e con la collaborazione dei sindacati. Il tutto, poi, potrebbe essere enormemente facilitato qualora venissero pagate le fatture che abbiamo emesso, quasi tutte nei confronti della pubblica amministrazione. A fronte di servizi effettuati vantiamo crediti per circa 300 milioni sui quali scontiamo un ritardo medio di pagamento di 230 giorni. Questo rappresenta una palla al piede, anche perché il nostro portafoglio ordini sfiora il miliardo di euro (di cui 750 entro il 2009) e quindi dobbiamo fare investimenti. Entro fine anno, per esempio, siamo intenzionati ad assumere almeno un centinaio di persone, di cui la metà neolaureati».
Vediamo i dati, dopo un bilancio 2006 che ha comportato accantonamenti straordinari e un 2007 chiuso in perdita per 60 milioni. Nei primi sei mesi di quest'anno il fatturato (in sostanza stabile) ha raggiunto i 288 milioni con la previsione di chiudere il 2008 a 650 milioni.
Il margine operativo lordo (Ebitda) dei sei mesi è cresciuto a 15 milioni di euro con una proiezione annua di 55. In miglioramento anche il margine netto (Ebit) che nel primo semestre è ridiventato positivo per sei milioni con l'aspettativa che raggiunga i 21 milioni di euro per la fine dell'anno.
R.E.
Il sole 24 ore, 02 Agosto 2008

lunedì 4 agosto 2008

8x1000, più soldi al Molise che al Terzo Mondo

La televisione, dove l’unico spot circolante è quello della Chiesa Cattolica, ci ha abituati a pensare all’8x1000 come a una magnifica occasione per aiutare i derelitti della Terra. Nelle pubblicità compaiono bambini di Paesi poveri, fame e miseria. Far tornare un sorriso su quei volti emaciati è facile: basta apporre una firma sulla dichiarazione dei redditi e si destina una quota dell’Irpef a quelle popolazioni in difficoltà.
Una bella favola. Peccato che resti, appunto, una favola. La Chiesa Cattolica destina solo il 20% di quello che riceve con l’8x1000 per fare della carità (fonte Cei). Il resto lo incamera. Le istituzioni laiche non fanno meglio. Tra il 2001 e il 2006 lo Stato italiano, attraverso l’8x1000, ha destinato all’Africa 9 milioni di euro per combattere la piaga della fame: un quinto di quanto ha dato per la regione Lazio (43 milioni). E pensare che il Continente Nero, con i suoi oltre 800 milioni di abitanti, ha preso più degli altri. All’Asia, 4 miliardi di individui, è arrivato un milione e mezzo: il prezzo di una villa in Sardegna. O se si preferisce un quarto di quanto il governo ha stanziato - prelevandolo dallo stesso fondo - al solo Molise (7,2 milioni di euro). Seguono l’America Centrale con 610mila euro e quella Meridionale con 560mila, poco più e poco meno di 10mila euro all’anno.
E sarebbe andata ancora peggio se nel 2006 tutta la quota statale, ovvero 4,7 milioni di euro, non fosse stata completamente destinata a progetti contro la fame nel mondo. Evidentemente la beneficenza va di moda solo negli spot. Secondo la sezione di controllo sulla gestione delle amministrazioni dello Stato della Corte dei Conti dal 2001 al 2006 lo Stato italiano ha elargito 272 milioni di euro grazie all’8x1000 degli italiani. Ma se si vanno a guardare le aree di intervento, le differenze sono enormi: 179 milioni (il 66%) sono serviti per finanziare progetti di conservazione di beni culturali; 59 milioni (il 22%) per affrontare calamità naturali; 22 milioni (l’8%) per l’assistenza ai rifugiati; solo il 4% è andato a progetti contro la fame nel mondo.
Una scelta difficile da spiegare, a meno che non si entri nel dettaglio e s’intuiscano alcuni meccanismi che governano la classe politica italiana. Se si scorrono i progetti finanziati nei sei anni presi in esame, si scopre che il 40% circa ha riguardato il restauro di chiese, abbazie, conventi e parrocchie. Un aspetto che non è sfuggito alla Corte che, in adunanza pubblica, ha chiesto conto alla rappresentante del Ministero dei Beni e delle Attività Culturali di tanti finanziamenti a enti religiosi. La risposta è stata che il patrimonio artistico, culturale, storico e architettonico degli enti religiosi in Italia è di grande eccellenza. Vero, ma la Corte non ha potuto che richiamare alle norme che regolano la distribuzione dell’8x1000 e che parlano di bilanciamento nella scelta dei progetti e di urgenza degli stessi.
La disparità di trattamento, invece, è evidente. Tanto più se si tiene conto di altri dati. I numeri parlano da soli: i 315 milioni di euro attribuiti allo Stato dal 2001 al 2007 impallidiscono di fronte ai 6.546 milioni ricevuti dalla Chiesa Cattolica. È il ritorno dello spot televisivo? I creativi sono bravi, ma non così tanto. A meno che non si voglia annoverare in questa categoria (e il personaggio di sicuro lo merita) anche l’attuale ministro delle Finanze Giulio Tremonti. È sua l’idea del meccanismo di redistribuzione che tanti mal di pancia fa venire ai laici che siedono in Parlamento ma non solo.
Non tutti gli italiani dichiarano a chi deve andare il loro 8x1000. Solo il 40% lo fa scegliendo tra Stato, Chiesa Cattolica, Valdesi, Luterani, Comunità ebraica, Avventisti o Assembleari. E il restante 60%? In altri Paesi, dove la donazione deve rispecchiare una volontà esplicita del contribuente, questa quota rimane allo Stato e quindi a disposizione di tutti. In Italia viene invece ridistribuita secondo le proporzioni del 40%, dove i cattolici vanno forte. Alla fine circa il 90% dell’intero gettito va alla Chiesa. Si tratta di quasi un miliardo di euro all’anno, 991 milioni nel 2007.
E pensare che quando nacque l’8x1000, la sua funzione era quella di sostituire la congrua per il pagamento dello stipendio ai sacerdoti. Lo Stato era anche disposto a mettere di tasca propria il denaro necessario per arrivare alla cifra di 407 milioni di euro nel caso i fondi fossero risultati insufficienti. Oggi gli stipendi dei preti rappresentano un terzo dell’8x1000 che va alla Chiesa, ma nessuno ha mai osato mettere in discussione la cifra, nemmeno la commissione bilaterale italo-vaticana che aveva il compito di rivedere le quote nel caso il gettito fosse stato eccessivo.
Del fiume di denaro che va alla Chiesa Cattolica, la Cei destina il 20% per opere caritatevoli, il 35% per pagare gli stipendi dei 38mila sacerdoti italiani e il resto, circa mezzo miliardo di euro, viene ufficialmente utilizzato per non meglio precisate «esigenze di culto», «catechesi» e «gestione del patrimonio immobiliare». Forse anche per questo lo slogan scelto dai Valdesi per un loro spot radiofonico di qualche tempo fa era: «Molte scuole, nessuna chiesa». La pubblicità in questione è stata vittima di una sorta di censura: per mesi non è stata mandata in onda. Non è l’unica disparità che lamentano le altre confessioni religiose.
Diversamente dai cattolici, infatti, Valdesi, Luterani, Comunità Ebraiche, Assembleari e Avventisti ottengono i fondi (volontariamente sottoscritti dagli italiani) solo dopo tre anni. Alla Cei, invece, lo Stato versa un anticipo del 90% sull’introito dell’anno successivo. Le vie del Signore, in alcuni casi, si fanno scorciatoie. Ma le disparità tra religioni diverse non sono le uniche che si possono riscontrare tra i finanziamenti statali dell’8x1000.
Nonostante i criteri di scelta dicano che, per finanziare i progetti, è necessario tener conto di vari fattori, tra cui anche quello della maggiore o minore popolazione presente sul territorio su cui insiste il progetto, ci sono regioni che paiono baciate dalla fortuna. In sei anni all’Abruzzo sono andati 13 milioni di euro, quanto la Sicilia e la Toscana, e quattro volte l’Umbria (3 milioni di euro). E che dire delle Marche (22 milioni di euro), che ha ricevuto più del doppio di una regione come il Piemonte? Capire perché questo accade è praticamente impossibile.
Il Dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio, che si occupa della distribuzione dei fondi, dichiara di aver tenuto conto dei criteri scelti dalla Presidenza, ma anche «della commissione tecnica di valutazione», dei «pareri non vincolanti delle Camere», di imprecisate «indicazioni arrivate da autorità politiche» e dei suggerimenti delle «commissioni parlamentari». Come dire: di tutti. Il risultato è stata la solita guerra tra lobby, che però ha provocato un effetto perverso: l’enorme frammentazione dei finanziamenti.
Se ognuno vuole la sua fetta di torta, per quanto piccola, l’esito è scontato: l’8x1000 si perde in una serie infinita di rigagnoli. Il 78% dei finanziamenti erogati, ovvero tre su quattro, è inferiore a 500.000 euro. Quasi la metà (43,22%) è compreso tra i 100 e i 500 mila euro. Chi dovrebbe evitare tutto questo è la Presidenza del Consiglio. Per legge dovrebbe essere il filtro che dà unitarietà e razionalità agli interventi, ma non accade.
La Corte rileva che i ministeri si rivolgono direttamente al dicastero delle Finanze per i progetti. Questo ha un ulteriore conseguenza: se si elimina la responsabilità della Presidenza del consiglio, chi controlla gli esiti dei lavori? Il regolamento stabilisce che, passati 21 mesi, se questi non sono iniziati, il finanziamento viene revocato. Sarebbe dovuto accadere per esempio per la Chiesa della Martorana di Palermo, per il Complesso di Santa Margherita Nuova in Procida o per la Chiesa di santa Prudenziana a Roma. Non è avvenuto.
Di fronte a questi risultati non stupisce la disaffezione dei cittadini. Nel 2004 il 10,28% dei contribuenti aveva affidato il suo 8x1000 allo Stato. La percentuale è scesa all’8,65% nel 2005, all’8,38% nel 2006 e al 7,74% nel 2007. Forse avranno contribuito le leggi che in questi anni hanno decurtato la quota statale senza tener minimamente conto delle finalità per cui era stato istituito l’8x1000. Nel 2001 sono stati prelevati 77 milioni di euro per finanziare la proroga della missione dei militari italiani in Albania e nel 2004 il governo Berlusconi ha deciso una decurtazione di 80 milioni di euro anche negli anni successivi per sostenere la missione italiana in Iraq. Le decurtazioni dal 2001 al 2007 sono ammontate a 353 milioni di euro, più dei 315 milioni rimasti nel fondo 8x1000. Siamo lontani anni luce dai bambini dello spot in tv.

RAPHAEL ZANOTTI
Fonte: http://www.lastampa.it