mercoledì 24 dicembre 2008

Comunicato Segreterie nazionali Cgil Cisl Uil 23.12.2008

Roma, 23 dicembre 2008
Gruppo ALMAVIVA
e p.c.: Spett.le UIR – Area Lavoro


Oggetto: Scioglimento negativo riserva Ipotesi di Accordo 1 dicembre 2008.

In riferimento all’ipotesi di accordo sottoscritta il giorno 1° dicembre 2008, a seguito della consultazione dei lavoratori (con 1240 voti favorevoli all’accordo, 1545 contrari e 27 astenuti) come SLC-CGIL, FISTEL-CISL, UILCOM-UIL sciogliamo negativamente la riserva.
Distinti saluti.

LE SEGRETERIE NAZIONALI SLC-CGIL FISTEL-CISL UILCOM-UIL


domenica 21 dicembre 2008

Petizione nazionale contro la nota del 3.12.08 del Ministero del Lavoro che legittima il lavoro precario nei call center


Alla cortese attenzione di
On. Sacconi – Ministro del Lavoro

La nota del 3.12.2008 (prot. 25/I/0017286) del Ministero del Lavoro in relazione alle attività di call center punta a svilire la funzione dei servizi ispettivi e a legittimare il lavoro precario nelle attività out bound.
Di fatto si tornerebbe ad alimentare un fenomeno di dumping tra lavoratori e imprese, basato esclusivamente sulla riduzione di diritti, tutele e salario. Mettendo a rischio l’occupazione di migliaia di lavoratori subordinati, tra cui molti stabilizzati solo di recente.

Proprio contro il lavoro precario in tutte le attività di call center, per la ripresa di ispezioni e controlli, per una maggiore responsabilizzazione delle imprese, per una crescita del settore basata su maggiore qualità e innovazione, il 19 settembre in migliaia abbiamo scioperato e manifestato per le vie di Roma.

Per queste ragioni, con le presenti firme, siamo a chiedere il ritiro della nota.

Roma 15 dicembre 2008
Inoltrare le firme a:
segreteria.nazionale@slc.cgil.it, oggetto:petizione call center



sabato 20 dicembre 2008

Lettera al Responsabile Servizi ispettivi della Direzione Provinciale del Lavoro di Roma

Alla cortese attenzione del
Responsabile Servizi ispettivi
Direzione Provinciale del Lavoro di Roma


Oggetto: Nota 3.12.08 (prot. 25/I/0017286) del Ministero del Lavoro

Egregio Responsabile dei Servizi Ispettivi, le scriventi organizzazioni sindacali SLC-CGIL, NIDIL-CGIL e CGIL con la presente sono ad esprimerLe forte contrarietà al progetto di snaturare la funzione e il ruolo dei servizi ispettivi, in particolare nei confronti della funzione di controllo e repressione che da sempre caratterizza l’impegno Suo e di decine di Suoi colleghi (costretti spesso ad operare in condizione ambientali difficili e con risorse scarse).

In particolare, contestando le diverse circolari recentemente emanate dal Ministero a partire dalla nota ultima del 3.12 in materia di attività nei call center, siamo ad informarLa che continueremo nell’opera di segnalazione di gravi irregolarità nei rapporti di lavoro, soprattutto per quelle realtà cui organizzazione del lavoro, anche ai sensi del Codice Civile e delle numerose sentenze della magistratura, evidenzino tutte le caratteristiche tipiche del lavoro subordinato.

Consapevoli infatti della gerarchia delle fonti, della preminenza tanto delle leggi che dei Codici su meri strumenti di indirizzo amministrativo e certi che lo stesso ispettore del lavoro - nella sua funzione di pubblico ufficiale - agirà ricorrendo agli strumenti e alle norme vigenti messe a disposizione, siamo convinti che i lavoratori dei call center avranno ancora nelle istituzioni e nelle DPL un punto di riferimento forte per la tutela dei propri diritti.

SLC-CGIL, NIDIL-CGIL, CGIL


venerdì 19 dicembre 2008

Comunicato Rsu Slc/Cgil Fistel/Cisl Uilcom/Uil sull'ipotesi di accordo del 1.12.08

In merito all’ipotesi di accordo siglato dalla Slc/Cgil Fistel/Cisl e Uilcom/Uil Segreterie Nazionali, Regionali e Rsu in data 1/12/2008, precisiamo che durante le assemblee non è stato possibile chiarire tutti i punti dell’accordo stesso, in quanto i componenti di altre sigle sindacali hanno osteggiato con altri fini e interessi tale possibilità.
Ricordiamo che l’ipotesi di accordo nasce per tentare di affrontare il periodo di criticità che l'Azienda ha dichiarato essere presente su tutti i territori.
La scelta di un sistema come il multiperiodale, che riteniamo soddisfacente ed efficace, è derivata dalla valutazione di alcuni margini significativi che consentirebbero di affrontare la crisi attuale evitando l’applicazione di scelte unilaterali da parte dell’azienda che potrebbero portare a conseguenze piu’ drastiche.
L’Azienda si è espressa in modo inequivocabile, affermando che l’accordo potrebbe garantire sul sito di Roma la continuità della commessa Tim 119, potendo così assicurare attraverso il multiperiodale la copertura delle curve di traffico.
Per noi Rsu Slc-Cgil/Fistel Cisl/Uilcom Uil è fondamentale: il mantenimento delle macro-fasce, salario, programmazione e visibilità dei turni matrici con un anno di anticipo, la base volontaria.

la salvaguardia del posto di lavoro è per noi prioritaria.

Riguardo al tanto discusso piano per la qualità vogliamo far riflettere tutti i lavoratori su quanto si cita nell’ipotesi di accordo: infatti ci si richiama apertamente al rispetto della l. 300/70, all’impossibilità di utilizzo delle rilevazioni a fini valutativi e disciplinari ed inoltre si specifica che tali rilevazioni non possono essere in alcun modo ricondotte allo specifico lavoratore o al team di appartenenza ed inoltre vengono cancellate dopo 3 gg.
Non appena avremo i dati relativi alle votazioni degli altri siti d’Italia, provvederemo a rendere noti i risultati e i percorsi da intraprendere.
Vogliamo inoltre fare una precisazione: in un comunicato dei giorni scorsi, un'altra sigla sindacale dichiarava che un numero elevato di risorse sarebbero state coattamente trasferite presso la sede della Bufalotta. In data 17/12/2008 si è svolto un incontro tra le rsu e la direzione aziendale, richiesto dalle rsu slc cgil/fistel cisl/uilcom uil per discutere di alcune criticità che i colleghi che lavorano sul servizio Comune di Roma hanno segnalato. Durante tale incontro (al quale le rsu di quella stessa sigla non hanno reputato importante essere presente, forse i problemi reali dei lavoratori sono poco importanti), abbiamo richiesto chiarimenti in merito. L’azienda ha smentito tale notizia davanti alle rsu presenti Slc-Cgil/Fistel- Cisl/Uilcom-Uil e Ugl.
Crediamo che seminare false informazioni, solo per strumentalizzare e gettare fango sui colleghi, sia non solo puerile ma anche estremamente dannoso per i lavoratori stessi. Stiamo tutti vivendo un momento complicato in cui regna sovrana la confusione e l’incertezza. In un tale momento è saggio assumerci tutti l’onere delle proprie responsabilità. Richiamiamo dunque tutte le sigle sindacali ad abbassare i toni e a concentrarsi di più sul lavoro da fare per garantire comunque l’occupazione senza utilizzare questo momento di difficoltà per fare sterile propaganda.

Roma, 18/12/2008
Rsu Slc/Cgil Fistel/Cisl Uilcom/Uil

Comunicato Rsu Slc-Cgil/Fistel-Cisl/Uilcom-Uil su "Comune di Roma" del 17.12.2008

In data 17/12/2008 si è svolta la riunione settimanale tra azienda ed rsu in cui si è affrontata la “questione Comune di Roma”, sollevata nei giorni scorsi con il comunicato specifico sul servizio in cui chiedevamo risposte all’azienda circa la fruizione di ferie/rol/straordinari, le difficoltà di consultazione dei sistemi e il “clima” che si respira in operativo.
L’azienda ci ha dichiarato la volontà di superare definitivamente, una volta esaurito il periodo di start up, le difficoltà legate alla fruizione di ferie/rol e straordinari che fino ad oggi è risultata a dir poco caotica e disorganizzata.
Inoltre l’azienda ha richiesto a Telecom (che è proprietario dei software in uso sul servizio) un intervento sui motori di ricerca (es. KM) così come suggerito dal nostro comunicato al fine di migliorarne l’intuitività e la ricerca stessa degli argomenti e dei nominativi in rubrica.
Abbiamo sollecitato l’azienda ad intervenire sul clima di forte stress e pressione nei confronti degli operatori che ormai denunciamo da settimane: la direzione ci ha ribadito l’importanza fondamentale di questa commessa e del duplice ruolo che il Comune di Roma riveste (né è sia il fornitore sia il fruitore principale) ma ha anche riconosciuto, dati i numerosi episodi che abbiamo portato all’attenzione del management, che probabilmente molto del disagio avvertito sta nella comunicazione tra staff ed operatori che al momento risulta inadeguata e molto spesso concentrata solo sulla “forma” e per nulla sulla “sostanza”. L’azienda ha intenzione, inoltre, di coinvolgere i dipendenti in una sorta di sondaggio (al termine del piano ferie natalizio) al fine di individuare gli argomenti che necessitano di ulteriori approfondimenti e di predisporre poi debriefing mirati.
Infine è stata sollevata la problematica relativa alla indicazione da barra telefonica della pausa 626 che non viene differenziata da altre pause (vedi es. pausa fisiologica) e che pertanto formalmente potrebbe venire “equivocata” ed utilizzata in modo improprio. L’azienda ci risponde che è attualmente impossibilitata a modificare tale sistema per motivi strettamente legati alla reportistica da fornire al Cliente, ma ci ha sostanzialmente rassicurato che l’interpretazione data a tale modalità di rilevazione pause sarà solo quella a norma di legge. Ci auspichiamo che tutti gli affidamenti sopra riportati, compreso quest’ultimo, vengano effettivamente onorati e che l’organizzazione complessiva di questo servizio torni “a regime” nel rispetto della dignità e della soddisfazione dei lavoratori tutti e nell’interesse della stessa azienda dal momento che un lavoratore sereno fa un lavoro di qualità.

ROMA 18/12/2008
RSU SLC-CGIL/FISTEL-CISL/UILCOM-UIL

giovedì 18 dicembre 2008

Eco-trasporto urbano, vince Parma: è la città più rispettosa dell'ambiente

Parma al primo posto per l'eco-mobilità, secondo l'indagine promossa da Euromobility e Kyoto club. Le sue prospettive non sono al momento quelle di New York, dove il sindaco Michael Bloomberg ha promesso la costruzione di 3000 km di piste ciclabili nei prossimi 20 anni, ma è Parma la città più eco-mobile d'Italia: la città emiliana vince infatti la palma d'oro per trasporto pubblico, gestione della mobilità, auto a basso impatto, smog sotto controllo. Nella top-ten seguono Bologna, Firenze e Venezia a pari merito, Padova è quinta.
Una pista ciclabile in Lombardia (Redaelli)
Al sesto posto Torino e al settimo Bari, seguite da Modena, Ferrara e Genova. Fanalini di coda Taranto, L'Aquila, Campobasso. Questa la classifica delle città italiane alla ricerca della mobilità sostenibile, contenuta nel secondo rapporto "Mobilità sostenibile in Italia: indagine sulle principali 50 citta", elaborato da Euromobility e Kyoto Club, in collaborazione con Assogasliquidi e Consorzio Ecogas, con il patrocinio del ministero dell'Ambiente.
Car sharing, taxi collettivi, piattaforme logistiche per i mezzi, mobility manager, stato di salute dell'aria, piste ciclabili, corsie preferenziali: sono alcuni degli indicatori per la graduatoria delle città. I 50 centri urbani monitorati sono i 20 capoluoghi di regione, i due capoluoghi delle Province autonome e le città con una popolazione superiore a 100 mila abitanti. «Questo secondo rapporto - ha detto Lorenzo Bertuccio, direttore scientifico di Euromobility - non misura solo il numero di misure adottate, ma anche la loro efficienza ed efficacia. È importante spingere il pedale sull'innovazione».

Fonte: http://www.corriere.it

mercoledì 17 dicembre 2008

Orario di lavoro fino a 65 ore l'Europarlamento ha detto no

La decisione del parlamento europeo: l'orario settimanale resta di 48 ore.

Il Parlamento europeo ha respinto in seconda lettura la proposta di portare la settimana di lavoro nell'Unione europea fino a 65 ore. Tutti gli emendamenti della commissione lavoro sono stati approvati con una maggioranza superiore ai 393 voti richiesti, essendo il provvedimento in seconda lettura. Una decisione che di fatto boccia il tentativo del Consiglio Ue di introdurre la possibilità di derogare al limite delle 48 ore settimanali.
La plenaria dell'assemblea ha approvato a larga maggioranza la relazione dello spagnolo Alejandro Cercas (Pse). Tutte le clausole di 'opt out' dal principio delle 48 ore, attualmente applicate dalla Gran Bretanga e, in modo meno generalizzato, da un'altra dozzina di Stati membri, dovranno essere abolite entro tre anni dall'entrata in vigore della direttiva.
Inoltre, il Parlamento europeo chiede che siano considerati a tutti gli effetti come tempo di lavoro i periodi di guardia delle professioni mediche e dei servizi d'emergenza (pompieri), mentre il Consiglio Ue (cioè i governi degli Stati membri) voleva distinguere fra periodo di guardia 'attivo' e 'inattivo'. L'assemblea, infine, ha respinto le disposizioni che avrebbero eliminato l'obbligo del riposo compensativo immediatamente dopo il periodo di guardia.
Il relatore Cercas è stato abbracciato da molti colleghi subito dopo le votazioni sugli emendamenti. "Questa è un trionfo per tutti i gruppi del Parlamento europeo ed è l'occasione per il Consiglio di cogliere questa opportunità per rendere la nostra agenda più vicina a quella dei cittadini europei", ha affermato Cercas subito dopo il voto.
Senza un accordo tra Parlamento Ue e Consiglio "non c'è alcuna possibilità di modificare l'attuale direttiva" sull'orario di lavoro, ha commentato il commissario Ue al Lavoro e agli Affari Sociali Vladimir Spidla. "Spetta ora al Consiglio decidere come rispondere al voto del'Europarlamento", ha aggiunto.
Soddisfatto il viceministro del Lavoro nel governo ombra del Pd, Cesare Damiano, che definisce la decisione del Parlamento "una eccellente notizia". Analoghe le reazioni dei rappresentanti sindacali. Per il segretario confederale della Cisl Giorgio Santini "è stata bloccata la decisione di esportare e istituzionalizzare l'opt out individuale sull'orario di lavoro che avrebbe potuto costringere i lavoratori europei ad orari settimanali di 60-65 ore".
Per il segretario confederale della Cgil, Fulvio Fammoni, si tratta di "un risultato straordinario, superiore ad ogni aspettativa, che conferma, dopo la grande manifestazione di ieri, la giustezza dell'iniziativa sindacale e che dimostra quanto fosse sbagliato il provvedimento della Commissione".

Fonte: http://www.repubblica.it

Leggi Comunicato stampa sul sito del Parlamento europeo

Strasburgo: «No alla settimana di lavoro fino a 65 ore»

La decisione del parlamento europeo: l'orario settimanale resta di 48 ore.

Il parlamento europeo ha respinto in seconda lettura la proposta di portare la settimana di lavoro nell'ue fino a 65 ore, accogliendo tutti gli emendamenti della commissione lavoro.
Tutti gli emendamenti sono stati approvati con una maggioranza superiore ai 393 voti richiesti, essendo il provvedimento in seconda lettura. Quello determinante, passato con 421 sì, 273 no e 11 astensioni e accolto da un applauso dagli eurodeputati, stabilisce che l'orario settimanale è di 48 ore e concede tre anni agli Stati Ue per derogarvi arrivando alle 65 ore settimanali, di fatto eliminando la possibilità di 'opt out' al termine del periodo transitorio. Il relatore, lo spagnolo Alejandro Cercas (Pse), è stato abbracciato da molti colleghi subito dopo le votazioni sugli emendamenti. «Questa è un trionfo per tutti i gruppi del parlamento europeo ed è l'occasione per il Consiglio di cogliere questa opportunità per rendere la nostra agenda più vicina a quella dei cittadini europei», ha affermato Cercas subito dopo il voto.
Una vera e propria sfida del Parlamento europeo al Consiglio Ue sulla direttiva sull’orario di lavoro. Bocciato, dunque, il tentativo del Consiglio Ue di introdurre la possibilità per gli Stati membri di applicare deroghe permanenti al principio del limite di 48 ore settimanali. Soddisfatto il ministro ombra del Pd Cesare Damiano: «Una eccellente notizia, perfettamente coerente con l’esigenza di combattere la disoccupazione. Questa proposta era stata favorita dal ministro del Welfare, Maurizio Sacconi, fin dall’insediamento del nuovo governo Berlusconi. Sacconi è stato abbandonato dalla gran parte degli stessi parlamentari italiani del centrodestra che siedono al parlamento europeo. Questo a dimostrazione dell’incongruenza, in questa grave situazione, di proposte che allungano gli orari di lavoro e detassano gli straordinari. Una salutare retromarcia dalla quale il governo deve trarre insegnamento».

Fonte: http://www.corriere.it

martedì 16 dicembre 2008

Strasburgo, i sindacati europei in piazza contro l'allungamento dell'orario di lavoro

Diversi, ma tutti strettamente collegati, i punti fermi su cui si fonda la nuova mobilitazione. Dagli orari ai salari, continuando poi con le garanzie sulla sicurezza e la salute dei lavoratori e delle loro famiglie. E, inoltre, la contrattazione collettiva delle categorie di lavoratori. La manifestazione è una sorta di primo passo verso la campagna di mobilitazione e sensibilizzazione in difesa del lavoro che la Confederazione europea dei sindacati intende portare avanti in Europa per tutto il periodo che precede le elezioni per il rinnovo del Parlamento Europeo nel 2009.
«La campagna vuole combattere la crisi dando priorità all’impiego - fanno sapere i promotori della manifestazione nel manifesto che annuncia la prima giornata di mobilitazione europea per i diritti del lavoro - ai salari e ai diritti dei lavoratori». Punto cardine della vertenza internazionale è la difesa dei diritti che si chiamano orario di lavoro, salario, sicurezza del personale e delle famiglie e contrattazione collettiva.
In questo scenario rientra anche la vertenza relativa alla proposta che vorrebbe dare alle aziende la possibilità di prolungare il tempo di lavoro. Una sorta di via libera agli straordinari che, come conseguenza avrebbe una riduzione delle assunzioni e quindi un impoverimento del mercato del lavoro. «Nel momento in cui cresce la recessione e l’orizzonte della disoccupazione aumenta - scrivono ancora i promotori della Conferenza europea dei sindacati - i lavoratori hanno bisogno di più diritti». Non solo, punto fondamentale riventa anche la questione dei salari e il rispetto dei «diritti fondamentali come la sicurezza, la salute».
Punti fondamentali della vertenza che si svolge in una data che, comunque, non è casuale. Il 17 dicembre, infatti, il Parlamento europeo deve votare le propoteste che riguardano la revisione della Direttiva sul tempo di lavoro, o meglio le proposte fatte dal Consiglio per l’impiego e gli affari sociali a giugno di quest’anno. «La Confederazione europea dei sindacati si oppone a queste proposte - prosegue il manifesto dei promotori - perché non rispettano i diritti e gli interessi dei lavoratori e delle loro famiglie». I sindacati, invece, chiedono che venga approvata con gli emendamenti adottati dalla Commissione impiego e affari sociali dello stesso Parlamento europeo. «Ì tempo di battersi seriamente per salvaguardare i diritti fondamentali dei lavoratori - conclude il manifesto che annuncia la grande mobilitazione europea -.Non è il momento di sognare o di filosofeggiare».
La giornata di mobilitazione, per cui è prevista una «grossa partecipazione da tutti i paesi europei» inizierà alle 13.30 davanti alla sede del Parlamento europeo e terminerà alle 16 con l’intervento conclusivo del segretario generale della Confederazione europea dei sindacati John Monks.

di Davide Madeddu
Fonte: http://www.unita.it

lunedì 15 dicembre 2008

I 60 anni della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo

Il 10 dicembre 1948, l'Assemblea generale delle Nazioni Unite proclamava la Dichiarazione universale dei diritti umani. Per la prima volta nella storia dell'umanità, era stato prodotto un documento che riguardava tutte le persone del mondo, senza distinzioni. Per la prima volta veniva scritto che esistono diritti di cui ogni essere umano deve poter godere per la sola ragione di essere al mondo. Eppure la Dichiarazione è ancora disattesa, perché ancora troppo sconosciuta.

Il testo della Dichiarazione universale dei diritti umani

Per maggiori info visita il sito http://www.amnesty.it

60 anni dalla Dichiarazione universale dei diritti umani (2)

La Dichiarazione Universale dei Diritti Umani fu adottata dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. I trenta articoli di cui si compone sanciscono i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali di ogni persona. Vi si proclama il diritto alla vita, alla libertà e sicurezza individuali, ad un trattamento di uguaglianza dinanzi alla legge, senza discriminazioni di sorta, ad un processo imparziale e pubblico, ad essere ritenuti innocenti fino a prova contraria, alla libertà di movimento, pensiero, coscienza e fede, alla libertà di opinione, di espressione e di associazione. Vi si proclama inoltre che nessuno può essere fatto schiavo o sottoposto a torture o a trattamento o punizioni crudeli, disumani o degradanti e che nessuno dovrà essere arbitrariamente arrestato, incarcerato o esiliato.
Vi si sancisce anche che tutti hanno diritto ad avere una nazionalità, a contrarre matrimonio, a possedere dei beni. a prendere parte al governo del proprio paese, a lavorare, a ricevere un giusto compenso per il lavoro prestato, a godere del riposo, a fruire di tempo libero e di adeguate condizioni di vita e a ricevere un'istruzione. Si contempla inoltre il diritto di chiunque a costituire un sindacato o ad aderirvi e a richiedere asilo in caso di persecuzione.
Molti paesi hanno compendiato i termini della Dichiarazione entro la propria costituzione. Si tratta di una dichiarazione di principi con un appello rivolto all'individuo singolo e ad ogni organizzazione sociale al fine di promuovere e garantire il rispetto per le libertà e i diritti che vi si definiscono. Gli stati membri delle Nazioni Unite non furono tenuti a ratificarla (la dichiarazione non essendo di per sé vincolante), sebbene l'appartenenza alle Nazioni Unite venga di norma considerata un'accettazione implicita dei principi della Dichiarazione.
Va sottolineato che in base alla Carta delle Nazioni Unite gli stati membri s'impegnano ad intervenire individualmente o congiuntamente, per promuovere il rispetto universale e l'osservanza dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali . Questo è un obbligo di carattere legale. La dichiarazione rappresenta un'indicazione autorevole di che cosa siano i diritti umani e le libertà fondamentali.

Il lavoro senza rappresentanza ritrova la Cgil

Se non ci fosse, oggi la Cgil bisognerebbe inventarla. Per aver avuto il coraggio, unica forza di massa del Paese, di cantare fuori dal coro: denunciando con nettezza la gravità della crisi nei suoi effetti sconvolgenti di cui non c’è piena consapevolezza soprattutto nel ceto politico, proponendo un insieme di interventi alternativi a quelli del governo, chiamando le lavoratrici e i lavoratori a lottare per i propri diritti insieme a tutte le persone di buona volontà.
In definitiva, la giornata del 12 dicembre questo ha voluto dire: che oggi forse l’unica speranza di cambiamento, che non trasformi la crisi in un massacro sociale e in un’inaudita violenza sull’Italia, riposa sulle spalle del più grande e autorevole sindacato dei lavoratori salariati. E’ un dato di fatto su cui riflettere.
Il successo dello sciopero generale dimostra infatti che non tutta la società italiana va a destra, anche perché la destra, nel suo insaziabile egoismo liberista, è la principale responsabile della catastrofe incombente sulle nostre teste. E che la Cgil è in questa fase l’unico interprete di massa del malessere che sale dalla società, l’unico interlocutore riconosciuto dall’onda studentesca e dal movimento di lotta contro la “riforma” Gelmini. Uno sciopero contro la jella? Lasciamo stare le penose sciocchezze di quel tale che ha non sa più cosa voglia dire un sindacato libero e autonomo. Del resto, cosa ci si può aspettare da chi nega di essere stato a cena dal nuovo Re Sole, passando per la porta di servizio?
La verità è che la Cgil svolge ancora una volta una funzione di supplenza, nel vuoto della politica e nell’insussistenza della sinistra, che nel lavoro, oggi più che mai precario, dovrebbe avere il suo fondamento. Come accadde già nel 2002, quando il sistema politico, di fronte all’enorme movimento che attraversò l’Italia culminando al Circo Massimo, si chiuse a riccio nel combinato disposto che vide agire insieme Bertinotti e D’Alema.
Ma oggi la situazione è ben più drammatica. Perché, a fronte della presenza della Cgil nello svolgersi di una crisi globale senza precedenti, la sinistra è a sua volta fuori dal sistema politico. Il Pd, per esplicita dichiarazione di Veltroni allo spagnolo «El Pais», vuole essere un partito “riformista non di sinistra”. E la sinistra cosiddetta alternativa si è divisa in cinque formazioni, che nell’insieme raccolgono poco più del tre per cento dei voti. Non c’è bisogno della lente d’ingrandimento per vedere lo stato reale delle cose: le lavoratrici e i lavoratori del XXI secolo non hanno più in questo Paese rappresentanza politica.
Epifani mostra di esserne ben consapevole, quando afferma: “La Cgil ha un sovrappiù di responsabilità. La crisi politica ha effetti anche sul sistema della rappresentanza sociale. C’è il bisogno urgente che le persone che non condividono le scelte del governo trovino un progetto di cambiamento sul terreno politico. In un clima in cui si perde la speranza, il bisogno diventa più forte. E’ per questo – la questione dell’autonomia è ampiamente superata – che non possiamo essere indifferenti a quanto avviene in politica”. Ma la domanda è ancora più stringente. Cos’è la politica senza contenuto e rappresentanza sociali, senza la presenza libera e autonoma dei lavoratori? E cosa diventa in queste condizioni la democrazia?
Ormai lo vediamo tutti i giorni: nella migliore delle ipotesi la politica diventa politicantismo, e la democrazia trasmuta in oligarchia. Alla dittatura del capitale sul lavoro corrisponde il dominio di un’oligarchia finanziaria e mediatica sull’intera società. E i rischi sono tanto più forti dal momento che, in una miscela che può diventare esplosiva, si mescolano crisi economica e politica con il proposito di Berlusconi di rovesciare l’assetto costituzionale dello Stato. Non si può esercitare il potere in nome del popolo sovrano privatizzando la politica, cancellando dal sistema democratico la presenza politica dei lavoratori. A meno che, come crede il Cavaliere, l’organo sovrano non sia il popolo ma il capo del governo. Nel qual caso, secondo lo Statuto di Carlo Alberto ma non secondo la Costituzione della Repubblica, “la giustizia emana dal Re, ed è amministrata in suo nome”.
Perciò, mentre apprezziamo e sosteniamo la posizione coraggiosa della Cgil nella tempesta della crisi, dobbiamo sapere che sempre più decisiva diventa la questione della rappresentanza politica del lavoro. Le lavoratici e i lavoratori debbono riappropriarsi della politica, perché la politica torni a essere un bene pubblico. In caso contrario, magari con la copertura dell’antipolitica, continueranno a dominare le oligarchie. E poiché la Cgil non può svolgere all’infinito una funzione di supplenza, i casi sono due: o dalla Cgil stessa e dal mondo sindacale viene una spinta forte in direzione della riforma del sistema politico, o il principale sindacato dei lavoratori corre anch’esso il rischio di un’emarginazione e di una crisi.
Certo è che dalla scomposizione e ricomposizione del ceto politico della sinistra variamente configurata in funzione elettorale non può nascere niente di nuovo. E coloro i quali, dopo aver portato la sinistra all’ attuale stato di irrilevanza, sembrano oggi puntare tutto sulla Cgil come ancora di salvezza per il loro fallimento, dovrebbero mostrare lo stesso coraggio del sindacato confederale e di Epifani. Ma per compiere un movimento in senso opposto: sgombrare il campo e farsi da parte.

Autore: Paolo Ciofi
Fonte: http://www.megachip.info

Fincantieri, chiusa la maxi inchiesta. La Procura chiede 14 rinvii

TRIESTE - Gli ultimi quarantadue la bestia se li è divorati tra il 1999 e il 2007. Morti di amianto. Morti per le polveri che come proiettili silenziosi volavano nei cantieri di Monfalcone. E si ficcavano nei polmoni di chi veniva mandato al macello per costruire navi. Quarantadue croci, che si aggiungono in un "cimitero" che ne ospita già 900. Tante sono le vite spezzate, in trent'anni, in Friuli Venezia Giulia, dalle fibre killer dell'asbesto. Una pioggia cancerogena che ha investito operai e tecnici, impiegati - da dipendenti o da esterni - nello stabilimento goriziano di Fincantieri. Una scia impressionante di omicidi. Firmati dalla bestia sempre con la stessa sigla: mesotelioma maligno (pleurico, pericardico e peritoneale). Il peggiore dei tumori, quello che chiamano "sentinella" perché indica l'esposizione del malato alle polveri di amianto.
Gli ultimi quarantadue l'hanno respirato per almeno vent'anni. Nell'arco di tempo che va dal'65 all'85. Poi se ne sono andati come tutti gli altri: coi polmoni lacerati. Lavoravano tutti nello stesso colosso navale. Ma loro, i 42, e chissà poi magari altri ancora, la giustizia che non hanno avuta da vivi, l'avranno adesso. Hanno un nome e un volto le persone accusate di avere lasciato che la bestia - l'amianto che uccide - si infilasse nei bronchi delle vittime. Sono quattordici alti dirigenti (sarebbero quindici, uno è morto) di Fincantieri nel periodo in cui l'azienda pubblica si chiamava ancora Italcantieri. Il procuratore generale della corte d'appello di Trieste, Beniamino Deidda - recentemente nominato con lo stesso incarico a Firenze - è pronto a chiederne il rinvio a giudizio per omicidio colposo plurimo. Con un'inchiesta "ciclopica" e fulminea, unica in Italia, la Procura rompe il silenzio e l'immobilismo che da dodici anni si erano posati sui morti dell'amianto.
Dal '96 a oggi una sfilza di denunce di decessi sui quali "indagare" giaceva negli armadi del tribunale di Gorizia. Ma nessun processo era mai stato chiuso. Un buco nero nella storia delle stragi sul lavoro; faldoni accatastati negli uffici dei magistrati tra le proteste dei parenti delle vittime; la procura di Gorizia - fino a quest'estate titolare delle indagini - cinta d'assedio da parlamentari e associazioni in un generale clima di sfiducia nell'azione della magistratura. Finché Deidda decide di avocare a sé l'inchiesta. E' il giugno del 2008. "Bisognava invertire la tendenza, dare un segnale forte e farlo in fretta - dice il procuratore -. Tra tutti i decessi più recenti, abbiamo individuato i 42 casi che ci sembravano più eclatanti, che gridavano giustizia".
Con una squadra di consulenti medici del lavoro (Gino Barbieri, Donatella Calligaro, Umberto Laureni, Enzo Merler, Anna Muran, Stefano Silvestri), si inizia a mettere le mani nella montagna di carte accumulate negli anni. Dal primo settembre a oggi: quattro mesi di sequestri di documenti (molte carte sono risultate "introvabili" negli uffici di Fincantieri, soprattutto quelle riguardanti gli appalti con le ditte esterne), interrogatori (90 le testimonianze messe a verbale, familiari delle vittime e ex colleghi), verifiche e controlli incrociati. Alle 4mila pagine del fascicolo delle indagini preliminari, si aggiunge una corposa consulenza tecnica. Documenti di cui Repubblica - ora che le indagini si sono concluse - è venuta a conoscenza. Settecento pagine sono dedicate alla "Ricostruzione dello stato di salute dei lavoratori e delle condizioni igieniche nelle lavorazioni del cantiere navale di Monfalcone in relazione all'esposizione ad amianto".
L'ingrandimento della Procura riguarda il periodo 1965-1985, quello in cui si è fatto un uso massiccio di amianto per la coibentazione delle navi. Che avveniva soprattutto a spruzzo. Nelle fasi di allestimento, quando si rivestivano le pareti delle imbarcazioni, le fibre si sprigionavano dappertutto. Venivano inalate da saldatori, carpentieri, falegnami, tubisti, elettricisti, coibentatori e anche impiegati tecnici. La loro tomba, molti anni dopo, si rivelerà la stessa: i cantieri di Monfalcone. Dei 42 morti al centro dell'inchiesta (l'età media è di 65 anni), 21 erano dipendenti di Fincantieri, gli altri lavoravano per ditte esterne appaltate.
I dirigenti dell'azienda si sono giustificati dicendo che in quegli anni non potevano sapere che le polveri di amianto provocassero tumori. Una difesa che potrebbe avere scarsa o nessuna importanza. Stando a molte sentenze della cassazione, infatti, non è rilevante che i singoli imputati conoscessero la cancerogeneità dell'amianto. Comanda, in ogni caso, una norma in vigore dal '66 che vieta la diffusione delle polveri sul luogo di lavoro. Dalle carte dell'inchiesta emergono con forza le responsabilità da parte dei vertici di Fincantieri tra '65 e '85. La loro leggerezza in un'epoca, per di più, nella quale "più vivace si faceva il dibattito sulla pericolosità dell'amianto e sulla sua possibile sostituzione". Nelle officine di Monfalcone, secondo l'accusa, "le condizioni lavorative riguardo all'igiene degli ambienti sono state per un lungo periodo (dall'immediato dopoguerra alla metà degli anni '80) ben al di sotto degli standard richiesti per la lavorazione in presenza di sostanza cancerogena". Non solo. "Sono mancati, o sono stati utilizzati in modo carente, specifici interventi di prevenzione": estrattori d'aria e sistemi di aspirazione localizzata, protezioni individuali "non idonee e il cui uso non è stato in alcun modo imposto o regolamentato".
La più grande impresa di costruzioni navali italiana si è, in sostanza, lavata le mani di fronte a rischi che i suoi dipendenti correvano ogni giorno e che non potevano essere ignorati". Per questo - è una delle conclusioni cui giunge l'indagine - "le direzioni sono venute meno all'obbligo di informazione e formazione, così come i dirigenti e i preposti". Da qui l'accusa di omicidio colposo plurimo. La difesa dei quattordici imputati - che hanno tra i 70 e gli 80 anni - avrà ora venti giorni di tempo per chiedere nuovi interrogatori o impostare accordi per eventuali patteggiamenti. Poi il procuratore Deidda presenterà la richiesta di rinvio a giudizio. In Italia l'utilizzo di amianto è vietato per legge dal '92. I controlli oggi sono severissimi in ogni luogo. Ma in questa storia alla Erin Brockovich - che sembra solo all'inizio - pare di capire che della polvere killer si parlerà ancora a lungo. Appena qualche giorno fa, Giuseppe Bono, amministratore delegato di Fincantieri, dopo aver lanciato la proposta di creare un fondo di risarcimento per le vittime dell'amianto, ha chiesto la depenalizzazione dell'omicidio colposo e delle lesioni colpose derivante da esposizione.

Autore: Paolo Berizzi
Fonte: http://www.repubblica.it

domenica 14 dicembre 2008

Quegli operai vanto dell'Italia traditi da silenzio e indifferenza

TRIESTE - "Vivere di cantiere", è scritto sui murales dedicati al secolo di vita della fabbrica navale di Monfalcone, fondata nel 1908. Da mesi tappezzano ogni angolo della città. Segnano l'ultimo angolo a Nord del Mediterraneo, ieri spazzato dalla bora sotto le Alpi innevate. Niente ricorda che di cantiere si può morire. Niente sui Caduti sul lavoro, precipitati dalle impalcature, ustionati o bruciati vivi dal 1908 a oggi. Niente, soprattutto, sulla strage da amianto che fa di Monfalcone qualcosa di infinitamente peggio di Marghera o della Thyssen di Torino.
Novecento morti, che nel 2012 saranno mille e nel 2016 millecento. Ne partono al ritmo di venticinque all'anno, dall'inizio degli anni Settanta, e le previsioni fino al 2020 sono catastrofiche. Forse la più orrenda strage aziendale italiana. Certamente la più sottovalutata.
Ma il peggio non è l'enormità del numero. È l'enormità del tradimento. L'imbroglio consumato nei confronti di uomini che hanno fatto il vanto dell'Italia, uomini segnati da un patriottismo aziendale unico. Dalmati, friulani, sloveni del Carso, goriziani, triestini e istriani. Cinquantamila in un secolo, dei cantieri e dell'indotto. Ondate di gente che arrivava ai cancelli in treno, a piedi, in bicicletta. Un'epopea. Il cantiere ha varato quasi mille navi, e la nave non è un'automobile: è un oggetto irripetibile, il riassunto di un'arte. Gli uomini che l'hanno fatta ne seguono per la vita le rotte sul mappamondo. La mostrano con orgoglio a figli e nipoti, la raccontano per lasciare un segno di sé. "I malati venivano da noi con la foto delle navi fatte da loro" racconta Valentino Patussi, dell'Ufficio medicina del lavoro di Trieste, incaricato delle indagini dalla Procura.
Monfalcone non è Genova né Castellammare. È nata tutta dai cantieri. Prima del 1908 era solo acque salmastre e zanzare; poi, con capitale austriaco, è nata la città. Una "company town" a pieno titolo. Totale la sua simbiosi col cantiere; e totale, di conseguenza, il suo strazio e il disincanto di oggi. Ma poi c'è anche l'enormità del silenzio. Quello di un'azienda, una provincia, una regione che rimuove i morti, li ignora persino nelle celebrazioni del centenario mentre l'allarme serpeggia ovunque, anche su Internet, con terribili richieste dagli operai di mezza Italia.
La sottovalutazione e il mancato allarme durano dagli anni Sessanta e sono continuati anche dopo la bonifica degli impianti, mentre gli operai del cantiere e delle ditte in appalto entravano in agonia senza sapere perché, muti di fronte a quella parola, "mesotelioma", che li inchiodava dopo decenni di salute apparente. Oggi si sa che qualcuno sapeva; era stato informato che l'amianto è una bestia che non perdona e il mesotelioma, quando lo scopri, ti ammazza in sei mesi. I polmoni ti strangolano come una garrota e la diagnosi precoce serve solo ad avvelenarti il tempo che resta. In caso di amianto il miglior referto è semplicemente sapere più tardi possibile.
E così gli uomini che hanno "vissuto di cantiere" sono morti senza copertura Inail, senza assistenza legale, senza interesse della politica e persino della giustizia che per dodici anni ha ricevuto denunce di morti sospette senza chiudere fino ad ora nessun processo. Per questo la Procura generale ha rotto gli indugi e svolto un'indagine-lampo unica in Italia.
C'è voluto un giudice perché il Friuli-Venezia Giulia sapesse di questa tragedia, e per far capire che non affrontare l'emergenza significava semplicemente non governare. Non si poteva più ignorare che a Monfalcone e Trieste gli esposti al rischio sono diecimila, per l'effetto congiunto del porto e dei cantieri. A livello regionale, il top in Italia.
Ma se i morti sono un esercito, per i vivi è in atto un micidiale conto alla rovescia. Un gioco dove la paura distrugge prima della malattia; una roulette russa in cui ci si conosce tutti e alla fine ci si incontra ai funerali. È perfido l'amianto. In greco vuol dire "il candido", e in una straziante poesia Massimo Carlotto lo descrive come neve che incanta i bambini. La mamma sbatteva la tuta del papà per toglierne la polvere a fine lavoro, i fiocchi volavano come a Natale e la pestilenza entrava nei familiari. Ma amianto vuol dire anche "l'incorruttibile", perché non si consuma mai. Tu muori, il corpo si dissolve, e le fibre restano lì per sempre. Qui accade in concentrazioni mostruose, quasi come nella miniera di Barangero in Piemonte, dove si consumò la prima strage. Ma sì, dicono amaramente i superstiti, il cimitero è solo una discarica autorizzata di amianto. Ora che si è scavato nella Fincantieri come mai in passato, l'azienda - inchiodata da prove inconfutabili - parla di depenalizzare il reato e compensare le famiglie con un fondo nazionale. Come dire: il costo è di tutti e la colpa di nessuno. Un classico finale all'italiana.
Ma chi ha sofferto non ci sta. "Altro che malattia sociale!", quasi piange Rita Nardi, vedova di Gualtiero, morto alla vigilia di natale del '98 dopo mesi da incubo. "Questi li hanno ammazzati come conigli per un tozzo di pane".

Autore: Paolo Rumiz
Fonte: http://www.repubblica.it

sabato 13 dicembre 2008

Epifani: sciopero riuscito, ora il governo ci convochi

Grandissima partecipazione non solo allo sciopero generale ma anche alle manifestazioni che si sono tenute in 108 città, indette dalla Cgil e alle quali hanno partecipato non soltanto i lavoratori del sindacato di Epifani ma anche i movimenti, gli studenti, i migranti.
Tre grandi simboliche palle di neve con le scritte «Disoccupazione», «Rischio Povertà», «Precarietà» aprivano il grande corteo di Torino. Nel capoluogo piemontese sono scesi una quarantina di pullman provenienti da tutta la provincia.
Secondo il sindacato l'adesione nelle aziende metalmeccaniche del torinese è stata dal 90% del Itca e della Teksid al 70% dell'Alenia, all'80% della Microtenica. Sempre secondo i sindacati l'adesione allo sciopero dei lavoratori di Palazzo Civico è del 40%, mentre tra quelli del mondo della scuola arriva al 45%.
Si calcola che a Torino, come anche a Venezia, siano sfilate almeno 50mila persone al corteo indetto dalla Cgil.
A Roma anche l’Onda si è mossa: da piazzale Aldo Moro, gli studenti hanno partecipato alla giornata di lotta con un loro corteo diretto al ministero dell’Istruzione su viale Trastevere. Studenti universitari e delle scuole superiori, docenti e genitori del coordinamento “Non rubateci il futuro”, anche bambini imbacuccati nelle mantelline impermeabili e militanti di Action. In testa al corteo uno striscione con la scritta «Contro tagli, precarietà e privatizzazioni l'Onda generalizza lo sciopero». Mentre al corteo della Cgil diretto al Colosseo hanno partecipato anche tanti partigiani dell'Anpi, della sezione «Marco Moscati» di Albano Laziale e Marino, il circolo Anpi «Donne di Casal Bertone nella Resistenza». Il gruppo più rumoroso, quello della Fillea di Roma e Lazio. Alcuni indossavano caschi gialli di protezione.
«Più lavoro, più salario, più pensioni, più diritti»: lo striscione con lo slogan della giornata di lotta campeggiava alla testa del corteo di Napoli, con dietro le delegazioni dei lavoratori della Fiat di Pomigliano e di numerose aziende del settore metalmeccanico, edile, delle telecomunicazioni, del pubblico impiego.
40mila persone hanno sfilato a Bari con il segretario confederale Fulvio Fammoni. Altre 40mila a Cagliari in uno dei cinque cortei a carattere regionale. Altri 40 mila a Firenze.
A Genova 25mila e altrettanti sono stimati sempre dalla Cgil ad Ancona. In Sicilia si sono contate 15 mila presenze a Catania, dove il comizio è stato tenuto dalla segretaria confederale Paola Agnello Modica, e 30 mila a Palermo con la segretaria confederale Vera Lamonica.
A Milano i manifestanti riempivano corso Venezia dall'angolo con via Palestro fino a Piazza Oberdan. La Cgil ha contato 80mila manifestanti. In testa al corteo c'è uno striscione con la scritta Camera del lavoro metropolitana di Milano, dietro al quale sfilano il segretario milanese Onorio Rosati e la segretaria nazionale Morena Piccinini. Poco più avanti c'è uno stendardo della federazione dei lavoratori della conoscenza – Flc Scuola università e ricerca. Tantissime a Milano le bandiere rosse del sindacato listate a lutto, per ricordare «la strage delle morti sul lavoro».Un episodio sgradevole alla fine del corteo milanese quando un gruppo di studenti incappucciati e con il volto coperto da sciarpe ha lanciato durante la manifestazione in corso a Milano, all'altezza di via Larga, all'angolo con via Pantano, della vernice colorata e un petardo verso le forze dell'ordine che bloccavano la strada per impedire al corteo di avvicinarsi ad Assolombarda.
«Ogni passo indietro del Governo è un elemento positivo – ha detto il segretario confederale Morena Piccinini riferendosi al rallentamento della riforma della scuola - perché è il segno che la lotta paga. I risultati però non sono sufficienti perché la politica del Governo non è adeguata. Bisogna andare avanti e spingere per un'azione forte contro la crisi». Rosati ha ricordato che a Milano la crisi è molto pesante. «A Milano e Provincia - ha concluso Rosati -abbiamo sentito duecentomila persone tra lavoratori e pensionati.Siamo il punto di riferimento di un disagio sociale profondo». Il sindacalista ha stigmatizzato, in particolare, l'atteggiamento assente del Comune di Milano nel fronteggiare la congiuntura economica. Per questo la Cgil chiederà anche all'amministrazione comunale oltre che alla Provincia e alla Regione Lombardia, l'apertura di un tavolo comune anticrisi.
Ed è un po’ la stessa cosa che chiede Guglielmo Epifani al governo e a Confidustria: una cabina di regia comune per discutere come affrontare la crisi. «Sul modello contrattuale e sul testo unico sulla sicurezza ci sono delle forti divergenze – ha spiegato il segretario generale in una intervista -, cominciamo con il sederci insieme a un tavolo sulla crisi». E ha ripetuto in interviste radio e tv di venerdì mattina: «Lo sciopero è un mezzo per raggiungere degli obiettivi e mai un fine. Gli obiettivi sono di chiedere al governo di affrontare la crisi e di intervenire come stanno facendo gli altri governi europei. Se la crisi è eccezionale non si può affrontare con poche risorse. Perchè la francia sostiene gli investimenti, l'Inghilterra i consumi e noi non facciamo niente ?».
La crisi è «eccezionale», sta avendo «effetti molto pesanti sull'occupazione, sui giovani precari, sulla vita delle imprese, sui redditi dei dipendenti e dei pensionati», allora- chiede Epifani -«perchè il governo non apre un tavolo con il sindacato e con Confindustria per affrontare insieme i nodi strategici», «di cosa ha paura?».
Epifani ha partecipato al principale dei tre cortei di Bologna che si è mosso intorno alle 10 da Piazza XX Settembre per risalire il centro lungo via Indipendenza, mentre gli altri due, uno da Piazza Carducci e l'altro da Piazza San Felice, si incontrano in Piazza Maggiore. Tra gli striscioni e le bandiere del sindacato, anche tre statue di cartapesta che riproducono Berlusconi, la Gelmini e Brunetta. E i manifestanti, che anche qui sfilano sotto la pioggia, intona «Bella Ciao».
Il segretario della Cisl Raffaele Bonanni ancora venerdì, il giorno dello sciopero generale della Cgil, è tornato a polemizzare sulla bontà della protesta, definendola – sul sito ilsussidiario.net. - «uno sciopero generale che non aiuta i lavoratori, non serve ad impostare una seria politica contro la crisi economica, accentua le divisioni anzichè favorire la convergenza di tutto il sindacalismo confederale attorno ad una politica riformista e di sviluppo».
«A Cisl e Uil non ho niente da dire ma mi rammarico che non siamo insieme perchè le ragioni di questo sciopero sono sacrosante», gli ha risposto Epifani dalla manifestazione di Bologna.«I primi dati dello sciopero sono molto buoni e confortanti», ha detto poi il segretario della Cgil «soprattutto nelle fabbriche del Nord e questo dà ragione alla domanda di cambiamento della politica del governo».
Anche l'ex ministro del Lavoro, Cesare Damiano, in un'intervista a Il Giornale, ha rettificato l’iniziale critica allo sciopero generale della sola Cgil. «Se è inefficace - dice ora Damiano - non può essere dannoso, gli scioperi hanno un significato di mobilitazione delle coscienze, di segnalazione dei problemi». Sul fatto che ai cortei non parteciperanno molti esponenti del Pd e sullo stato attuale del partito, l'ex ministro Damiano dice: «Al momento convivono opinioni anche diverse, sarebbe auspicabile che il Pd avesse delle sedi di confronto capaci di portare a sintesi opinioni diverse».
Fonte: http://www.unita.it

martedì 9 dicembre 2008

Epifani: "Lo sciopero del 12 dicembre è per cercare una soluzione"

“Quello del 12 dicembre non è uno sciopero contro la crisi ma per dare una soluzione alla crisi e consentire al Paese di uscirne pagando prezzi più bassi possibili”. Guglielmo Epifani, segretario generale della Cgil, spiega così da Milano, in occasione dell’Attivo dei quadri e dei delegati milanesi, i motivi che hanno spinto la confederazione di Corso Italia ad indire lo sciopero generale del prossimo 12 dicembre. “Siamo di fronte ad alcune scelte del Governo che non ci convincono e ci sembra ormai un Governo rassegnato”, ha spiegato il numero uno della Cgil, sottolineando il fatto che “il nostro governo sia l’unico, tra i governi europei, a non aver affrontato la situazione di petto, sostenendo gli investimenti e i redditi da lavoro e da pensione, mi sembra una strategia attendista e rinunciataria”
“Finora” - ha poi aggiunto Epifani - il Governo ha solo proposto aiuti alle banche e sostegno, non corretto, nei confronti delle aree del bisogno. Il Paese ha invece necessità di una politica che aiuti le imprese a rinnovarsi e sostenga la domanda di consumo dei lavoratori dipendenti e dei pensionati”. In questi due modi, secondo il segretario generale della Cgil, “si potrà rendere la crisi più breve e uscirne con un Paese in piedi. In caso contrario il nostro diventerà un Pese in cui una parte soffrirà molto e non è detto che usciremo meglio dalla crisi. Quindi ritengo che la crisi possa essere una grande opportunità se però la si governa avendo un'idea, cosa che questo Governo mi sembra non abbia affatto”.
A chi imputa alla Cgil una posizione isolata, inoltre, Epifani ha replicato: “Vedo con piacere che quella che era la posizione apparentemente isolata della Cgil, si stia ora facendo strada anche in altre grandi organizzazioni”, ha detto in merito alle adesioni allo sciopero del 12 dicembre che aumentano di giorno in giorno. Epifani ha ricordato la posizione, anzitutto, presa da Confindustria “che ha ragione a dire che si fa poco nei confronti dell'impresa. Mi sembra che da parte del Governo vi sia una sorta di rassegnazione e in questa rassegnazione vi è molto poco per il mondo del lavoro e dell'impresa”. Per quanto riguarda le posizioni della Cisl, ha osservato - “adesso è molto preoccupata e dà numeri molto impegnativi sulla situazione dei possibili licenziamenti. Questo significa che abbiamo colto nel segno e che le nostre proposte erano quelle giuste”. Infine, rispetto al fatto che la Cgil andrà da sola in piazza il 12 dicembre, Epifani ha concluso: "Noi siamo molto, molto pazienti".

venerdì 5 dicembre 2008

Call center: Genovesi (Slc Cgil), circolare Sacconi farneticante

“La nuova circolare del ministero del Lavoro sui call center è giuridicamente farneticante, tecnicamente discutibile, socialmente grave”. Così Alessandro Genovesi, segretario nazionale di Slc Cgil (il principale sindacato dei call center) commenta la nuova circolare per il settore (la numero 25/08) emanata ieri dal ministero competente.
Spiega Genovesi: “È giuridicamente farneticante in quanto prendendo a riferimento una sentenza della Cassazione, omette di citare decine e decine di sentenze che, ai sensi del codice civile e delle principali norme di diritto nazionale e comunitario, partono da presupposti inversi, ovvero che sono l'organizzazione del lavoro e le modalità anche tecnico strumentali che fanno la subordinazione”.
“È tecnicamente discutibile – prosegue il sindacalista – in quanto, contestando indici presuntivi sulla subordinazione dei lavoratori dei call center anche in out bound presenti nella circolare n. 4 del 2008 - in quanto è il reale rapporto per come si configura a dover fare la differenza nel qualificare un lavoratore come subordinato o autonomo – si contraddice immediatamente, dicendo che gli ispettori "devono" riconoscere la genuinità presuntiva del lavoro autonomo”.
Infine, “è socialmente grave in quanto il messaggio che sottintende è evidente: da oggi si torna a tollerare abusi e a incoraggiare il precariato. Quegli abusi e quel precariato che hanno fatto dei call center il simbolo di una generazione senza diritti e senza futuro. Fortunatamente esiste il sindacato, la magistratura del lavoro, il codice civile e le leggi. Al di là della smania del ministro Sacconi, gli abusi continueranno ad essere denunciati e, come già avvenuto, spesso puniti”.
Così conclude Genovesi: “Intanto, anche per dare un segnale di attenzione alta e di sostegno alle tante imprese corrette che credono nel buon lavoro, ai tanti ispettori coraggiosi che vogliono continuare a svolgere la propria funzione e soprattutto ai tanti giovani precari dei call center che aspettano di avere riconosciuti diritti e tutele sacrosante, come Slc Cgil già nei prossimi giorni ricorreremo alla magistratura deputata per chiedere il ritiro della circolare”.

Fonte: http://www.rassegna.it

Nei call center una presunzione di “autonomia”.

Il ministero corregge le indicazioni per le ispezioni
Non è decisivo l'uso di mezzi o strutture del committente

Per il contratto a progetto con i call center, dopo varie circolari e la direttiva del 18 settembre scorso, arrivano ulteriori chiarimenti dal Ministero del Lavoro.
Con la circolare n. 25/17286 di ieri, il ministero del Lavoro risponde ad un quesito dell’Inps e chiarisce la posizione sui contratti a progetto, con particolare riferimento per quelli aventi per oggetto l’attività nei call center. Sul punto il Lavoro ricorda di essersi già espresso con le circolari n. 1 dell’8 gennaio 2004, n. 17 del 14 gennaio 2006, n. 4 del 29 gennaio 2008 e, da ultimo, con la direttiva del 18 settembre scorso.
Dal punto di vista operativo, il ministero chiarisce in primo luogo che l’accertamento ispettivo, riguardante i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, in qualsiasi modalità, anche a progetto, e le associazioni in partecipazione con apporto di lavoro, dovrà concentrarsi “esclusivamente” verso quelli che non siano stati già sottoposti al vaglio della commissione per la certificazione dell’articolo 76 del decreto legislativo 276/2003, salvo che non si evidenzi una palese incongruenza tra il contratto certificato e le modalità concrete di esecuzione della prestazione. In quest’ultima ipotesi saranno utili le dichiarazioni rese dai lavoratori interessati e tutti gli altri elementi che possano essere utilmente valutati ai fini della corretta qualificazione del rapporto di lavoro, tenendo conto delle richiamate circolari, ma senza dare rilevanza all’elencazione di attività e delle preclusioni contenute nella circolare 4/2008. Peraltro, con riferimento a tali esclusioni la questione era stata già trattata dalla direttiva di settembre, in quanto ritenute complessivamente non coerenti con impianto e finalità della legge Biagi.
Nel reprimere il fenomeno delle collaborazioni fittizie, la nota ministeriale richiama l’attenzione dell’ispettore a non adottare il principio della “presunzione di subordinazione” per determinare le tipologie di attività: questo principio, infatti, - riferisce la nota ministeriale – risulta chiaramente in contrasto con il decreto 276, ma anche con il consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza secondo cui ogni attività umana suscettibile di valutazione economica può essere resa in forma autonoma o subordinata, mentre decisivo è il requisito essenziale della subordinazione.
Quindi, là dove non sia presente l’elemento essenziale della subordinazione, anche i collaboratori che svolgono attività di promozione, vendita, sondaggi e campagne pubblicitarie in genere possono, anzi “devono” essere considerati lavoratori autonomi. Ne deriva anche che il collaboratore, impiegato in attività di call center “out bound”, è un prestatore di lavoro autonomo, ancorché coordinato e continuativo in base all’art. 409, n. 3, del Codice di procedura civile, quando svolge la prestazione in autonomia e cioè può liberamente prefigurare il contenuto della propria prestazione sulla base del risultato oggettivamente individuato dalle parti con il contratto di lavoro.
Non sono pertanto di per sé suscettibili di far disconoscere la natura autonoma del rapporto, ad esempio: l’utilizzo esclusivo di mezzi, materiali, e strumenti del committente; l’utilizzo di sistemi di chiamata in automatico, che necessariamente forniscono indicazioni al sistema informativo del committente circa la presenza del collaboratore e che mettono in comunicazione il collaboratore resosi in quel momento disponibile con l’utente telefonico; la prestazione eseguita all’interno della struttura del committente necessariamente soggetta ad un orario di apertura e chiusura, pur non essendovi il collaboratore vincolato; le istruzioni di massima fornite dal committente.

Luigi Caiazza
Fonte: Il Sole 24 Ore, 04.12.08, p. 35

giovedì 4 dicembre 2008

La circolare ministeriale 25/08 sui call center copre abusi e precariato

Come SLC-CGIL intendiamo esprimere forte preoccupazione dinanzi alla circolare n.25/08 emanata dal Ministero del Lavoro in materia di Collaborazioni coordinate e continuative “a progetto” e attività dei call center.
Denunciamo il forte rischio che i contenuti della Circolare rappresentino una regressione, anche sul piano della cultura dei diritti, che mette in pericolo il completamento del processo di stabilizzazione del rapporto di lavoro per quelle migliaia di lavoratrici e lavoratori che svolgono attività di call center outbound.
In particolare è preoccupante considerare, in assenza dell’elemento della subordinazione, lavoratori autonomi anche i collaboratori che, nello svolgere attività outbound, utilizzino mezzi, locali, sistemi di gestione delle chiamate forniti dal committente.
Grave è che la Circolare “dimentichi” decine di sentenze che hanno nel tempo sancito come siano l’organizzazione del lavoro e le modalità tecnico-strumentali della prestazione lavorativa a sancire il rapporto di subordinazione.
Il rischio, tutt’altro che ipotetico, è che questa sia la strada che porti nuovamente a quel clima di tolleranza verso abusi e precariato. Quello stesso clima che lo scorso 19 settembre, nel corso della Manifestazione nazionale dei call center outsourcing, migliaia di lavoratrici e lavoratori avevano chiesto venisse definitivamente spazzato via. Come SLC siamo sin da ora in campo per respingere questo che consideriamo l’ennesimo tassello di un programma di attacco al diritto del lavoro così come lo abbiamo conosciuto sino ad oggi. Già nei prossimi giorni ricorreremo alla magistratura deputata per chiedere il ritiro della Circolare perché i call center smettano definitivamente di essere il simbolo di una generazione senza diritti e senza futuro.

Roma, 4 dicembre 2008
SEGRETERIA NAZIONALE SLC-CGIL

mercoledì 3 dicembre 2008

Referendum validazione ipotesi di accordo siglata il 01/12/08

La Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil, vista la recente stipula di una ipotesi di accordo, illustrata nelle assemblee del 03 e 04/12/2008, indice il referendum di validazione dell’ipotesi in oggetto con le seguenti modalità:

- la votazione sarà segreta e si svolgerà sia presso la sede di Atesia (via Lamaro) che di Almaviva Contact (via di Casal Boccone) in aule appositamente adibite per il voto;
- sulla scheda saranno evidenti le caselle SI e NO rispettivamente per esprimere il proprio ACCORDO o DISACCORDO circa la proposta illustrata;
- per effettuare la votazione ci si dovrà presentare al seggio muniti di documento di riconoscimento o di badge aziendale con foto;
- il referendum si svolgerà in entrambe le sedi il giorno 05/12/2008 con orari di presidio differenti;
- il referendum avrà carattere nazionale (si voterà nello stesso periodo in tutte le sedi di Crm del Gruppo);
Il referendum presso la sede Atesia (Via Lamaro) si svolgerà il 05/12/2008 presso l'aula B5 dalle ore 07:00 alle ore 22:00.
Il referendum presso la sede Almaviva Contact (Via di Casal Boccone) si svolgerà il 05/12/2008 presso la sala sita al 3° piano della torre Marconi dalle ore 10:00 alle ore 20:00.
Lo scrutinio verrà effettuato immediatamente dopo la chiusura del seggio ed i risultati verranno pubblicati nelle bacheche sindacali in azienda.

Roma 02/12/2008
RSU SLC CGIL/FISTEL CISL/UILCOM ALMAVIVA CONTACT/ATESIA

Leggi il testo dell'ipotesi di accordo

lunedì 1 dicembre 2008

ASSEMBLEE

ASSEMBLEE

Si indicono le seguenti assemblee unitarie con ordine del giorno “VALUTAZIONE IPOTESI ACCORDO siglata il 01/12/2008” nei giorni:

03/12/2008 presso la sede di Atesia (via Lamaro 25)

- 07:00/08:30
- 09:00/10:30
- 11:00/12:30
- 15:00/16:30
- 17:00/18:30

04/12/2008 presso la sede di Almaviva Contact (via Casal Boccone 188)

- 09:30/11:00
- 11:30/13:00
- 15:00/16:30
- 17:00/18:30

Si ricorda a tutto il personale fuori sede che potrà partecipare alle assemblee indette presso la sede di Atesia.
Si invitano tutti alla massima partecipazione dati gli argomenti di estrema importanza ed interesse comune.
Le assemblee presso Atesia si svolgeranno nell’aula B5.

Roma 28/11/2008
RSU ATESIA/ALMAVIVA CONTACT

domenica 30 novembre 2008

Spiccioli e unità sindacale

Dall'editoriale: "Una manovra inesistente da cinque miliardi" di E. Scalfari

"Per il lavoro autonomo ci sarà la revisione degli studi di settore e la detassazione avverrà in quel modo. Ma per il lavoro dipendente non è previsto nulla di specifico. Non si capisce in questo quadro che cosa abbiano ottenuto la Cisl e la Uil che hanno dato il loro accordo a questa pseudo-manovra. La detassazione dei miglioramenti salariali di secondo livello? Ed è per questi spiccioli che hanno rotto l'unità sindacale?"

Fonte: http://www.repubblica.it

venerdì 28 novembre 2008

Comunicato Rsu Slc Cgil del 28.11.2008

LA FAVOLA DELLA VOLPE E L’UVA

Un’antica favola racconta di una volpe che per ore cerca di raggiungere un grappolo di uva posto troppo in alto per le sue corte zampe. Dopo ore di tentativi a vuoto, la volpe decide di andarsene e per salvare la faccia esclama “l’uva non era matura, non vale la pena che me la mangi”.
Ora qualche sigla sindacale, vuole spacciarsi per una volpe. Purtroppo per lei, la verità ha le gambe corte.
La proposta di un multiperiodale è venuta dall’azienda, per evitare di ricorrere a riduzioni di personale.
Qualcuno (indovinate chi) era per accettare la proposta aziendale, così come proposta, obbligatoria per tutti e senza nulla in cambio: noi di SLC-CGIL abbiamo proposto che fosse volontaria e che per la 5 e 6 ora (nei periodi di multiperiodale alto) vi fosse una maggiorazione del 10% (che per CCNL non toccherebbe). Abbiamo inoltre preteso che vi fosse una visibilità annua (per permettere alla gente di organizzarsi) e che vi fossero 100 ore minime di supplementare garantito (cioè che l’azienda richiede e che i lavoratori possono accettare o meno, ma sanno che hanno un minimo garantito in più). Infine abbiamo preteso un riferimento alle macro fasce, al fine di non alimentare eventuali tentativi di utilizzare il multiperiodale per far saltare un’importante conquista dei lavoratori. Abbiamo preteso che i 2 mesi a zero ore fossero frazionati per mese per evitare spezzettamenti, ecc.
Abbiamo cioè contrattato con l’azienda un testo di questo tipo, che potrebbe essere una buona mediazione:
Orario flessibile

Le parti concordano l’adozione nelle aziende del Gruppo, in via sperimentale per l’anno 2009 e per il solo bacino dei part time a 4 ore, un regime di orario flessibile, in ragione d’anno, così articolato:

2 mesi a 0 ore (periodo di flesso)
6 mesi a 4 ore
4 mesi a 6 ore (periodo di picco)

I 2 mesi a zero ore saranno frazionati a mese intero.

Le aziende, nei primi giorni di gennaio 2009, daranno ai lavoratori la visibilità annua del regime di orario di cui sopra (mesi a 0, 4 e 6 ore) e della matrice turni e riposi.

L’adesione al regime di orario flessibile avverrà su base volontaria. Le adesioni saranno raccolte entro e non oltre il 18 dicembre 2008. Le adesioni riguarderanno Almaviva Contact Palermo per le commesse Wind Assistenza Mobile e Sky; Atesia per la commessa TIM 119; Alicos per la commessa TIM 119.

Tenuto conto che i rappresentanti aziendali ritengono necessaria, per il corretto funzionamento di siffatta organizzazione, un’adesione dell’organico dei part time a 4 ore delle singole commesse interessate congrua alla risoluzione delle problematiche occupazionali, le parti effettueranno una verifica entro il 20 dicembre 2008 al fine di valutare, alla luce del numero delle adesioni, la possibilità di realizzare la sperimentazione anche allargando la platea dei part time a 4 ore addetti ad altre commesse o, nella impossibilità oggettiva, il ricorso ad altri istituti idonei a far fronte alle problematiche occupazionali rappresentate dal Gruppo Almaviva.
In funzione delle esigenze produttive, i rappresentanti aziendali valutano la necessità di ricorrere, nei mesi di attività, al lavoro supplementare, nel rispetto del vigente CCNL ivi compreso il consenso del lavoratore. Si stima che, in funzione delle percentuali di cui sopra, la misura di tale ricorso sarà di almeno 100 ore, in ragione d’anno, per ciascun lavoratore che aderirà al regime di flessibilità e al quale sarà riservata la prestazione di tali ore. Al fine di favorire l’efficacia dell’orario flessibile e favorire l’inserimento nell’attività lavorativa dopo i periodi di sospensione, si prevede la programmazione di 20 ore, delle 100 di cui sopra, di attività di re-training. La retribuzione delle suddette ore di lavoro supplementare rientra nel regime di imposta sostitutiva prevista dall’art. 2 del decreto legge n 93/08 convertito nella legge n. 126/08.
I lavoratori conservano a tutti gli effetti il loro profilo orario di origine, per cui seguiteranno a percepire ogni mese la retribuzione rapportata a 4 ore di lavoro giornaliero e, quindi, anche a fronte di eventuali assenze saranno sempre scomputate 4 ore.
Nei periodi di picco (4 mesi a 6 ore), per ciascuna giornata di assenza per ferie e permessi ROL e ex festività soppresse, saranno computate 6 ore.
In relazione al regime di orario concordato che comporta l’incremento della produttività e della efficienza organizzativa, e al fine di incentivare l’adesione dei lavoratori, per i 4 mesi a 6 ore sarà corrisposto un importo, aggiuntivo alla normale retribuzione, pari al 10% della quinta e sesta ora calcolato sui seguenti elementi: paga base, EDR, scatti di anzianità ed eventuali superminimi . Tale importo, che rientra nel regime di imposta sostitutiva prevista dall’art. 2 del decreto legge n 93/08 convertito nella legge n. 126/08, sarà esclusa dalla base di calcolo del TFR.
Nel caso di passaggi in corso d’anno da part time a 4 ore a part time a 6 ore come da accordo del 21 maggio 2008, le parti si incontreranno per gli aspetti applicativi. Il regime di orario flessibile è compatibile con le macro fasce.
Le parti effettueranno, entro giugno 2009, una verifica della sperimentazione relativa al regime di orario flessibile, anche al fine di valutare la possibilità di estenderla ad altri profili di part time e ad altre commesse”.

Quello che a noi interessa è fare un buon accordo: buono per i lavoratori innanzitutto che come sempre saranno chiamati a valutarlo. Se i lavoratori stanno bene, il merito è prima di tutto loro che, con l’adesione al sindacato e alle mobilitazioni, ci hanno reso tutti più forti.

RSU – SLC CGIL ATESIA ALMAVIVA CONTACT


giovedì 27 novembre 2008

Comunicato Segreteria nazionale SLC CGIL del 27.11.08

PERMESSI PER GRAVE INFERMITA’ LEGGE 53/00: MINISTERO DEL LAVORO CHIARISCE POSIZIONE E DA RAGIONE A SINDACATO

Con un interpello il Ministero del Lavoro, da più parti sollecitato, ha chiarito l’inapplicabilità della soluzione interpretativa adottata in passato, che prevedeva che dovessero essere esclusivamente le strutture medico legali della Aziende Sanitarie Locali a rilasciare la documentazione per usufruire dei permessi per grave infermità previsti dalla legge 53/2000.
Da tempo denunciavamo infatti che le strutture medico legali delle AA.SS.LL., territorialmente competenti, non sono disponibili a rilasciare la certificazione afferente la valutazione in termini di grave infermità per due ordini di ragioni.
In primo luogo, non sussistono riferimenti normativi concernenti i criteri di riscontro delle ipotesi di grave infermità, salvo le disposizioni contenute nel D.M. del Ministero della Difesa del 26/03/1999; inoltre le AA.SS.LL. non intendono quasi mai esprimere una valutazione sul merito delle certificazioni clinico-diagnostiche rilasciate dagli specialisti.
L’effetto era l’impossibilità di utilizzare i permessi previsti, ledendo un diritto per noi fondamentale.
Insieme ad altri sindacati per tanto avevamo chiesto al Ministero di procedere al riesame della problematica, sulla base di una nuova valutazione e puntualizzazione in ordine ai referenti normativi relativi al concetto di grave infermità, nonché alle modalità di fruizione dei permessi retribuiti art. 4 legge 53/2000.
Il Ministero oggi ci da ragione e dichiara che “si considera (…) idoneo il certificato redatto dallo specialista dal quale sia possibile riscontrare sia la descrizione degli elementi costituenti la diagnosi clinica che la qualificazione medico legale in termini di grave infermità. Tale soluzione trova, peraltro, riscontro nella circolare INPS n. 32 del 3/03/2006 sulle certificazioni per la fruizione dei permessi ex L. n. 104/1992, nel punto in cui afferma che il medico specialista, in virtù della facoltà allo stesso ascritta ex D.L. n. 324/1993, non può esimersi dall’attribuire alla mera diagnosi clinica la qualificazione di natura anche medico legale. Si ribadisce in proposito che deve trattarsi esclusivamente di certificazione medica rilasciata dalle strutture ospedaliere e dalle AA.SS.LL.”.
Non servirà cioè una documentazione fornita dalle strutture medico legali, ma semplicemente quello dello specialista specifico.

La Segreteria Nazionale di SLC-CGIL

Interpello 16/2008
Precisazione del Ministero del lavoro

mercoledì 26 novembre 2008

CGIL: SCIOPERO GENERALE DEL 12 DICEMBRE COSA CHIEDIAMO AL GOVERNO

SCIOPERO GENERALE DEL 12 DICEMBRE COSA CHIEDIAMO AL GOVERNO

I. L’urgente avvio di un tavolo “anticrisi”, coordinato dalla presidenza del Consiglio, sulla tutela dell’occupazione e sulla politica dei redditi, con l’obiettivo di aumentare i redditi da lavoro e da pensione ed ampliare il welfare.
II. Una cabina di regia tra governo e parti sociali per verificare lo stato di attuazione dei provvedimenti anticrisi che il nostro paese deciderà di adottare.

LA CONFERENZA NAZIONALE DEI DELEGATI CGIL DEL 5 NOVEMBRE RIVENDICA

Misure a Sostegno all’ Occupazione

L’incremento della dotazione del Fondo per gli ammortizzatori sociali, la sua estensione a tutti i lavoratori che attualmente non ne hanno diritto a partire dai precari; l’utilizzo delle risorse destinate alla detassazione degli straordinari a favore di provvedimenti di sostegno all’occupazione con incentivi di natura fiscale fondati su sgravi o credito d’imposta per l’assunzione a tempo pieno e indeterminato.

Misure di Sostegno al Reddito

Un intervento strutturale di riduzione del prelievo fiscale su salari e pensioni nel prossimo biennio con l’immediata restituzione del fiscal drag a tutti i lavoratori e la detassazione immediata delle tredicesime e dei premi di produzione/risultato.
Agevolazioni nella ricontrattazione dei mutui sostituendo il tasso Euribor con il tasso applicato dalla Bce al rifinanziamento delle banche, ne scaturirebbe un forte beneficio considerato che, al 20 ottobre 2008 l’Euribor a tre mesi si attesta a 5,09% a fronte di un tasso Bce del 3,75%.
Contenere gli aumenti di tariffe, rette, contributi, tickets, per i servizi a domanda collettiva e individuale.

Welfare e rafforzamento della Coesione Sociale

Rafforzamento del sistema di welfare, con un piano straordinario per ampliare i servizi per l’infanzia e per la non autosufficienza degli anziani.
Rinunciare ai processi di deregolamentazione dei diritti del lavoro e della destrutturazione della scuola pubblica introdotti dai DL 133 e 97 e dalle Leggi 120 e 133 del 2008.
Il blocco delle espulsioni dei lavoratori immigrati in caso di perdita di lavoro per crisi aziendali.

CGIL, sempre dalla tua parte

martedì 25 novembre 2008

ATTACCO SU SCALA MONDIALE AI DIRITTI DEI LAVORATORI

LE CONSEGUENZE DELLA RECESSIONE ECONOMICA MONDIALE
“ATTACCO SU SCALA MONDIALE AI DIRITTI DEI LAVORATORI ”

Le elezioni negli Stati Uniti hanno obbligato il governo Bush ad ammettere la gravissima crisi in cui versa l’economia mondiale dopo averla negata e nascosta per 18 mesi.
Oggi scopriamo una economia globale caratterizzata da:
Stati Uniti in recessione, Europa in forte rallentamento economico, Asia in sottoproduzione per la progressiva diminuzione della spesa al consumo nei paesi occidentali e statistiche mondiali sul lavoro che creano grandissima preoccupazione e aprono forti rischi sui diritti.

Nel mondo ci sono tre miliardi di lavoratori, di questi il 49,9% è impiegato in lavori vulnerabili (privi dei minimi diritti di base del lavoro); in Cina, India, America Latina, Europa Centrale e Sudorientale e Russia il 25% dei lavoratori guadagna non più di due euro al giorno; nel mondo ci sono oggi 210 milioni di disoccupati.

Questi sono i frutti avvelenati di una economia globale basata da 10 anni sulla crescita della speculazione finanziaria mondiale ai danni della produzione reale e del lavoro produttivo con un sistema internazionale di distribuzione della produzione, della ricchezza e dei consumi tra le nazioni ineguale ed assurdo, dove masse sterminate di lavoratori, sottopagati e privi di diritti non hanno redditi sufficienti per consumare le merci che producono. Mentre all’interno dei paesi più avanzati, la finanziarizzazione ha avviato una progressiva contrazione della capacità di acquisto dei redditi da lavoro, la diminuzione degli standard dei diritti sociali e forti crisi occupazionali, con processi di redistribuzione della ricchezza caratterizzati da gigantesche disuguaglianze a favore dei più ricchi.

CHI PAGHERA’ LA CRISI MONDIALE ?

La crisi economica mondiale sta determinando globalmente tre effetti congiunti:

• la scelta dei governi di privatizzare i profitti e socializzare le perdite delle banche
• sostenere le imprese con il credito agevolato e le riduzioni/agevolazioni fiscali
• il sostegno ai consumi che per ora è solo annunciato ma privo di fondi

L’Italia si caratterizza per un quarto drammatico elemento dovuto alle leggi 133 e 120:
• la riduzione strutturale della spesa per lo stato sociale, per i diritti del lavoro, per i redditi da lavoro dipendente e per l’abbandono al proprio destino dei precari

I lavoratori di tutto il mondo, dunque, pagheranno la crisi e di fatto finanzieranno la socializzazione delle perdite bancarie ed i fondi per sostenere le imprese, attraverso la riduzione dei livelli di reddito e occupazionali e dei livelli dei diritti e dello stato sociale.
La crisi economica internazionale sta dunque diventando un alibi per attaccare su scala globale i diritti ed i redditi da lavoro, aumentando nel mondo le masse sterminate di lavoratori sottopagati, precari e privati dei diritti fondamentali del lavoro.
DIFENDERE IL LAVORO, ESTENDERE I DIRITTI
PER AVERE UN FUTURO CIVILE


SLC CGIL ROMA E LAZIO


mercoledì 19 novembre 2008

No alla proposta di Confindustria sul modello contrattuale

LA PROPOSTA DI CONFINDUSTRIA
SUL MODELLO CONTRATTUALE
NON VA BENE ED E' IN NETTO CONTRASTO
CON LA PIATTAFORMA UNITARIA

Per la Cgil, la trattativa con Confindustria è esaurita ed è necessaria l'apertura di un tavolo negoziale con tutti i soggetti imprenditoriali pubblici e privati e con il Governo per ridefinire un modello contrattuale universale condiviso.
L'impianto proposto da Confindustria, le iniziative del Governo con la manifesta volontà di cancellare i contratti di lavoro pubblici, l'accordo separato nel contratto del commercio e terziario indicano il concreto rischio che si moltiplichino i modelli contrattuali, si cancelli l'attuale modello valevole per tutti i lavoratori, si generi una rincorsa al ribasso fra contratti (dumping contrattuale) indebolendo ulteriormente le categorie più frammentate.
Siamo nettamente contrari alla cancellazione di un unico modello contrattuale perché non vogliamo che prenda piede il "federalismo contrattuale" (ritorno alle gabbie salariali) e che vengano abbandonati i diritti contrattuali nazionali.
La CGIL ha giudicato il documento di Confindustria incompatibile con la piattaforma unitaria presentata da CGIL, CISL e UIL.
Ecco alcune delle nostre ragioni:
- L'indicatore che Confindustria vorrebbe utilizzare per determinare gli aumenti contrattuali non risponde all'inflazione realisticamente prevedibile e non è accompagnato da verifica e recupero dell'eventuale scostamento tra l'inflazione reale e quella prevista. Così si determina la riduzione programmata dei salari contrattuali;
- La base di calcolo proposta per definire gli aumenti contrattuali nazionali comporterebbero, nelle singole categorie, riduzioni che varierebbero dal 12% al 30%, rispetto al sistema attualmente in vigore;
- Gli sgravi fiscali solo sul 2° livello di contrattazione rispondono a pochi. Per noi deve essere ripresa la vertenza generale sul fisco con la restituzione del fiscal drag ai lavoratori e ai pensionati;
- Non vi è allargamento della contrattazione di 2° livello. Anzi, dalla totale variabilità e indeterminatezza dei premi proposta deriverebbe addirittura una riduzione della contrattazione;
- Sono inaccettabili le procedure che limitano l'autonomia contrattuale delle categorie e mettono in discussione le prerogative delle RSU. Le proposte sanzionatorie, derogatorie, l'arbitrato, la conciliazione e le proposte sulla bilateralità sono la negazione del rilancio della contrattazione;
- La possibilità di derogare è prevista solo per peggiorare e non per innovare e migliorare con la contrattazione di 2° livello la prestazione lavorativa;
- Confindustria sulla bilateralità ha sempre detto no. Ora propone di assumerla e allargarla fino a prevedere per l'ente bilaterale un ruolo di collocatore di mano d'opera, di gestore di ammortizzatori sociali e delle assicurazioni sanitarie e certificatore dei rapporti di lavoro.

Così si vuole snaturare il sindacato
e la sua rappresentanza.

Queste sono le posizioni sostenute dalla CGIL. Sulla base di queste posizioni abbiamo affermato che per noi la trattativa con Confindustria è esaurita ed abbiamo rivendicato un tavolo con tutti i soggetti imprenditoriali pubblici, privati e con il Governo che ancora oggi propone per i lavoratori del pubblico impiego aumenti contrattuali del 1,7% pari a 65 €. per 2 anni.


Sintesi della piattaforma unitaria di CGIL, CISL e UIL presentata e discussa in migliaia di assemblee con i lavoratori.

-Fare un accordo per un sistema contrattuale unico (industria, commercio, servizi, pubblico impiego,ecc.)
-Un sistema contrattuale supportato da un quadro di regole che definiscano una politica dei redditi come rivendicato dalla piattaforma CGIL, CISL e UIL
- Salvaguardare il potere di acquisto nei CCNL attraverso un indicatore realistico (indice dei prezzi armonizzato europeo)
-La durata dei CCNL con cadenza di tre anni intervallato dalla contrattazione di secondo livello
- Certezza sugli aumenti salariali con decorrenza alla scadenza del CCNL
- Favorire e allargare la contrattazione di secondo livello con la detassazione e la decontribuzione degli aumenti pensionabile
- Prevedere regole nei CCNL di esigibilità della contrattazione aziendale o territoriale con un salario per obiettivi
- La democrazia e la rappresentanza certificata

Il documento di Confindustria.

Nel documento di Confindustria si chiede lo sganciamento dell'evoluzione del salario dal potere di acquisto, la dinamica salariale è tutta subordinata alla produttività del sistema economico/produttivo del settore o aziendale.
Si afferma la supremazia dell'azienda sul lavoro.
E' UN SISTEMA CHE GUARDA SOLO ALLA SUA RAPPRESENTANZA E, QUINDI NEGA IL MODELLO UNIVERSALE.
- Non c'è alcun legame con una politica dei redditi più equa ed a tutela dall'inflazione, manca ogni relazione con il fisco;
- Sul salario prevede che l'inflazione importata sia depurata dagli aumenti energetici;
- Vuole il calcolo degli aumenti contrattuali su un valore medio più basso di quello attuale;
- Prevede contratti triennali e una possibilità di contrattazione di secondo livello secondo l'attuale prassi, quindi non l'estensione;
- Nel documento si prevede la possibilità di deroghe aziendali all'applicazione di contratti collettivi, sia per parti economiche che per parti normative;
- Si introducono principi di superamento del principio di tutele universali in materia di sostegno al reddito, sanità, mercato del lavoro, ecc;
- Si prevede uno snaturamento della bilateralità fin qui conosciuta, introducendo una sorta di gestione di strumenti attivi e selettivi delle tutele (certificazione
dei contratti, formazione, ammortizzatori);
- Si introduce il principio delle sanzioni della contrattazione sindacale, prevedendo delle penali per le organizzazioni che non rispettano le procedure, mentre nessuna norma è prevista per l'impresa inadempiente.
In merito alla rappresentanza propone che la certificazione avvenga tramite INPS.

LA CGIL CHIEDE DI RITORNARE ALLA PIATTAFORMA UNITARIA
PER RESPINGERE L'ATTACCO DI CONFINDUSTRIA E DEL GOVERNO E
CONQUISTARE RISPOSTE CONCRETE PER LAVORATORI E PENSIONATI

Sporco negro: pestaggi e umiliazioni

Vittime: rumeni, marocchini, ma soprattutto neri. Mentre c’è chi minimizza («solo episodi»), in un paese armato di rabbia e di paura si moltiplicano le aggressioni agli immigrati. «Non crederai mica di poter entrare dappertutto solo perché adesso ha vinto Obama». Comincia così, davanti a una discoteca padovana, il viaggio al termine dell’intolleranza italiana, in questa notte della convivenza che si lascia dietro insulti, rabbia, botte e sprangate come non se n’erano mai viste: il catalogo è deprimente, ma è questo. Si chiama Pietro, ha 24 anni, studia Economia a Ca’ Foscari, l’università di Venezia, e ha deciso di passare la serata al Victory di Vicenza, una discoteca. Gli amici entrano, lui si attarda a parlare con uno di loro, poi, alla porta d’ingresso, quelle parole: «Non crederai mica di poter entrare dappertutto solo perché adesso ha vinto Obama». Pietro è un cittadino italiano di colore: aveva 4 anni quando i suoi genitori lo hanno adottato, strappandolo al mattatoio del Burundi. Lui e altri due piccoli ai quali avevano sterminato la famiglia, tutti e tre figli della coppia: operatori penitenziari ai quali non resta che presentare un esposto in Procura perché a Pietro è stato impedito di entrare in un pubblico locale per motivi razziali, per il colore della sua pelle. Alla faccia dell’articolo 3 della costituzione, che troppi sembrano aver dimenticato, mentre un ripasso farebbe proprio bene: «Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono uguali davanti alla legge, senza distinzioni di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali».

Quelli della discoteca si sono difesi dicendo che il ragazzo non è stato fatto entrare perché ubriaco, anche se l’uscita su Obama dimostra tutt’altro, ma Pietro li smentisce. E suo padre aggiunge: «Non vogliamo avere ragione a tutti i costi, ma vogliamo la verità». La stessa frase pronunciata, un mese fa, dal padre di Emmanuel Bonsu, il 22enne ghanese che dichiarò di essere stato pestato, a Parma, dai vigili urbani. Pestato, ingiuriato, obbligato a spogliarsi e a fare piegamenti con una bottiglia di acqua in testa. Quindi rispedito a casa con una busta, con sopra vergate le sue generalità: «Emanuel Negro». Anche quelli si difesero, accusando il ragazzo di essere il palo degli spacciatori e di aver fatto resistenza a pubblico ufficiale, ma la scorsa settimana il pm che segue il caso ha squarciato il velo su quelle false accuse e sui reati di cui dovranno rispondere gli agenti, dieci in tutto: percosse aggravate, calunnia, ingiuria, falso ideologico e materiale, violazione dei doveri d’ufficio, con l’aggravante dell’abuso di potere. Emmanuel è stato operato all’occhio tumefatto ma ha ancora paura di uscire da casa, perché ha ricevuto cinque lettere di minaccia, come non fosse bastato sentirsi dire, dentro il comando: «Confessa, scimmia. Sei solo un negro». Chi siano quei dieci, lo decida il lettore.

«Episodi isolati», ha fatto sapere il sindaco di Parma. Certo quei vigili non devono aver dato il buon esempio se, dieci giorni dopo la notizia del pestaggio, Boakye Danquah, 35 anni, anche lui ghanese, è stato aggredito su un bus da due albanesi che si sono sentiti molto bianchi e molto autorizzati a farlo sloggiare dal sedile che occupava nel bus, mandandolo all’ospedale. Razzismi di seconda mano, matrioske dell’intolleranza, come quello dei due romeni che, a Ragusa, lo scorso 24 ottobre, hanno aggredito un somalo, al grido di «sei un nero» regalandogli una prognosi riservata e regalandosi un’accusa di tentato omicidio, aggravato dall’istigazione razziale.

Una sorta di reazione a catena, il più debole – oggi, il nero – a soggiacere: una rivalsa-parificata per l’intolleranza e le aggressioni che anche a romeni e albanesi tocca subire. Pure da morti. «Bruciate ancora rumeni di merda», hanno scritto il 2 ottobre su un muro di Sesto San Giovanni, accanto al luogo dove, pochi giorni prima, un ragazzino romeno era morto a causa di un incendio.

Romeni e albanesi sono, nel sondaggio Ispos-Magazine, i meno sopportati tra gli immigrati. I reati odiosi di cui alcuni connazionali si sono macchiati hanno fatto spesso terra bruciata nei giudizi sulle due comunità, specie quella romena (la più numerosa oggi in Italia, con quasi 500mila presenze), che ha ereditato anche il ruolo di capro espiatorio: se ai tempi del delitto di Erika&Omar a Novi Ligure all’inizio fu caccia all’albanese, oggi la parte tocca al romeno, come accaduto il 2 novembre a Bolzano, quando un ragazzo di 16 anni, che aveva rotto una porta-finestra, non ha trovato di meglio, per giustificarsi, che simulare una rapina ad opera di due romeni, rimediando una denuncia alla procura dei minori. Ed è romena Ana Demian, 21 anni, studentessa di economia che, a Cagliari per il progetto Erasmus, s’è vista rifiutare una camera per via della sua carta d’identità, nonostante lo spot «Piacere di conoscerti» che il governo romeno manda in onda sulle reti televisive italiane. Ed è albanese Stefano M, 19 anni, in coma, a Genova, per le sprangate ricevute da un tizio di Cogoleto che frequentava il suo stesso oratorio e che da tempo lo minacciava: «Sporco albanese, prima o poi ti ammazzo ». Fino a quando non ci ha provato, sfondandogli il cranio, nonostante i carabinieri fossero già stati messi sull’avviso, per via delle continue provocazioni razziste. È accaduto a metà ottobre, a un mese di distanza dall’omicidio, a Milano, di Abdul Guibre detto Abba, cittadino italiano originario del Burkina Fasu, sospettato dai gestori di un bar, padre e figlio, di aver preso dei biscotti dal banco e sprangato a morte. E dalla strage di Castelvolturno, sei neri ammazzati dalla camorra, per dare un segnale, subito raccolto dalle scritte razziste apparse sui muri di Roma: «Minime in Italia: Milano -1, Castelvolturno -6». La temperatura dell’odio.

Ma poi, episodio davvero isolato, quello degli agenti municipali di Parma? Mica vero se lo scorso 25 settembre, quattro vigili urbani di Milano sono stati condannati (pene tra i 3 anni e gli 8 mesi) per aver fermato senza motivo una donna ucraina, averla denunciata come ambulante, insultata e presa a schiaffi, fabbricando persino prove a suo carico e falsificando i verbali. E il senegalese Diop Moussa ammanettato e scaraventato a terra il 9 ottobre davanti agli occhi del figlio (e dei suoi compagni) che aveva appena accompagnato a scuola per un diverbio con i vigili sul parcheggio dell’auto? Sì, sempre a Milano, dove un lavavetri romeno, il giorno seguente, ha accusato un agente municipale di averlo picchiato, davanti a 4 testimoni. Reazioni? «Andiamoci cauti, niente caccia alle streghe».

Allora lasciamo le strade e saliamo su un bus. Per esempio su quello che va da Bergamo a Seriate, dove due studentesse raccontano a L’Eco di Bergamo ciò a cui hanno assistito: quando una donna ha dichiarato di non trovare più il cellulare, il controllore si è avvicinato a un romeno, decidendo che fosse lui il ladro, facendogli togliere il giubbino, poi il resto fino a intimargli di levarsi le mutande. Niente, del telefonino nessuna traccia, ma il controllore non s’è fermato: ha tolto 70 euro dal portafoglio dell’uomo e li ha dati alla donna come indennizzo, gridando dietro al romeno, durante il prelievo: «Metti le mani qui che ti spacco le dita e ti mando all’ospedale».

Certo, c’è anche il bus di Ozzano dell’Emilia, nel Bolognese, dove è stato denunciato un autista che ha fatto inginocchiare sullo scuola-bus un bambino marocchino di 11 anni «perché non stava buono». E poi c’è la storia di Varese, sempre in ottobre, che fa tornare alla mente Rosa Parks e quell’autobus di 50 anni fa, a Montgomery, Alabama, visto che ad Anna, 15enne di origini maghrebine, i compagni di viaggio, studenti lombardi, prima hanno detto «marocchina di merda» e poi l’hanno obbligata a cedere il posto «non suo, perché non italiana». A suon di botte: per Anna occhi pesti, collare cervicale e naso rotto.

E la politica? Non resta a guardare: ribolle di indignazione o soffia sul fuoco. Specie se in campagna elettorale. Finendo, a volte, per scottarsi. Come a Trento, dove la Lega ha coperto la città di manifesti con lo slogan: «Dellai ha rovinato le piazze, noi le ripuliamo». Nell’immagine immigrati e poliziotti nei giardini di piazza Dante. Senonché i due tizi ritratti sul manifesto, cittadini polacchi incensurati, non hanno gradito la scelta di passare per delinquenti e nonostante l’onorevole leghista Fugatti abbia spiegato che era solo un messaggio «perché i giardini devono essere trentini », i due hanno denunciato per diffamazione il suo partito. Anche se, proprio in Trentino, ci sono nuovi esempi di integrazione come racconta l’ingresso dei bambini marocchini nella Sat, lo storico sodalizio dell’alpinismo. Eppure di questi tempi è come se i mille esempi di convivenza, che hanno fatto l’Italia degli ultimi anni, fossero messi in mora da quest’aria che tira e che libera folate di rabbia pure sulla storia, a suo modo esemplare, di Gabriel Bogdan Ionescu, il giovane pirata informatico romeno, condannato in primavera a 3 anni e un mese dal Tribunale di Milano per i suoi traffici di hacker bancario e ora primo classificato al test di ingresso alla facoltà di Ingegneria Informatica del Politecnico di Milano. Come se il genio (matematico, nel caso) dovesse fare la fila e chiedere permesso (magari di soggiorno) per trovare lavoro.

Pregiudizio. Ostilità. E violenza. Il catalogo dell’ultimo mese non è finito ed è davvero impressionante: a Figline, in Toscana, sono stati condannati, con l’aggravante del razzismo, due giovani italiani che hanno sprangato due operai kosovari; poi ci sono stati i raid di Roma: uno contro un ragazzo cinese, uno contro tre immigrati di origine egiziana; e quello di Castronno, in provincia di Varese, dove un naziskin ha picchiato dei dominicani. «Sporco marocchino vai a cucinare a casa tua», pronunciato da standisti del Salone del Gusto, ha innescato una rissa a Torino, dove venti giorni prima, il 9 ottobre, è stata rinviata a giudizio la donna che ha insultato una donna, sempre di origini marocchine, a colpi di «Hitler aveva ragione». E «sporco negro» per Assuncao Benvindo Muteba, 24 anni studente angolano, massacrato di botte a Genova, mentre più fantasia ha mostrato quella maestra elementare di Milano che alla mamma di un bambino di colore, da lei adottato, ha urlato: «Signora, riporti suo figlio nella giungla».

Variante infantile dell’invito «torna in Africa a mangiare le banane» pronunciato l’11 ottobre da un giocatore del Novendrate, campionato provinciale comasco, all’avversario Cheikh Cissé e, il 19 ottobre, da un arbitro di basket pavese nei confronti di un giocatore della Bopers Casteggio, durante un incontro di serie D. Perché lo sport non resta mai indietro e anzi, su certi temi - le curve insegnano - detta persino la linea. E accade così che il cerchio, sui razzismi di casa nostra, si chiuda in un campo da calcio, molti chilometri più a sud, due domeniche fa. E nel nome del nuovo presidente Usa - che ha fatto pure da incipit a questo viaggio - citato dalla rabbia di chi, e sono tanti, a casa nostra è rimasto spiazzato dall’esito dell’elezione americana, visto che a Mahamadou Sakho, portiere senegalese del Sogliano, campionato d’Eccellenza pugliese, hanno gridato dietro, sì, «sporco negro», ma aggiungendo all’insulto «fratello di Obama». A imperitura difesa della pura razza italiana.
Autore: Cesare Fiumi
Fonte: http://www.corriere.it

giovedì 13 novembre 2008

06 22 22: il call center dell'Alitalia sta perdendo la sua voce

06 22 22

Numero Unico Call Center Alitalia

IL CALL CENTER DELL’ALITALIA STA PERDENDO LA SUA VOCE!





  Alicos: l'isola degli ignoti  

1600 Lavoratori di Alicos a Palermo
1600 Famiglie
stanno perdendo il proprio lavoro
nell'indifferenza dell'opinione pubblica
e delle istituzioni!
Viviamo da settimane nella più completa incertezza sul nostro futuro

Lanciamo un appello a CAI affinchè confermi il contratto con Alicos
perchè questa è la condizione essenziale per difendere il nostro posto di lavoro, il nostro futuro
Nella vicenda Alitalia siamo i lavoratori invisibili di cui nessuno parla!
Rispondiamo ai clienti Alitalia 7 giorni su 7, 24 ore su 24
da più di 7 anni
con competenza e professionalità da tutti riconosciuta!
gestiamo 2 milioni di chiamate all'anno, 500 mila biglietti venduti
.....eppure nessuno parla di noi!
SIAMO LA CASSA E LA VOCE DI ALITALIA
MA NESSUNO CI ASCOLTA!!!