venerdì 24 dicembre 2010

Mirafiori, firmato l’accordo


Stravince la linea Marchionne
Azzerato il potere delle rappresentanze sindacali,
ma a dissociarsi è solo la Fiom


Sergio Marchionne è riuscito ad avere a Mirafiori un nuovo contratto su misura con il sì di Fim, Uilm, Ugl e Fismic e il no della Fiom che si tira fuori dall’intesa e parla di “firma della vergogna”. L’accordo è stato siglato ieri sera dopo una nuova giornata di discussioni e limature al testo che la Fiat aveva già presentato lo scorso 3 dicembre. I circa 5500 operai delle Carrozzerie di Mirafiori saranno così “licenziati” dalla Fiat e riassunti dalla New.co, frutto della joint venture tra Fiat e Chrysler, e che non aderirà a Federmeccanica, che si impegna a investire un miliardo di euro per dare avvio alla produzione del Suv Chrysler e dei modelli Alfa Romeo. Un passaggio d’epoca, per certi versi, che sancisce la fuoriuscita del Lingotto dalla Confindustria e l’avvio di una stagione nuova per la casa automobilistica torinese. Giorgio Airaudo, segretario piemontese della Fiom e responsabile Auto la sintetizza così: “One company, one trade union”, cioè un modello all’americana secondo il quale per ogni azienda ci sarà un sindacato specifico.

Marchionne è ovviamente molto contento, parla di “bel momento per i lavoratori” e assicura che l’investimento “partirà in tempi brevi”. La soddisfazione dell’amministratore Fiat è lecita perché la novità più rilevante dell’intesa di ieri è tutta di politica sindacale e con un colpo solo, infatti, Marchionne ottiene più risultati.

Innanzitutto, con la fuoriuscita dall’Associazione degli Industriali, non è più costretto a riconoscere il contratto nazionale siglato da Federmeccanica. Quel testo è cosa “d’altri”, alla Fiat non interessa più e quel sindacato che volesse ricorrervi per contestare le intese aziendali si troverebbe con le armi spuntate. In secondo luogo abolisce in fabbrica le relazioni sindacali stabilite dall’accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil del 1993 – quelle con cui vengono elette le Rappresentanze sindacali unitarie. A Mirafiori non saranno più valide e i sindacati riconosciuti sono solo quelli che firmano l’intesa. Niente più Rsu, cioè delegati eletti da tutti i lavoratori e titolari anche della contrattazione aziendale, ma ripiego sulle Rsa, le rappresentanze sindacali aziendali che vengono nominate da ciascun sindacato e che non hanno alcun potere contrattuale.

Su questo si concentra la determinazione della Fiom, che a Mirafiori è il primo sindacato – e che non sarà rappresentato nella nuova joint-venture – a non firmare l’accordo. “È un fatto gravissimo, ci dice Airaudo, perché si stabilisce che a rappresentare i lavoratori sono solo quei sindacati che sono d’accordo con l’azienda”.

Dal canto loro, Fim e Uilm, se hanno scelto di accettare quello che non andava bene il 3 dicembre, il contratto separato e l’uscita da Confindustria, è perché si sentono rassicurate dalla Fiat che ha specificato che “qualora Confindustria recepirà i contenuti dell’accordo di ieri allora la Fiat, cioè la new.co, rientrerà” nell’associazione degli industriali. Un modo per affermare la priorità del testo torinese su tutta la contrattistica nazionale. Per Marcegaglia uno smacco e una sconfessione esplicita.
Ottenuto il punto fondamentale, i dirigenti Fiat al tavolo della trattativa, guidati dall’inossidabile Rebadeungo hanno aperto con molta timidezza ad alcune delle richieste del sindacato. E così la pausa mensa, che Fiat voleva porre a fine turno, come a Pomigliano, rimarrà all’interno dell’orario di lavoro ma solo fino a che la Joint Venture non andrà a regime.

Per quanto riguarda l’assenteismo la “mediazione” finale prevede che la Fiat si limiterà a non pagare “solo” i primi due giorni di assenza malattia, invece dei primi tre, riservandosi però un’ulteriore sanzione dopo sei mesi in seguito al monitoraggio sull’assenteismo operato da un’apposita commissione. Le pause, invece, scendono a 30 minuti e i dieci minuti verranno risarciti con 32 euro mensili. Scatta poi la “clausola di responsabilità” per tutti i dipendenti che si impegnano, alla firma del contratto, di rispettare l’accordo, altrimenti saranno soggetti a sanzioni. Per quanto riguarda i turni vengono introdotti i dieci turni settimanali (due per 5 giorni) che saliranno a 12 (due turni di straordinario) a seconda dell’andamento del mercato. Le ore di straordinario obbligatorie per i dipendenti saranno 120 l’anno (15 sabati lavorativi) 80 in più rispetto alle 40 previste fino ad oggi dal contratto nazionale. Il numero dei turni può crescere fino a 18 (tre turni per 6 giorni la settimana); in quel caso il turno del sabato notte può essere trasformato in permesso oppure lavorato in cambio di una maggiorazione salariale.

“Abbiamo portato a casa l’accordo possibile e pensiamo di aver fatto il massimo”, dice il responsabile auto della Fim, Bruno Vitali, ponendo l’accento sull’importanza dell’investimento da un miliardo, mentre la Fismic parla di “accordo di portata storica”. “Con questo accordo – dice ancora il segretario generale della Uil, Angeletti – l’Italia ha la possibilità di tornare ad essere un grande produttore di auto”. Prende le distanze dall’intesa, invece, il Pd con il suo responsabile economico, Fassina, che parla di “accordo regressivo”.

L’accordo passa ora al vaglio dei lavoratori che saranno chiamati a un referendum nel mese di gennaio. La discussione in fabbrica si potrà tenere dal 10-12 gennaio, quando finirà la cassa integrazione e si potranno svolgere riunioni più o meno formali. A queste condizioni e dopo la minaccia di Marchionne – “se il 51% vota contro non facciamo più l’investimento” – è difficile che il No possa prevalere.

La Fiom non farà una campagna di opposizione e si limiterà, come ha fatto a Pomigliano, a definire “illegittima” la consultazione perché lesiva di diritti “superiori” (il contratto nazionale, la malattia, lo sciopero). “Ma in ogni caso abbiamo già deciso al nostro Comitato centrale una giornata di sciopero del gruppo Fiat e quindi ora la utilizzeremo”.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it

L'America a Torino


L'ACCORDO per la nuova società che gestirà Mirafiori segna una brutta svolta nelle relazioni industriali in Italia. Esclude la Fiom, che sin dagli anni del dopoguerra è stato il sindacato di maggior peso nel grande stabilimento torinese.

Inasprisce deliberatamente il conflitto tra i maggiori sindacati nazionali: Fiom-Cgil da una parte, tutti gli altri contro. Divide i sindacati in un momento in cui i lavoratori dipendenti, di fronte alle cifre drammatiche della disoccupazione, della cassa integrazione e del lavoro precario, avrebbero il massimo bisogno di sindacati uniti per poter uscire dalla insicurezza sociale ed economica che li attanaglia. In presenza, per di più, di un governo del tutto inerte di fronte ai costi umani della crisi. Ora che si è chiuso stabilendo che solo i sindacati che lo hanno firmato potranno avere in essa i loro rappresentanti, si può dire che nell'insieme l'accordo su Mirafiori lascia intravvedere un paio di certezze, ed altrettante incognite. Una prima certezza è che l'ad Sergio Marchionne pensa evidentemente di importare in Italia non solo le auto, ma anche le relazioni industriali degli Usa. Il motivo è chiaro: legislazione e giurisprudenza statunitensi sulle libertà sindacali sono assai più arretrate che in Europa. Al punto che grandi imprese tedesche e francesi, che coltivano in patria relazioni industriali pienamente rispettose di quelle libertà, nelle sussidiarie Usa le violano con la massima disinvoltura. Assumendo crumiri al posto di lavoratori in sciopero, ad esempio, oppure esercitando pressioni inaudite sul singolo lavoratore affinché non segua le indicazioni del sindacato. Il tutto nel rispetto della sottosviluppata legislazione del luogo. Nel mondo globale non si vede perché, sembra essere il ragionamento di Fiat, le relazioni industriali in Italia non si possano conformare a quel modello.

Inoltre pare ormai certo che l'operazione Fiat-Chrysler non sia affatto destinata a fare di Chrysler la testa di ponte statunitense della Fiat; è piuttosto questa che si accinge a fungere da testa di ponte europea per la Chrysler. Partendo da Mirafiori. Si può infatti convenire che a fronte di una produzione prevista di oltre 250.000 vetture, tre volte quella degli ultimi anni, non si vede che differenza faccia produrre per la maggior parte Jeep Grand Cherokee, magari con la placca Alfa Romeo, piuttosto che qualche successore delle attuali auto del gruppo. Sono sempre posti di lavoro. Ma qui la Fiat si gioca la sopravvivenza come marchio originale. E' noto che per non sparire sul mercato europeo Fiat deve assolutamente spostarsi sulla fascia medio-alta; si comincia ora a intravvedere che il prezzo potrebbe essere la sua uscita dal rango dei progettisti originali e costruttori che hanno fatto la storia dell'auto.

Le incognite riguardano anzitutto che cosa succederà nelle altre aziende, a cominciare dalla componentistica, visto che il tetto comune del contratto nazionale sembra prossimo a cadere. Le grandi aziende - poche ormai in Italia - possono anche ritenere che il principio "ad ogni azienda il suo contratto" si attagli alle loro esigenze. Ma le piccole e medie? Il contratto nazionale non serve soltanto a proteggere i lavoratori in modo relativamente uniforme. Serve anche a proteggere le aziende dalla proliferazione incontrollata di sigle sindacali, come pure da rivendicazioni interne, magari extra-sindacali, che in assenza di un contratto quadro possono dare agli imprenditori grossi grattacapi.

Un'altra incognita riguarda destino e strategie della Fiom e dei suoi iscritti, in presenza di un'intesa che dal 2012 li esclude dalla newco Mirafiori - salvo un esito diverso del referendum. A Torino sarà assunto solo chi giura di non appartenere alla Fiom? Oppure dovrà nascondere la propria identità sindacale? O, al contrario, dovrà portare un badge che permetta ai capi di distinguerli a vista? Fuori Torino, poi, le cose potrebbero essere anche più complicate. Chi sa se l'ad Fiat si rende conto che in molte aziende meccaniche, comprese quelle che fabbricano componenti, la Fiom è il sindacato di maggioranza; in non pochi casi è l'unico. All'epoca della produzione giusto in tempo, il parabrezza o la sospensione o il disco dei freni che non arrivano perché il fornitore è fermo per una vertenza sindacale, può danneggiare la produttività di Mirafiori molto più che non i 40 minuti di pausa per turno invece di 30, o la pausa mensa a metà turno invece che alla fine. Le grandi strategie sovente naufragano per aver trascurato i dettagli.
di LUCIANO GALLINO
Fonte: http://www.repubblica.it

Regole zero e massima flessibilità "Si torna agli anni Cinquanta"


ROMA - "È un ritorno agli anni Cinquanta", dice Aris Accornero, sociologo, licenziato dalla Fiat proprio in quel periodo perché comunista. La tesi di Accornero, intellettuale di sinistra quasi mai allineato, sulla logica che ha portato all'accordo separato di ieri alla Fiat-Chrysler è del tutto originale. Perché non c'è solo l'identica "cacciata" dalle fabbriche dei ribelli (i comunisti all'epoca, la Fiom oggi), c'è anche il comune fattore esterno che determina la strategia del gruppo automobilistico: oggi come più di mezzo secolo fa è l'America - spiega Accornero - che decide le traiettorie delle relazioni industriali. "Negli anni Cinquanta l'ambasciatrice americana Clare Booth Luce sosteneva che il suo governo avrebbe negato le commesse se a prevalere fossero stati i comunisti. Oggi Marchionne dice che non investe se non si sta al passo con la globalizzazione".

E oggi come all'ora si consuma il distacco della grande Fiat dalla Confindustria. Perché il passaggio chiave per far fuori la Fiom è l'uscita della newco di Mirafiori (esattamente come quella per Pomigliano) dall'associazione degli industriali. Fuori dalla Confindustria, fuori dal contratto nazionale, fuori dalle regole pattizie della rappresentanza sindacale. Quasi a far incrociare i destini di Fiom e Confindustria, così agli antipodi eppure così legati. Addio - almeno per Mirafiori e Pomigliano - al "protocollo Ciampi" del 1993 che per chi non firma i contratti prevede la possibilità di presentare una lista, raccogliendo il 5 per cento delle firme dei lavoratori interessati, per eleggere i propri rappresentanti sindacali. La Fiom non avrà più questa garanzia (anche se frotte di avvocati si preparano ad aprire le vertenze) e non potrà nemmeno ricorrere al novecentesco Statuto dei lavoratori perché chi non firma i contratti collettivi non può dar vita alle vecchie Rsa, le rappresentanze aziendali.

Per trattenere la Fiat, Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, avrebbe potuto dare la disdetta dell'intesa del '93. Non l'ha fatto anche per non scatenare un conflitto sociale radicale. Ha riunito la Consulta dei presidenti e nessuno, su questo, si è schierato con il Lingotto. Ma va detto che una parte del sindacato, per esempio la Uil di Luigi Angeletti, aveva suggerito di superare formalmente quell'accordo perché non è mai stato modificato nella parte che riguarda le rappresentanze sindacali. Impensabile che ora possa arrivare una legge sulla rappresentanza e la democrazia sindacali: a parte la Cgil sono tutti contrarissimi, a cominciare dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Ci vorrebbe un nuovo accordo ma l'ennesima frattura tra Cgil, Cisl e Uil non prelude a una soluzione condivisa.

Un'epoca si chiude davvero. Quella di Sergio Marchionne, amministratore delegato del Lingotto, non a caso con doppio passaporto (italiano e canadese), è una svolta radicale. "Una bomba atomica", la chiama Tiziano Treu, giuslavorista democratico, già ministro del Lavoro nel primo governo Prodi. "È un sistema di relazioni industriali - aggiunge Treu - che comincia a perdere tutti i pezzi: gli accordi, i contratti, i diritti. Marchionne è uscito da un sistema e si sta facendo il suo "sistemino" di relazioni industriali". È il sistema americano, quello con il sindacato e i contratti aziendali. D'altra parte anche in Germania molte aziende stanno uscendo dalla loro Confindustria proprio per non applicare il contratto collettivo. In Italia chi potrà imiterà Marchionne. Il ruolo di Confindustria, come quello delle confederazioni sindacali, è messo totalmente in crisi. Si va verso il modello aziendalista".

Quello che in Italia, però, non ha mai attecchito. E che - altro ricorso storico - proprio negli anni Cinquanta la Fiat introdusse con il Sida (Sindacato italiano dell'automobile), nato da una costola della Cisl, la cui eredità è stata presa oggi dal Fismic. Giuseppe Berta, storico dell'industria, sostiene che "il centralismo romano sia finito, ma non la rappresentanza degli interessi". Aggiunge: "La Fiat che è sempre stata molto nazionale, ora è diventata "glocal", globale e locale. È un passo decisivo verso la globalizzazione. Tutti gli standard di riferimento, anche quelli sindacali, diventano globali". Per sindacati e Confindustria nulla sarà come prima. Marchionne l'ha deciso a Detroit.
Fonte: http://www.repubblica.it

giovedì 23 dicembre 2010

Fiat, Berlusconi plaude all'accordo La Fiom: «Così il dissenso non esiste»



Mirafiori, un accordo senza la Fiom. L'intesa sullo tabilimento Fiat torinese prevede un investimento di oltre un miliardo di euro in joint venture tra Fiat e Chrysler e la produzione a regime di 280 mila vetture l'anno di suv Chrysler e Alfa Romeo.

BERLUSCONI: ACCORDO STORICO
''E' un accordo storico''. Cosi' Silvio Berlusconi commenta l'intesa tra Fiat e sindacati raggiunta ieri. Il premier, parlando a 'Mattino5', si augura che l'azienda automobilistica possa mantenere la produzione in Italia , evitando il trasferimento all'estero degli impianti.

TUTE BLU: FIRMA DELLA VERGOGNA
«È una firma con vergogna di un accordo senza precedenti che limita la libertà di associazione sindacale. Serve una risposta di tutto il mondo del lavoro'', dice Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom dopo l'accordo separato su Mirafiori. Che sarebbe finita così l'aveva già fatto presagire Federico Bellomo, segretario provinciale della Fiom: ''Se non ci saranno ripensamenti e modifiche dell'ultima ora che sono molto improbabili - il nostro sindacato non firmera' l'intesa».

L'ACCORDO
Sarà sottoposto al voto dei lavoratori, probabilmente nella seconda settimana di gennaio, l'unica in cui la fabbrica non sarà coinvolta dalla cassa integrazione a ripetizione. L'accordo prevede: il pieno utilizzo degli impianti sui 6 giorni lavorativi, il lavoro a turni avvicendati che mantiene l'orario individuale a 40 ore settimanali, le assenze (ci sono misure contro gli assenteisti), gli straordinari, pause e mensa a fine turno. In cambio la Fiat conferma l'investimento di un miliardo per trasformare la fabbrica simbolo del gruppo nell'avamposto europeo del gruppo Chrysler: nei piani di Marchionne, infatti, l'azienda di corso Agnelli dovrà produrrre i Suv realizzati su una piattaforma americana con i marchi Alfa-Chrysler.

Queste, in dettaglio le ragioni per le quali la Fiom non ha firmato: «Ci sono 120 ore di straordinario obbligatorio, come a Pomigliano, - spiega Giorgio Airaudo - un sistema di turnazioni che può portare il dipendente a fare sei giorni di lavoro con 10 ore per turno. C'è poi la riduzione di giorni di malattia pagati dall'azienda, che sono tre negli altri contratti di lavoro: a Pomigliano non ne viene pagato più neanche uno, a Torino solo uno. C'è la cancellazione di dieci minuti di pausa: erano 40 minuti per 8 ore di lavoro, adesso sono 30. La mensa: l'azienda a differenza che a Pomigliano, spostata a fine turno, a Mirafiori si sono dichiarati disponibili a tenerla all'interno del turno. I lavoratori firmeranno un contratto individuale con delle clausole con le quali di fatto vengono di fatto dissuasi a scioperare, altrimenti sono sanzionabili". L'accordo di Mirafiori, infine, conclude Airaudo, è fuori dalle regole dell'accordo interconfederale del luglio 1993, che consente a tutti i sindacati di presentare liste e avere rappresentanti nelle Rsu se ha il 5% dei lavoratori: "Così rendono impossibile la presenza dei metalmeccanici della Cgil. Siamo di fronte al tentativo di un'azione della Fiat per semplificare il pluralismo sindacale italiano, espellendo la Cgil e riducendo all'impotenza anche i sindacati consenzienti. E' una lesione alla quale pensiamo debba rispondere l'insieme della Cgil».
Fonte: http://www.unita.it


mercoledì 15 dicembre 2010

Ipotesi di accordo (13.12.2010)

IPOTESI DI ACCORDO


Il 13 dicembre 2010 si è tenuto l'incontro tra la Direzione dell'U.P. di Almaviva Contact S.p.A. di Roma e le rappresentanze territoriali di SLC/CGIL, FISTEL/CISL, UILCOM/UIL unitamente alla RSU del sito al fine di definire le modalità di attuazione degli Accordi nazionali del 28 e del 30 luglio 2010 in materia di Estensioni Orarie e Disponibilità Oraria.

DISPONIBILITA' ORARIA

L’azienda ha dichiarato che le esigenze operative di sito consentono l’applicazione dell’istituto ad un numero di lavoratori pt 4 pari a ca. 155, ripartiti in modo tendenzialmente proporzionale tra le commesse.
L’adesione all’istituto avverrà su base volontaria, da esprimersi con lettera formale di richiesta entro il 15 gennaio 2011, ed avrà durata dal 1/4/2011 al 31/12/2011. trattandosi di 9 mesi effettivi le quote di disponibilità oraria esplicitate nell’accordo nazionale saranno riproporzionate come di seguito indicato:
• totale ore pro-capite di supplementare per anno pari a 340 ore;
• remunerazione mensile del 70% di supplementare pari a 238 ore;
• recupero delle ore di supplementare pari a 102 ore.
L’accettazione da parte dell’azienda verrà formalizzata con lettera sottoscritta per accettazione da parte del lavoratore .
Potranno di regola presentare richiesta di adesione tutti coloro che non fruiscono di riduzioni dell’orario di lavoro derivanti da legge o da contratto concettualmente incompatibili con l’istituto.

L’istituto, in vigore fino al 31/12/2011, prevede il recesso da parte del lavoratore per gravi impedimenti personali sopravvenuti (rif. Art. 32 CCNL). Di norma il recesso sarà operativo solo una volta conseguita la parità tra ore di lavoro effettivamente prestate (al netto delle ore recuperate) e anticipo mensile ricevuto.

Eccezioni alle regole sopra descritte saranno oggetto di esame congiunto con la RSU.
In caso di maturazione del diritto e di richiesta di fruizione di riduzioni di orario in virtù di disposizioni di legge e di contratto successiva all’inserimento operativo di disponibilità oraria, il recesso opererà in via automatica. Nello specifico il conguaglio tra prestazioni extratime erogate, ore recuperate e quote forfetarie mensili già prestate sarà effettuato alla data del recesso.
Il lavoratore che aderisce all’istituto manterrà il profilo contrattuale (pt4h), e l’orario extra sarà di norma ricompreso nella fascia oraria di riferimento: in caso di fruizione di permessi giornalieri retribuiti le ore “scaricate” saranno quelle del profilo contrattuale.
In caso di permesso parziale, fruito ad inizio turno o a fine turno, il supplementare comincerà ad essere conteggiato solo a seguito di effettiva prestazione ordinaria di 4 h e le ore di supplementare non effettuate verranno ripianificate: in tale caso – e sempre che sia effettuata la prestazione ordinaria di 4 h – non verrà scaricato il monte ore Rol/Ex festività. Nel caso invece di fruizione intermedia del permesso verrà scaricato il monte Rol/Ex fest e verrà cumulato l’extratime.
Il lavoratore che aderisce all’istituto lavorerà secondo una pianificazione comunicata mensilmente, entro il 21 del mese precedente, fino d un limite di otto ore al giorno nei periodi di picco e fruirà di recuperi nei periodi di flesso. La pianificazione potrà essere modificata, in caso di eventi eccezionali, con preavviso di 48 h per le ore extra e di 96 ore per i recuperi.

Per evento eccezionale si intende una rilevante anomalia della curva di traffico, al di fuori della normale oscillazione della stessa gestibile secondo le attuali modalità, generata esemplificativamente da gravi malfunzionamenti di sistema e da eventi non riconducibili alla normale operatività anche della committenza. Al verificarsi di tali condizioni, si procederà ad informare tempestivamente, anche per le vie brevi, la RSU per procedere a dovuta convocazione ed esame della situazione.

Nei periodi di picco l’Azienda potrà richiedere di svolgere le ore di supplementare anche nella giornata di riposo (R), come già avviene data la dinamica delle commesse in essere, per un massimo di 18 giornate anno e con tetto settimanale di 40 ore.

Si concorda che per tali giornate l’azienda riconoscerà una indennità pari a una maggiorazione ulteriore del 15% da calcolarsi sulla retribuzione contrattuale al netto degli aumenti periodici e facendo riferimento ad una prestazione media non superiore alle 6 ore; la liquidazione di tale indennità avverrà con cadenza trimestrale.

Le parti si danno atto chela remunerazione forfetaria mensile prevista dai citati accordi nazionali, l’eventuale conguaglio di fine periodo (effettuando tenendo conto della collocazione oraria delle prestazioni extra e delle connesse maggiorazioni contrattuali) e l’indennità sono in sé comprensivi di ogni effetto su istituti di retribuzione indiretta e differita, e non sono utili alla base di calcolo del TFR, ai sensi del comma 2 dell’art. 2120 c.c.; essi inoltre hanno le caratteristiche indicate dalla Circolare n° 59/E 2008 del Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali e dalla Risoluzione n° 83/E del 17 agosto 2010 dell’Agenzia delle Entrate, e saranno pertanto soggette al regime di tassazione agevolata ivi disciplinata.


ESTENSIONI ORARIE

Con riferimento a quanto previsto nell’Accordo Nazionale le parti concordano di adottare i seguenti parametri di qualità per singola commessa rilevati per Service Team o Micro Service Team (tali parametri, se non direttamente desumibili da accordi commerciali, saranno utilizzati solo ai fini dell’applicazione del presente accordo):
Commessa ___________ Parametro
TIM CONSUMER __________CSI
TIM BUSINESS ___________CSI
ALITALIA _______________CSI
MEDIASET ______________CSI
COMUNE DI ROMA ____% TIPIZZAZIONE
TIM OUT CONSUMER ____PROD/H
RDM _________________PROD/H
TPI __________________EFFICIENZA

INPDAP _______________EFFICIENZA
INPS _________________EFFICIENZA
ASSIST. TECN. TIM_______EFFICIENZA
TIM BU CONSIP _________EFFICIENZA
MULTISKILL ___________EFFICIENZA
SOGEI ________________EFFICIENZA
SOGEI2 _______________EFFICIENZA
GERIT ________________EFFICIENZA
POLIS ________________EFFICIENZA
EQUITALIA ____________EFFICIENZA
AVCP I LIV ____________EFFICIENZA
ENASARCO ____________EFFICIENZA
LEASYS _______________EFFICIENZA
REGIONE TOSCANA ___ __EFFICIENZA
CONSIP _______________EFFICIENZA

Le estensioni orarie previste dal presente accordo sono 228 (calcolate come passaggi da pt4 a pt6 e riproporzionabili in caso di passaggi pt5 – pt6) e la distribuzione tra le commesse sarà proporzionale all’organico con profilo orario pt4/pt5hh risultante alla data delle verifiche propedeutiche alla pubblicazione delle graduatorie. Le graduatorie, previa pubblicazione, saranno oggetto di verifica congiunta tra le RSU e i rappresentanti aziendali; tali verifiche avranno ad oggetto l’individuazione dei service team e micro service team con i risultati migliori nel periodo di osservazione e, conseguentemente, l’effettiva individuazione degli aventi diritto alle estensioni a valle dell’applicazione degli altri criteri citati nell’Accordo nazionale: anzianità contrattuale, carichi di famiglia e adeguatezza dei comportamenti organizzativi.

Per quanto riguarda il personale distaccato presso altre aziende si procederà ad individuare una quota di estensioni proporzionale ai richiedenti; tali estensioni verranno effettuate al reinserimento delle risorse presso le commesse di Almaviva Contact a valle del periodo di osservazione
Periodo di osservazione --- decorrenza 6 hh ------Servizi ------------- Qtà
15 nov 15 gen______________01/02/2011_______Tim Co + Tim Bu___ 66
15 dic 15 feb______________01/03/2011________AZ MDS CDR_____33
15 gen 15 mar______________01/04/2011________Altri servizi______33
15 mar 15 giu______________01/07/2011_______Tim Co + Tim Bu___ 32
15 giu 15 set______________01/10/2011_________ Restanti_______32
15 set 15 dic_______________01/01/2012_________ Restanti_______32

La composizione dei Service Team sarà oggetto di analisi alla scadenza dei singoli periodi di osservazione.

Quanto definito nel presente accordo è funzionale alle specifiche esigenze del sito Roma




martedì 14 dicembre 2010

Assemblea sindacale per i lavoratori part time 4/5 ore



ASSEMBLEA SINDACALE

Per i lavoratori part-time 4/5 hh.


15 DICEMBRE 2010

Via Lamaro

9.30-10.30
11.30-12.30
15.30-16.30
17.30-18.30


16 DICEMBRE 2010

Via della Bufalotta

10.00-11.00
12.00-13.00
14.30-15.30
16.00-17.00

Segreteria Territoriale
SLC-CGIL/FISTEL CISL/UILCOM UIL


venerdì 19 novembre 2010



Scatta per le azienda l'obbligo di misurare lo stress da lavoro



La circolare di Sacconi: valutazione dei rischi tradizionali ma anche di quelli «immateriali»


ROMA - Carichi e ritmi di lavoro, orario e turni, percorsi di carriera e perfino i conflitti con i colleghi. Sono alcuni dei fattori di stress che dovranno essere valutati in ogni luogo di lavoro, pubblico e privato, piccolo o grande che sia, per mettere in atto, dove sia necessario, misure per eliminare o ridurre al massimo lo stress. Questo prevede la circolare firmata giovedì dal ministero del Lavoro in attuazione del Testo unico sulla salute e la sicurezza nel lavoro. Come poi il «percorso» indicato nel documento verrà concretamente applicato è tutto da vedere, anche se è facile prevedere che su una materia così sensibile e comunque discrezionale potrebbero nascere non pochi conflitti tra aziende e lavoratori. La circolare è un atto dovuto, perché sia le normative europee sia quelle nazionali affermano, come spiega una nota del ministero guidato da Maurizio Sacconi, che «la valutazione dei rischi da lavoro deve comprendere tutti i rischi per la salute e la sicurezza delle lavoratrici e dei lavoratori». Non solo, quindi, i fattori tradizionali, come, per esempio, l’uso di sostanze nocive o di macchinari pericolosi, ma anche i «rischi di tipo immateriale, tra i quali, espressamente, quelli che riguardano lo stress lavoro-correlato».

IL PERCORSO - Per stabilire il metodo col quale individuare questa categoria di rischi una commissione di esperti del governo, delle Regioni e delle parti sociali ha definito un percorso, «che rappresenta il livello minimo di attuazione dell’obbligo» al quale dovranno attenersi «tutti i datori di lavoro». Per prima cosa, dice la circolare, bisogna definire che cosa è lo «stress lavoro-correlato», seguendo l’Accordo europeo dell’8 ottobre 2004: esso è la «condizione che può essere accompagnata da disturbi o disfunzioni di natura fisica, psicologica o sociale ed è conseguenza che taluni individui non si sentono in grado di corrispondere alle richieste o aspettative riposte in loro». Tuttavia, avverte il ministero forse consapevole dell’ampiezza di questa definizione, lo stress da considerare è solo quello causato da «fattori propri del contesto e del contenuto del lavoro». Non bisogna insomma far confusione con motivi personali o familiari di stress.

VALUTAZIONE SU GRUPPI IN DUE FASI - Anche per questo, dice la circolare, la valutazione va fatta su «gruppi di lavoratori esposti in maniera omogenea allo stress» e non sul singolo. Da chi? Come per tutti gli altri fattori di rischio, dal datore di lavoro «avvalendosi del Responsabile del servizio di prevenzione e protezione con il coinvolgimento del medico competente, ove nominato, e previa consultazione del Rappresentante dei lavoratori per la sicurezza». La valutazione avviene in due fasi. La prima obbligatoria tesa a rilevare «indicatori oggettivi e verificabili» di vario tipo: dall’indice di infortuni alle «specifiche e frequenti lamentele formalizzate da parte dei lavoratori», dai turni ai «conflitti interpersonali al lavoro», dalla corrispondenza tra le competenze dei lavoratori e ciò che viene richiesto loro all’«evoluzione e sviluppo di carriera». Se non emergono elementi di rischio, il datore di lavoro dovrà solo darne conto nel Documento di valutazione del rischio e prevedere un piano di monitoraggio. Se invece risultano fattori di stress, si passa alla fase due: prima l’adozione di «opportuni interventi correttivi» e poi, se la situazione non migliora, alla «valutazione approfondita», anche attraverso «questionari, focus group e interviste semi-strutturate». Solo nelle imprese che occupano «fino a 5 lavoratori» la procedura può essere più semplice, per esempio «riunioni» tra datore di lavoro e dipendenti. Le procedure definite nella circolare partono dal prossimo 31 dicembre. Buona fortuna.
Autore: Enrico Marro
Fonte: http://www.corriere.it


giovedì 18 novembre 2010

Sanità integrativa




Come previsto dal Contratto Collettivo Nazionale firmato il 25 ottobre del 2009, dal 1 gennaio 2011 anche per le Aziende di Telecomunicazione che non hanno già trattamenti sanitari integrativi partirà la SANITA’ INTEGRATIVA a favore dei dipendenti a tempo indeterminato del settore.

Una grande conquista per tutti i lavoratori che con una piccola detrazione di soli 2euro mensili dalla busta paga (e 8 a carico aziendale) potranno aderire ad un sistema mutualistico e solidale che garantirà:
  • rimborsi in caso di ricovero,
  • analisi di laboratorio,
  • spese per la gravidanza,
  • visite specialistiche, ecc.

I moduli d’adesione dovranno essere compilati e consegnati presso l’ufficio amministrativo entro dicembre. La copertura assicurativa avrà una validità 1/01/2011 e 31/12/2011


Per ulteriori informazioni visitare il sito www.unisalute.it o
il n verde 800 – 822.440

Saranno a vostra disposizione per ulteriori chiarimenti le RSU Slc-Cgil

per la sede di Casal Boccone Barbara Sbardella cell 3392785134 b_sbardella@yahoo.it
per la sede di Via Lamaro Stefania Iaccarino cell 3405696839 s_iaccarino@libero.it


domenica 24 ottobre 2010

III rapporto Slc Cgil sull'occupazione nei call center in outsourcing



Emergenza call center: a rischio 13mila lavoratori
La Slc Cgil lancia l’allarme occupazionale per il settore dei call center in outsourcing: a rischio 13mila posti di lavoro su 67mila addetti totali, per la maggior parte giovani donne meridionali.



Nel quadro generale di una crisi economica che non ha risparmiato alcun settore produttivo, la parola emergenza sembra usurata. Ma se c’è un comparto che più di ogni altro merita di lanciare l’allarme, è proprio quello dei call center: solo un anno fa contava 75mila addetti, oggi ne sono rimasti solo 67mila, ma altri 13mila potrebbero rimanere a casa nel giro di pochi mesi. Ovvero, il comparto rischia di veder svanire a breve un posto di lavoro su quattro.
L’ALLARME OCCUPAZIONALE
Sono i dati del terzo Rapporto sull’occupazione nei call center in outsourcing, vale a dire affidati ad aziende esterne che operano in appalto, presentato dalla Slc Cgil. Dati da brivido non solo per le considerevoli ricadute occupazionali, ma anche perchè non esistono stime attendibili sulle cessazioni dei contratti di lavoro precari, e perchè incidono su una fascia di lavoratori particolarmente debole, soprattutto giovani donne del Sud. Il costo del lavoro è tra i più bassi del settore privato (-18% rispetto alla media Istat nel terziario), il 70,5% dei dipendenti ha un’età inferiore ai 40 anni con un tasso di scolarizzazione superiore alla media, il 73,5% è concentrato nelle regioni del Meridione e il 67,9% è di sesso femminile.
«Un dramma occupazionale che, in molte realtà, rischia di diventare un vero e proprio problema sociale» dice senza mezzi termini la Slc, accusando «l’assordante silenzio del governo, a cui da quasi un anno chiediamo inutilmente di aprire un tavolo per la crisi del settore», dovuta alla congiuntura economica complessiva, ma anche a problematiche specifiche. In particolare, il sindacato lamenta un rapporto squilibrato tra le grandi aziende committenti e i call center, che porta a gare al massimo ribasso con assegnazioni a valori anche inferiori ai costi minimi contrattuali, e l’assenza di una politica industriale degna di questo nome per l’intera filiera delle telecomunicazioni. A ciò si aggiungono le recenti scelte governative contenute nel decreto anticrisi: i tagli del 10% per il ministero dello Sviluppo economico, che al Mezzogiorno sottrae 2,5 miliardi di euro nel triennio 2011-2013, e il venir meno degli incentivi fiscali e previdenziali previsti dalla legge 407.
LE PROPOSTE DEL SINDACATO
Per tutti questi motivi la Slc Cgil torna a chiedere all’esecutivo di ricostituire l’Osservatorio nazionale sui call center, «esperienza positiva di confronto ed iniziativa che vedeva tutti i soggetti istituzionali e sociali coinvolti e, purtroppo, successivamente azzerata». Di riconoscere forme di sgravi contributivi alle aziende del settore che, con accordi specifici con il sindacato, garantiscano la tenuta occupazionale e lo sviluppo nonché la lavorazione in Italia delle commesse.E di determinare a livello nazionale un’unica tabella di costo medio orario per i lavoratori dipendenti del settore dei servizi di costumer care secondo il vigente ccnl, vietando di conseguenza l’assegnazione di commesse sotto tali soglie.

di Luigina Venturelli
Fonte: l'Unità




sabato 28 agosto 2010

Il lusso della sicurezza



Le parole si dicono, si ritirano, si fraintendono e si smentiscono, ma in qualche modo sono sempre significative. Sembra, si dice, si dice che si dica, che il ministro Tremonti abbia affermato che la legge 626 che tutela la sicurezza sul lavoro sia per un Paese come l’Italia un lusso che non possiamo permetterci. Prontamente smentita dallo staff del ministro come sempre succede. Non ce l’ho col ministro, ma questo è proprio il modo di pensare che ha provocato e continua a provocare tanti morti, invalidi e feriti sul posto di lavoro. È un modo di pensare che accomuna molti imprenditori, politici, amministratori ma anche lavoratori e sindacalisti. Pensare che lavoro significhi soltanto produzione e alla fine soldi.
Il lavoro non è soltanto un modo come un altro per vivere, è un modo di vivere. È quello che ci organizza le giornate, è il posto in cui incontriamo la stessa gente tutti i giorni, e quello che raccontiamo ai nostri quando torniamo a casa. Il lavoro è vita e la qualità del lavoro è la qualità della vita. Vale per i lavoratori, per i padroncini e anche per gli imprenditori, in modi diversi, naturalmente. E se quegli orari sono infernali, se quel posto è brutto e pericoloso e se quando torniamo a casa siamo troppo stanchi per raccontare, allora è lì che va fatta la battaglia per migliorare il lavoro. Perché se il prezzo che devo pagare per vivere è finire al manicomio, in ospedale, su una sedia a rotelle o al cimitero, allora sì che il lavoro mi costa troppo. Che non produce abbastanza.
Ma se lavorare significa solo fare soldi, soldi e basta, magari in concorrenza con posti in cui il lavoro è quello degli schiavi, allora sì che la sicurezza dei lavoratori è un costo. Allora sì che la vita è un lusso.
Carlo Lucarelli
Fonte: http://www.unita.it


venerdì 6 agosto 2010

Comunicato Rsu Slc Cgil Almaviva Contact Roma (06.08.2010)


Il bivio….

Alla luce dell’accordo siglato dalle strutture Sindacali Slc Cgil, Fistel Cisl e Uilcom Uil in data 28/07/2010 in cui l’Azienda ha messo sul tavolo l’assunzione a tempo indeterminato di 700 interinali sui territori di Sicilia (Catania) e Campania (Napoli) sarebbe stato complicato per qualsiasi Sindacato non apporre la firma, soprattutto in un periodo dove la stragrande maggioranza delle azienda riduce il personale o peggio apre procedure di mobilità.
Detto questo e’ altrettanto evidente che il territorio di Roma ha subito una fortissima penalizzazione in quanto sono stati rimessi in discussione i criteri per l’accesso alle 6 ore e la gestione da parte aziendale del 50% dei rol residui fino al 2009.

Noi Rsu Slc Cgil riteniamo che tali assunzioni sono avvenute anche grazie alla professionalità e al lavoro svolto in questi anni dai colleghi di Almaviva C. di Roma che di certo meritavano qualcosa in più.

Le chiacchiere sono a zero siamo di fronte a due possibili scenari e insieme dovremo decidere che direzione prendere:

La prima è accettare l’impianto generale dell’ accordo e tentare in tutti i modi di migliorarlo in sede di trattativa territoriale: definizione dei criteri di qualità per i 230 passaggi definitivi a 6 ore, programmazione e visibilità dei turni per il supplementare volontario previsto dall’accordo, affrontare la gestione dei Rol.

La seconda è rifiutare l’impianto dell’accordo chiedendo più passaggi a 6 ore e il ripristino delle graduatorie di anzianità, e indisponibilità di gestione dei rol da parte aziendale, strada questa che deve passare attraverso il coinvolgimento alla lotta di tutti.
Il primo atto dovrebbe essere quello del blocco di tutti gli straordinari per almeno un mese in questo modo sapremo se l’azienda ha bisogno o meno delle 6 ore, il secondo non accettare passaggi a 6 ore così come proposti e se necessario scioperi e picchetti.

Questo colleghi è un nodo che dovete sciogliere voi, leggete l’ accordo, parlatene e confrontatevi in modo di arrivare alle assemblee di settembre (a fine piano ferie per garantire la presenza di tutti) per affrontare una discussione costruttiva senza urla e che ci porti in modo consapevole a scegliere da soli la nostra strada pur consci delle difficoltà che avremo davanti.

RSU SLC-CGIL ALMAVIVA CONTACT ROMA


sabato 31 luglio 2010

Comunicato Segreterie nazionali Slc Cgil Fistel Cisl Uilcom Uil (29.07.2010)



COMUNICATO SINDACALE

ALMAVIVA: ACCORDO SU STABILIZZAZIONI, PASSAGGI PT 6, ROL/EX FESTIVITA'

Il giorno 28 Luglio 2010, presso l’Unione Industriale di Roma è stato siglato un accordo tra le Segreterie Nazionali e territoriali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL, UILCOM-UIL ed i rappresentanti di Almaviva in relazione al nuovo Piano Industriale, alla stabilizzazione dei lavoratori in somministrazione e alle politiche di sviluppo occupazionale del gruppo.

Nello specifico si tratta di un Accordo Cornice a livello nazionale che sarà poi reso operativo dopo un confronto a livello territoriale con le RSU che dovranno definire insieme all’azienda, a livello di singola commessa, indicatori, visibilità, modalità di recupero e – sempre a livello territoriale – verificare il rispetto degli accordi.

Lavoratori in Somministrazione: l’azienda si impegna da settembre ed entro giugno 2011 a stabilizzare oltre 700 lavoratori oggi in somministrazione, presenti nei siti di Napoli e Catania (pari almeno all’85% della forza lavoro in essere). Le modalità di stabilizzazione i criteri ecc. saranno oggetto di incontri locali. Le parti si sono inoltre impegnate a sollecitare le istituzioni locali affinché contribuiscano al piano di stabilizzazione e implementazione dell’occupazione.

Aziende in crisi (Conversa, Omnia, Ratio Consulta): nel piano occupazionale di Almaviva, l’azienda si è resa disponibile a riconoscere i lavoratori di queste tre aziende come bacino preferenziale per tutte le nuove assunzioni. In particolare si sottolinea su Conversa l’impegno delle parti per chiamare anche le istituzioni a dare il proprio contributo per risolvere positivamente la vertenza, sarà totale.

Estensioni orarie: vi saranno 700 passaggi (ovviamente volontari) da Part time a 4 a Part time a 6 ore che non dovranno più (come prevedeva il passato accordo) essere ogni volta oggetto di verifica sulla possibilità o meno che vi siano, ma che avverranno automaticamente, in un numero proporzionale per centro in base a quanti Pt 4 vi sono sulle varie commesse, prendendo a riferimento la qualità per identificare il bacino di riferimento e poi attraverso i criteri di anzianità contrattuale, carichi familiari, ecc procedere ad individuare i singoli lavoratori. Il riferimento sarà a livello dei team di commessa (e non di singoli) per individuare i bacini entro cui poi applicare i criteri di anzianità ecc, e tanto le modalità che gli indicatori oggettivi saranno al centro del confronto sito per sito e commessa per commessa con le RSU e le strutture territoriali, così come sarà a livello di RSU il controllo sui dati, la verifica del rispetto delle modalità di passaggio, ecc. La qualità dovrà infatti essere definita e misurata con modalità concordate, trasparenti e condivise. L’accordo diverrà operativo dopo i tavoli territoriali (che si terranno a Settembre). I passaggi a pt 6 saranno 200 tra Ottobre e Dicembre 2010, 200 tra Gennaio e Marzo 2011, 100 tra Aprile e Giugno, 100 tra Luglio e Settembre, 100 tra Ottobre e Dicembre.

Consolidamento supplementare: ad almeno 700 lavoratori Partime a 4 ore saranno riconosciuti 2 ore di supplementare giornaliero aggiuntive (pagate con relative maggiorazioni previste dal CCNL). Mezz’ora di queste 2 ore sarà accantonata per eventuali recuperi (la programmazione dei turni sarà minimo mensile, fatte salvi eventi imprevedibili per cui i riposi potranno essere comunicati con almeno 96 ore di preavviso). In ogni caso se non utilizzate anche le mezze ore saranno liquidate normalmente (un po’ per intenderci come i ROL). L’adesione sarà volontaria e sempre reversibile (con ritorno alle condizioni pre esistenti in termini di orari, turni, ecc.) e le disponibilità riproporzionate in base al numero dei pt 4 nei vari centri e commesse.

Rol ed Ex festività: i rol e le ex festività residue dell’anno prima (per intenderci solo quelle del 2009) saranno per una percentuale (specificata a livello locale, in base alle diverse organizzazioni delle commesse e curve di traffico e comunque per un massimo del 50%) a disposizione del governo dei cali di commesse. La restante parte sarà a totale disposizione del lavoratore che dovrà esclusivamente pianificarle trimestralmente. Per le ferie (comprese quelle residue), ROL ed EF che si maturano nell’anno tutto rimane come prima.

L’accordo rappresenta per le Segreterie Nazionali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL, UILCOM-UIL una buona mediazione che, in questo momento di difficoltà del settore, garantisce stabilità occupazionale, scommette sulla qualità (e non sulla riduzione del costo del lavoro) e da una risposta seppur parziale alle giuste esigenze dei lavoratori pt 4 di avere maggiore stabilità salariale, con la possibilità di incrementare il proprio reddito di circa 200 euro nette in più al mese.

Soprattutto è importante tenere aperta la vertenza contro il precariato e per mantenere viva la battaglia per le 6 ore che, per il sindacato, rimane una questione importante su cui conquistare giorno dopo giorno sempre maggiori spazi per le lavoratrici e lavoratori di Almaviva.

Lo stesso rimando continuo ad un ruolo di controllo e miglioramento delle RSU e delle strutture territoriale va nella direzione di tenere i lavoratori di Almaviva coinvolti al massimo grado nella gestione delle vertenze, sapendo che ogni giorno gli accordi vanno gestiti e fatti rispettare.

Roma, 29 luglio 2010
Le Segreterie Nazionali
di SLC-CGIL, FISTEL-CISL, UILCOM-UIL




lunedì 28 giugno 2010

Call center: Miceli (Slc Cgil), cancellare norma su Irap


Nel corso dell’assemblea nazionale dei quadri e delegati dei call center, promossa da Slc/Cgil e che si è tenuta a Roma presso la sede nazionale Cgil, Emilio Miceli, segretario generale della Slc, intervenendo alla tavola rotonda, ha chiesto la cancellazione della norma sull’Irap, prevista nella manovra finanziaria, che “facilita gli avventurieri che stanno affossando il settore e che rischiano di trascinare in una terra di nessuno anche gli imprenditori dal comportamento virtuoso”.

Focalizzando l’attenzione sul mercato, Miceli ha anche rilevato come i grandi gruppi di Tlc utilizzino i call center “come una vera e propria valvola di scarico”. “Serve una risposta di sistema per cui tutti facciano la propria parte – ha proseguito il sindacalista - innanzitutto il governo che deve riconoscere le specificità produttive ed occupazionali del settore; i committenti che devono modificare radicalmente le proprie politiche sugli appalti; gli outsourcer che devono investire sulla qualità occupazionale e la tutela dei posti di lavoro. Come sindacato – ha concluso Miceli – siamo pronti a fare la nostra parte solo all’interno di un quadro di certezza e diritti".

Bruno Di Cola (Seg. Gen. Uilcom-UIL), nel ribadire la condivisione dei temi della piattaforma proposta da Slc/Cgil sul settore, ha sottolineato come sia ormai necessario “rivolgersi al governo per giungere ad un codice etico delle imprese ed evitare il massimo ribasso, nelle gare d’appalto, anche sui contratti.”

Sergio Abramo (Presidente Assocontact), che condivide la proposta di Slc, ha ricordato quale sia l’errore di fondo nella comprensione del settore “che è diventato altro, non è più un modo per far entrare i giovani nel mondo del lavoro.Nell’unico settore che produce il 47% di Ebitda, gli imprenditori pagano lo scotto della facilità con cui si accede al settore, improvvisando professionalità", ha ricordato l’imprenditore.

Fonte: http://rassegna.it

Call Center: oltre 15mila i lavoratori a rischio nel 2010


Delocalizzazioni, esternalizzazioni e dumping queste alcune delle parole che descrivono meglio la crisi occupazionale che sta coinvolgendo il settore
28/06/2010 Il settore dei call center sta subendo una grave crisi occupazionale, secondo alcune stime della SLC CGIL, nel corso del 2010 il settore rischierà di perdere circa 15-16 mila posti di lavoro, sui circa 80mila addetti a tempo indeterminato. Probabilmente le dimensioni di questa crisi saranno più grandi, poiché non si hanno stime attendibili sulle cessazioni di contratti di apprendistato, inserimento, a termine, in collaborazione a progetto.

Dumping, outsourcing ed esternalizzazioni. Sono queste le tre parole chiave che meglio descrivono la crisi del settore e sulle quali si sono soffermate molte delle riflessioni emerse durante l'assemblea nazionale dei quadri e delegati call center della SLC CGIL, che si è svolta oggi lunedì 28 giugno a Roma presso la sede Nazionale della CGIL. Oltre ad una puntuale analisi dell'attuale fase del settore, molte le proposte che il sindacato dei lavoratori della comunicazione della CGIL avanza al Governo, alle Regioni, alla FISTEL CISL e alla UILCOM UIL, alle imprese committenti e a quelle in out sourcer per bloccare la crisi occupazionale e per valorizzare i diritti e le professionalità dei lavoratori. Al centro delle proposte un 'patto tra Governo e produttori per il rilancio dei call center'.

Nel corso dell'assemblea, Emilio Miceli, Segretario Nazionale SLC CGIL, analizzando la situazione drammatica vissuta dai lavoratori dei call center ha chiesto un tavolo con il Governo. Inoltre Miceli ha chiesto la cancellazione della norma sull'Irap, prevista nella manovra finanziaria, che “facilita gli avventurieri che stanno affossando il settore e che rischiano di trascinare in una terra di nessuno anche gli imprenditori dal comportamento virtuoso”.

Il Coordinatore del dipartimento Reti e Terziario della CGIL Nazionale, Rosario Strazzullo intervenuto oggi all'assemblea ha affermato l'importanza di “continuare a lavorare per ottenere provvedimenti di sostegno al settore entro il prossimo autunno, modificare il capitolo Irap contenuto nei provvedimenti finanziari del Governo”. Inoltre conclude il sindacalista “è importante chiamare a piena responsabilità i committenti privati a partire dalle aziende delle telecomunicazioni e modificare le regole degli appalti pubblici applicando a pieno il contratto collettivo nazionale”.

Fonte: http://www.cgil.it

sabato 19 giugno 2010

Assemblea nazionale dei quadri e delegati dei call center

Perchè si cerca di modificare l'art 41 della Costituzione?



COSTITUZIONE ITALIANA
ART.41:

L’INIZIATIVA ECONOMICA PRIVATA E’ LIBERA
NON PUO SVOLGERSI IN CONTRASTO CON L’UTILITA’ SOCIALE O IN MODO DA RECARE DANNO ALLA SICUREZZA, ALLA LIBERTA’, ALLA DIGNITA’ UMANA.
LA LEGGE DETERMINA I PROGRAMMI E I CONTROLLI OPPORTUNI PERCHE’ L’ATTIVITA’ ECONOMICA PUBBLICA E PRIVATA, POSSA ESSERE INDIRIZZATA E COORDINATA A FINI SOCIALI.

Questo è l’articolo della costituzione che il governo vorrebbe cambiare.
Perché cosa c’è di sbagliato o limitativo in quest’articolo costituzionale?
L’impegno, già molto virtuale che l’attività economica sia coordinata a fini sociali?
Oppure è un ostacolo, la sicurezza, la libertà e la dignità umana?
Perché è richiesta la modifica di quest’articolo, proprio in contemporanea con l’accordo FIAT allo stabilimento di Pomigliano?
Perché nell’accordo di Pomigliano non c’è soltanto l’aumento dei turni di lavoro o, lo straordinario obbligatorio, ma come onestamente dichiara Sacconi, l’elemento centrale è che, sia il contratto nazionale, che lo Statuti dei Lavoratori diventano “ derogabili” cioè aleatori, ma solo per i lavoratori, mentre per i padroni è assicurata l’intangibilità delle leggi e degli accordi!
L’articolo 41 deve essere riformato per eliminare ogni riferimento alla sicurezza e alla libertà umana, o comunque rendere la dignità dei lavoratori, un dato subordinato alla logica del profitto.
Tremonti dichiara che l’art 41 è un vecchio rimasuglio della lotta di classe, ma tutta la costituzione ha resistito sessant’anni, senza impedire ai padroni di arricchirsi con il nostro lavoro.
La CONFINDUSTRIA ha sempre fatto la lotta di classe, ora la lotta non basta più, hanno dichiarato la guerra nei confronti dei lavoratori, e ogni vincolo giuridico che possa essere usato per difendere la dignità del lavoro deve essere neutralizzato.
Per questo vogliono modificare l’art.41, per questo stravolgeranno lo Statuto dei Lavoratori.
Fermiamoli finché siamo in tempo. Non facciamoci cancellare 100 anni di conoscenze, di lotte e di orgoglio.


giovedì 27 maggio 2010

Profitto fino all’ultima goccia




Le ultime misurazioni riguardanti le risorse idriche risalgono al 1971 e i numeri usati e divulgati tuttora non sono altro che elaborazioni statistiche. In più, nel nostro paese non c’è nessun organismo che pianifichi e controlli la risorsa acqua. Sono i due grandi problemi che accompagnano il tema ora all’ordine del giorno, cioè il completamento della privatizzazione del servizio idrico locale, da cui partiamo per un ragionamento sull’acqua a tutto tondo.
Già prima del 2000, ai beni essenziali alla vita era stata attribuita una rilevanza economica e imprenditoriale e fra i soggetti candidati a gestire i servizi locali c’erano, in linea con le indicazioni dell’Ue, anche le società per azioni (Spa). Le modalità di affidamento dei servizi, compreso quello idrico, da parte degli enti locali erano quattro, anzi cinque:
1) tramite gara a una Spa;
2) senza gara a una Spa, purché una quota della Spa fosse stata messa a gara;
3) «in house», cioè con affidamento diretto anche a una Spa, purché quest’ultima fosse sotto il totale controllo del soggetto pubblico appaltante e lavorasse esclusivamente per questo soggetto;
4) affidamento diretto a un’azienda speciale;
5) infine, gestione in economia, di fatto tuttora possibile, riservata ai piccolissimi comuni, che non hanno uno specifico bilancio dedicato alle acque, e quindi sono di scarso interesse economico per i privati.
Con il testo unico sugli enti locali (legge 267 del 2000), i governi D’Alema e Amato, aprono le porte alla «spaizzazione»: la normativa conferma che i servizi pubblici locali possono essere gestiti da Spa o Srl a prevalente capitale pubblico o da Spa non necessariamente a prevalente capitale pubblico. Ma, in più, si afferma che le aziende speciali (che già agli inizi degli anni novanta avevano sostituito le vecchie municipalizzate, diretta emanazione degli enti locali) possono essere trasformate in società per azioni, di cui gli enti locali possono restare azionisti unici per un periodo non superiore ai due anni. La legge prevede cioè la trasformazione in Spa di aziende già «snaturate», ma che comunque erano ancora enti «strumentali» dell’ente locale, cioè a esso inscindibilmente collegati e di fatto dipendenti, e ricadenti nell’ambito del diritto pubblico. Il testo unico prosegue così nell’opera già avviata dalla legge Bassanini del 1997 e apre un’autostrada allo smantellamento della possibilità di mantenere di fatto il servizio idrico in capo al soggetto pubblico (la modalità 4). Questa opzione viene poi del tutto cancellata dal successivo governo Berlusconi con la finanziaria 2002 (legge 448 del 2001) e la legge n. 326 del 2003. Rimaneva in piedi la modalità 3 (affidamento «in house» anche a Spa, purché sotto il totale controllo dell’ente, quale unico committente) come ultima possibilità di mantenere pubblica la gestione del servizio idrico, tuttora prevista dalle regole europee. In modo beffardo, invece, l’attuale governo Berlusconi ha accampato proprio presunte norme comunitarie, inesistenti, per cancellare definitivamente questa modalità di affidamento. A stabilirlo è l’articolo 23 bis della legge 135 del 2009, impropriamente detto decreto Ronchi (Andrea, Pdl), da più parti giudicato incostituzionale: oggi una legge dello Stato non può imporre a un ente locale come organizzarsi, quale forma dare alle aziende o con quali modalità affidare i servizi pubblici. Ad oggi, però, in assenza di un pronunciamento della Corte costituzionale o di un verdetto popolare, tutte le concessioni scadono entro il 31 dicembre 2010 e per la gestione del servizio idrico non restano che le Spa, magari quotate in borsa. In barba alle scelte diametralmente opposte che stanno facendo altri paesi e città, come Parigi, che ha deciso di ripubblicizzare il servizio, in piena sintonia con le norme europee. Finora, però, abbiamo affrontato solo una parte del grande tema del governo dell’acqua. Il servizio idrico, infatti, si occupa praticamente solo degli usi civili, che coprono il 20 per cento dell’acqua consumata, quella potabile. Il resto delle risorse idriche è usato in agricoltura (50 per cento), industria (20) e per scopi energetici. Di questo ‘restante’ 80 per cento non si occupa praticamente nessuno, dicono alcuni esperti del settore, convinti che quando si parla di acqua si debba farlo a 360 gradi, sia perché esiste un equilibrio fra le parti, sia perché c’è il rischio costante di conflitti fra i diversi usi, a maggior ragione quando la risorsa è carente: e l’acqua, si sa, è una risorsa limitata da tutelare. Né può essere dimenticata l’assenza cronica di conoscenza, pianificazione e controllo pubblico sulle acque in Italia, che riemerge puntualmente a ogni emergenza o disastro, per poi essere accantonata di nuovo. Tutti i numeri che vengono citati, anche quelli appena evocati, sono approssimativi perché non esistono gli strumenti né le strutture che fanno questo lavoro: gli ultimi dati frutto di controllo e monitoraggio, insomma di una misura, risalgono alla conferenza sulle acque del 1971. Quindi i numeri che circolano, prodotti anche da prestigiosi istituti, non sono altro che elaborazioni statistiche, come sostiene anche l’Irsa, l’istituto di ricerca sulle acque del Cnr, che parla di conoscenze approssimative. Che sono tali anche in riferimento ai comportamenti illegali: per quanto riguarda i prelievi da pozzo, una stima di circa cinque anni fa dello stesso Cnr diceva che i tre quarti, in termini numerici, non sono censiti. Vuol dire che quasi certamente sono abusivi e il ruolo più rilevante lo gioca l’agricoltura. Quanti siano i prelievi da pozzo è difficile dirlo: si parla, solo nel nord Italia, di almeno un milione. Gli economisti del settore chiamano tutto questo «dissimmetria informativa», per cui chi gestisce un servizio, mettiamo una Spa, riesce con il tempo a conoscerlo esattamente, a saperne dati e numeri, a differenza di chi il servizio lo affida, cioè l’ente locale. In effetti, la fonte di quello che, per esempio, i romani sanno sull’acqua che usano è l’Acea, cioè la Spa a maggioranza pubblica e quotata in borsa e iscritta a Confindustria che gestisce il servizio per conto del comune. Fra i soci ci sono imprenditori come Caltagirone e multinazionali come la francese Gdf Suez, ma il Campidoglio sta esaminando la pratica di privatizzazione dell’Acea cedendo gran parte delle sue quote: la vicenda ha scatenato tali proteste che il sindaco Gianni Alemanno tirato il freno, almeno fino alle elezioni regionali (una scadenza che ha messo il silenziatore a un’infinità di temi «sensibili»). Qual è l’obiettivo di una Spa? Evidentemente guadagnare molto e distribuire dividendi ai soci. E come guadagna? Vendendo il più possibile (nel nostro caso acqua) e investendo (speculando?) su altri settori remunerativi. Quindi, non solo una Spa non punterà mai sul risparmio della risorsa acqua, anzi, ma non ha alcun interesse né a fare investimenti a medio-lungo termine per migliorare la qualità del servizio, né a offrire le conoscenze al soggetto pubblico o ai cittadini, peraltro impossibilitati a orientarne, o anche solo a discuterne, le scelte. A questo si aggiunge l’assenza totale di controlli pubblici, necessari quando a gestire il servizio è l’ente locale. E poi, chi dovrebbe fare il censimento e la lotta ai prelievi abusivi di acqua, agli sprechi, eccetera, che riducono la risorsa facendone fluttuare i costi? Nessuno se ne preoccupa.

di Anna Pacilli
Fonte: http://www.carta.org



domenica 16 maggio 2010

Teleperformance cosa vuol dire fare figli ai tempi del call center



Ogni favola che si rispetti dovrebbe avere un lieto fine. A trentadue anni Ferdinando Sorrenti pensava di avere trovato il suo. Dopo un diploma e 13 anni di precariato alle Poste Italiane, a farlo sognare ad occhi aperti è stato il richiamo di un posto fisso. Un contratto part time a tempo indeterminato offerto, tre anni fa, da un call center di Taranto, Teleperformance. Erano bastate sei ore di lavoro al giorno, pagate 7,5 euro l’una, perché Ferdinando e sua moglie provassero a scrivere la loro trama: un matrimonio e una bambina, Beatrice.

Ferdinando, a dire il vero, non è stato il solo a credere al lieto fine. I circa duemila impiegati della società, una volta ottenuto un contratto stabile, hanno immaginato una vita diversa. In 385, ad esempio, hanno deciso di avere figli. Trecento sono già nati, 85 lo faranno presto. Gli altri, più banalmente, hanno allargato i propri orizzonti. Mutui, auto, mobili, vacanze, magari una laurea. Ma la vita non è una fiaba. Non al sud, non a Taranto, tanto meno se lavori in un call center italiano. L’incantesimo si è rotto il primo aprile scorso. Quando Teleperformance ha aperto lo stato di crisi chiedendo 674 licenziamenti. Colpa di una circolare del dicembre 2008 a firma Maurizio Sacconi che ha riportato il settore agli albori, alla giungla, dove il più forte mangia sempre il più debole. E il più debole di solito è il lavoratore. E dove, naturalmente, non c’è spazio per i sogni.

Taranto è un posto duro. Quando arrivi ti accoglie l’Ilva e i suoi interminabili cancelli. Acciaio e fatica. Qui Teleperformance sbarca nel 2005. La città viene preferita a Catanzaro, poco collegata. La scelta di un centro del Sud, comunque, permette alla multinazionale francese, presente in 50 paesi, di usufruire di incentivi. «Uno, generale, legato al rilancio di zone sottoutilizzate», sostiene la Cgil locale, «è contenuto nella Finanziaria: 10mila euro a dipendente». L’altro glielo offre nel 2007 la regione Puglia: 6,8 milioni come supporto a 936 assunzioni.

Appena messo l’annuncio di assunzione, in poche ore nella sede di via del Tratturello Tarantino arrivano 800 curricula. Michela Miceli è una delle prime ad essere assunta nel giugno del 2005. «Mi ricordo anche la matricola: 0048». A 33 anni, una separazione alle spalle, l’arrivo del call center «è stata l’unica boccata d’ossigeno in una città difficile». A Taranto e provincia c’è fame di lavoro. Su 500mila abitanti i disoccupati sono circa 60-70mila. Ma forse più. Gli uffici del centro per l’impiego provinciali non conoscono neanche la cifra esatta. Quelli che bussano alla porta di Teleperformance sono quasi tutti diplomati e una larga fetta, circa il 30%, laureati. Moltissime donne, poi. Oltre il 70% delle assunzioni. Il call center, con i suoi duemila dipendenti, diviene ben presto la seconda industria per numero di occupati. Solo l’Ilva sfama più gente. «Per la prima volta - spiega Rocco Sorallo - ci è stata data la possibilità di fare qualcosa della propria vita». Come un figlio, ad esempio, a 36 anni. «Gabriele è nato una settimana dopo la regolarizzazione».

Il posto «fisso» arriva per tutti dopo l’11 aprile 2007. Dopo, cioè, che azienda e sindacati firmano un accordo che recepisce la circolare 17 del 2006, voluta dall’allora ministro del Lavoro Cesare Damiano, con la quale si impone la stabilizzazione dei precari «in bound» dei call center. Sono i lavoratori che rispondono alle chiamate. Nell’intesa si va oltre. Teleperformance stabilizza anche chi lavora «out bound», cioè i dipendenti che fanno campagne informative, che chiamano i potenziali clienti. «Per noi - ci dice Cosimo Caforio, 49 anni, sposato con due figli e 18 anni di lavoro da contabile alle spalle - è stata una conquista». Durata poco, però. «L’azienda - racconta Andrea Lumino della Slc Cgil di Taranto - inizia subito ad accusare un calo di commesse». Secondo Teleperformance l’accordo fa aumentare i costi di lavoro del 30%.

Questo perché pochi altri gruppi in Italia seguono l’esempio francese. Nel settore si viaggia sempre con contratti a progetto da 2,5 euro l’ora. Nonostante una seconda circolare Damiano, dell’aprile del 2008, l’orologio torna indietro. Sacconi, nel dicembre dello stesso anno, cancella la precedente normativa. Niente stabilizzazioni. Di più. La circolare consente alle aziende di tornare alla logica dei massimi ribassi per ottenere appalti. Vince, cioè, chi propone un prezzo più basso. E come si fa? Sottopagando i lavoratori, cancellando tutele e diritti. In questo mercato - dove si arriva anche a sospendere un’asta, quella di Poste Italiane, per eccesso di ribasso - Teleperformace annuncia lo stato di crisi.

Per molti lavoratori il lieto fine si dissolve nel giro di un giorno di aprile. Valeria Leopardi, a 33 anni ha acceso un mutuo da 130mila euro, Maria De Giorgio, a 47 anni, ha due figli e un marito precario da mantenere, Simona Tempesta, 37 anni e una laurea, una bambina da sfamare, Deborah Matarrelli, 35 anni, un’auto da pagare, Domenico Perelli, 31 anni, una laurea da conseguire, Tatiana Sisto, 23 anni, una vita da immaginare. Tutti, comunque, ripongono i sogni nel cassetto. La rabbia è talmente alta che al primo sciopero convocato dai sindacati, il 30 aprile scorso, partecipa il 98% dei lavoratori. Imbufaliti non solo per la mobilità, che sarà discussa a breve davanti al ministero del Lavoro, ma anche perché Teleperformance continua a lavorare: con una società satellite, la Ob.Tel. Che però offre contratti a progetto da due euro l’ora. Come nel resto della provincia. Dove l’attività di call center, come spiega Amedeo Pesce segretario generale della Slc-Cgil della città, «si svolge nei garage e nei sottoscala». A Taranto, al sud, nei call center non esistono le favole. E tanto meno il lieto fine.

15 maggio 2010

di Roberto Rossi

Fonte: http://www.unita.it


sabato 1 maggio 2010

Una volta tanto si distingue la destra dalla sinistra



Un emendamento presentato dall’ex ministro Damiano ha generato un fatto nuovo e chiarificatore nel dibattito in corso circa l’ammissibilità dell’arbitrato nelle controversie di lavoro che, come si sa, rappresenta il punto più delicato del cosiddetto collegato lavoro che ha meritato le censure del capo dello Stato e il conseguente rinvio alle camere. Il problema, si ricorda, è questo: secondo il testo del collegato lavoro sarebbe possibile già nella lettera di assunzione inserire una clausola per la quale il lavoratore si obbliga a non portare davanti al giudice, ma davanti ad un collegio arbitrale, le controversie che dovessero insorgere in futuro con il datore di lavoro, con la possibilità ulteriore che il collegio arbitrale decida non in base al diritto, ma in base all’equità e dunque anche derogando a norme di tutela del lavoro che dovrebbero, invece, essere inderogabili.
L’unica ridicola garanzia della effettiva volontà del lavoratore di assumere una simile decisione suicida era, secondo il testo originale del collegato, che la clausola compromissoria sarebbe dovuta passare da una commissione di certificazione la quale avrebbe dovuto accertarsi della reale volontà del lavoratore. Il capo dello Stato stesso ha notato che al momento dell’assunzione il lavoratore è debolissimo, nel senso che pur di reperire un’occupazione firmerebbe qualsiasi cosa e dichiarerebbe sicuramente di essere ben contento di privarsi della possibilità di ricorso al giudice ordinario e della garanzia delle norme inderogabili.
Si è osservato ironicamente che anche quando si monacavano a forza le figlie delle famiglie patrizie il vescovo chiedeva sempre se erano contente di prendere i voti e la risposta era invariabilmente positiva.
Dopo l’importante intervento del capo dello Stato si è cercato da parte della maggioranza e dei sindacati “collaborativi” di apprestare un qualche rimedio che consisterebbe nella previsione che la clausola compromissoria potrebbe essere stipulata non al momento dell’assunzione, ma solo una volta superato il periodo di prova o, se il periodo di prova non è previsto, dopo 30 giorni dall’inizio del rapporto di lavoro. E’ chiaro che si tratta di un rimedio che non rimedia nulla, sia perché una buona metà dei lavoratori italiani non gode dell’articolo 18 e dunque anche una volta trascorso il periodo di prova la situazione di sudditanza psicologica verso il datore di lavoro rimane per loro invariata, sia perché anche per gli altri, è davvero incredibile che non appena superato il periodo di prova il lavoratore cominci a opporre al datore di lavoro un rifiuto in relazione, ad eventualità solo future, perché ciò significherebbe sicuramente “compromettere” il clima senza un interesse concreto.
L’emendamento proposto dall’ex ministro Damiano tocca invece il cuore del problema e lo risolve perché afferma che la commissione deve appurare la volontà del lavoratore di andare o no dall’arbitro invece che dal giudice, solo dopo che la controversia è effettivamente insorta. Il che dal punto di vista tecnico significa che non si deve più parlare di clausola compromissoria bensì di compromesso, ossia di accordo per affidare la decisione all’arbitro, raggiunto dalle parti volta per volta, ma dopo e non prima che la controversia sia nata. Il che ovviamente garantisce piena libertà della scelta. E’ curioso che un certo numero di giuristi e avvocati del lavoro, infinitamente minore però di quello che ha recentemente sottoscritto un appello per una coerente traduzione in norma dei rilievi del capo dello Stato, abbia cercato di appoggiare il testo del collegato lavoro insufficientemente corretto dal governo nel modo che si è detto.
Gli stessi dichiarano di credere che l’arbitrato possa rappresentare un adeguato strumento aggiuntivo per la giustizia del lavoro, ma ciò non sarà mai vero finché non vi sarà una reale libertà del lavoratore. Cosa possibile solo se all’arbitrato si arriva dopo che è sorta la lite come previsto dall’emendamento Damiano, oppure con una clausola compromissoria unilaterale, che cioè consenta al solo contraente debole, ossia il lavoratore, di scegliere comunque, all’occorrenza, se andare dall’arbitro o dal giudice, così come suggerito dall’appello sottoscritto da centinaia di giuristi. Si tratta ora di riprendere il discorso davvero e di approfondirlo non solo sul punto dell’arbitrato che è comunque essenziale, ma anche sul precariato (articolo 32 del collegato) e sulle cosiddette clausole generali (articolo 30) temi non meno importati e gravi.
Bisogna sottolineare che una volta tanto sul tema del lavoro, si comincia a distinguere la destra dalla sinistra.

di Piergiovanni Alleva
Fonte: http://www.liberazione.it


sabato 17 aprile 2010

Comunicato Segreteria Territoriale Slc Cgil (16.04.2010)



La scelta di aderire alla CGIL nasce dai valori e dai principi fondanti della nostra organizzazione sindacale:

democrazia solidarietà diritto al lavoro alla salute alla tutela

La CGIL difende spesso da sola i diritti e la dignità dei lavoratori e da sola spesso si trova nelle battaglia a difesa di questi:

Da sola si è schierata contro la riforma del modello contrattuale (siglata da CISL e UIL) che di fatto vede l’indebolimento del CCNL con l’inserimento del principio di deroga alla normativa contrattuale e i famosi enti bilaterali che declinano il ruolo del sindacato a mero ente di servizi indebolendone il compito rivendicativo

La CGIL si sta schierando contro il DDl Lavoro che aggira l’art.18 per dire No alla controriforma del diritto e del processo del lavoro” – Con una mobilitazione nazionale il 26 aprile-
La sola CGIL è a fianco di quei lavoratori che per difendere il loro posto di lavoro sono costretti a barricarsi nelle aziende e a salire sui tetti.

Da sola la SLC-CGIL sta facendo una battaglia per l’inserimento delle CLAUSOLE SOCIALI nel CCNL (e da sola si è battuta per questo nel recente rinnovo contrattuale) che imporrebbe ai committenti la responsabilità dei lavoratori in caso di cambio di commessa

La SLC-CGIL ha intrapreso una campagna CONTRO le DELOCALIZZAZIONI (spostamento delle attività in paesi in cui il costo del lavoro è più vantaggioso Tunisia Romania etc) il nuovo spettro del nostro settore e non solo.

La sola SLC-CGIL ha avviato decine di vertenze CONTRO GLI APPALTI ILLECITI E LA INTERPOSIZIONE DI MANODOPERA muovendosi tra le spire di una legislazione carente e che non tutela i lavoratori ma troppo spesso le aziende (Sogei Acea Poste).

La sola SLC-CGIL in Almaviva C. ha combattuto per ottenere il pagamento totale dei rol nel rispetto del CCNL.

La sola SLC-CGIL in Almaviva C ha rilanciato la vertenza per le 6 ore avviando in questi giorni una raccolta firme da consegnare all’azienda.

Molte altre (troppe aggiungiamo) sono le vertenze che la CGIL segue da sola anche oggi che si sta svolgendo il XVI° Congresso

Per noi la tutela dei lavoratori la difesa dei diritti e’ fare politica per noi questa è l’ideologia da perseguire


Roma 16 aprile 2010
Segreteria Territoriale Slc-Cgil



mercoledì 31 marzo 2010

giovedì 25 marzo 2010

Rai per una notte

Rai per una notte

Dati ufficiali dell'evento streaming più grande della storia di questo paese cui il nostro blog ha avuto il piacere di dare il suo piccolo contributo:
  • Hits sul sito, dal momento della pubblicazione a oggi: 20 Milioni, picco di 2.573 Hits/secondo

  • Contemporaneità massime stream Live: 114.162,

  • Hits Totali stream live: 1.9 Milioni,

  • Visitatori Unici: 395.460

  • Picco Visitatori Unici: 123.539

lunedì 22 marzo 2010

25 marzo: Rai per una notte





Cari amici,
grazie alla vostra straordinaria partecipazione stiamo raggiungendo l’obiettivo di 50.000 sottoscrizioni. Ma il tempo è sempre meno e abbiamo bisogno di un ultimo sforzo da parte vostra, dato che siamo ancora a

-15.000
Michele Santoro





25 marzo: Rai per una notte



giovedì 4 marzo 2010





12.3.2010: Sciopero generale della Cgil



12 MARZO 2010

SCIOPERO GENERALE DELLA CGIL


LAVORO FISCO CITTADINANZA

CAMBIARE SI PUO’


Il Governo nega la crisi e promette che nessuno “verrà lasciato indietro”. Intanto cresce la disoccupazione, si licenziano i precari, si moltiplicano le vertenze sull'occupazione, aumentano gli appalti al massimo ribasso e le risposte continuano a non essere date.

La prima richiesta della CGIL al Governo, a Confindustria e a tutte le imprese è fermare i licenziamenti.

E' necessario affrontare le vertenze, impedire la chiusura delle aziende, definire strumenti di politica industriale, avviare subito un piano per la ricerca e un piano per il Mezzogiorno. Una risposta immediata della CGIL è una prima restituzione di 500 euro per il 2010 di quanto già lavoratori e pensionati hanno pagato in più.

E' necessario ridurre le tasse per lavoratori e pensionati, attraverso la lotta all'evasione e all'elusione fiscale, la tassazione come in Europa delle rendite finanziare, dei grandi patrimoni e delle stock option, attraverso l'abbassamento della prima aliquota al 20%.

E' necessario costruire un futuro per il Paese attraverso politiche di accoglienza e lotta alle nuove schiavitù.

PER QUESTE RAGIONI LE LAVORATRICI E LAVORATORI DELLE AZIENDE TLC ED I CALL CENTER SCIOPERERANNO PER 8 ORE.

Per un futuro migliore e più giusto, contro le delocalizzioni, contro la precarietà, per introdurre clausole sociali generalizzate, per un rilancio industriale del settore.


domenica 28 febbraio 2010

"Giudizio universale”....Call center, addio Italia

L’altra faccia delle vicende Eutelia e Phonemedia: le grandi aziende chiudono in Italia e aprono all'estero. Così, nonostante la crisi, i gestori di telecomunicazioni aumentano i fatturati. Per dipendenti e utenti, però, nessun guadagno

Chiamano dall'altra parte dell'Adriatico per proporre in un italiano stentato tariffe telefoniche agevolate. Si presentano come Antonio o Giovanni, ma in realtà bastano poche frasi per comprendere che quel ritornello lo hanno imparato a pappagallo e che sulla loro carta di identità alla voce “nato a” figurano piccoli e grandi cittadine di paesi come l'Albania e la Romania, dove il costo del lavoro è pari circa ad un quarto di quello italiano. Nelle aziende telefonano in orario di ufficio, nelle abitazioni ad ora di pranzo o di cena. Si qualificano come operatori delle grandi compagnie nazionali, ma la cornetta la alzano da Tirana, Bucarest o Tunisi.

È in questi mercati del lavoro low cost, infatti, che grandi gestori delle telecomunicazioni stanno progressivamente sbarcando, con una sempre meno silenziosa politica di esternalizzazioni e delocalizzazioni. In pratica, buona parte delle attività che fino all'altro ieri erano svolte nei call center nostrani (contratti commerciali, pratiche amministrative, mero telemarketing) vengono affidate ad imprese di outsourcing italiane e poi, tramite subappalto delle stesse, verso aziende già operanti in Romania, Albania, Tunisia, Turchia, persino Sud America.

Il processo è iniziato da mesi in modo sotterraneo, con un capillare battage di annunci di lavoro pubblicati dalle aziende sui quotidiani dei paesi cosiddetti emergenti. Mentre in Italia vive in sordina, con le compagnie telefoniche che tacciono, e solo i sindacati e le associazioni dei consumatori – tempestate dalle segnalazioni di molti cittadini infastiditi dall'invadenza di questo meticcio telemarketing – impegnati a contrastarlo.

Lo scandalo delle “scatole vuote” rimbalzato sulle cronache con le cessioni dei call center di Eutelia ed Agile, insomma, è solo la punta dell'iceberg. La reazione a catena che verrà scatenandosi nei prossimi mesi resta ancora sotto traccia come in una sorta di Giano bifronte: da una parte il progressivo svuotamento dei call center italiani con migliaia di posti di lavoro a rischio, dall'altra il continuo avvio di nuove postazioni nelle aree dell'Europa orientale, africane o sudamericane dove nascono, seppur prive di tutte le minime tutele sindacali, nuove opportunità di lavoro per centinaia e centinaia di giovani.

A formare le nuove leve con missioni in loco, indovinate un po', gli italiani altamente specializzati che paradossalmente rischiano di perdere il posto. A dispetto delle norme (la delibera 79/2009) appena stilate dall'Agcom, l'autorità garante per la comunicazione, che imporrebbero alle imprese delle telecomunicazioni maggiore trasparenza nella gestione e nello sviluppo delle licenze, e più attenzione nella qualità dei servizi erogati ai consumatori, la deregulation è ormai sfrenata.

Per questo motivo la Slc-Cgil e la Federconsumatori, sguinzagliando i propri delegati nelle diverse compagnie telefoniche e incontrando i “formatori” che le società mandano nei nuovi mercati, hanno dato vita ad un vero e proprio lavoro investigativo da cui emerge che il settore sta vivendo di fatto su una bomba ad orologeria la cui miccia è data dalla corsa all'abbattimento dei costi. Se Federconsumatori è allarmata soprattutto per la perdita di qualità dei servizi e per la violazione della privacy degli utenti, la Cgil ha davanti a sé lo spettro di quella che rischia di diventare una nuova ondata di licenziamenti. Per questo motivo ha avviato una campagna nazionale, che però non trova molta eco sulla stampa, con cui chiede la moratoria di tutte le delocalizzazioni del settore, in particolare delle attività di customer care e di back office.

Il segretario nazionale Slc-Cgil, Alessandro Genovesi, parla di 4mila posti a rischio in Italia e, anche se le loro strategie di mercato sulla carta non hanno nulla di illegale, mette sul banco degli imputati per comportamenti poco trasparenti le grandi compagnie telefoniche nazionali: da Telecom a Vodafone, passando per Wind, H3G, Fastweb, Bt Italia e Sky che, tramite esternalizzate come Comdata, Almaviva Teleperformance o E-care (che a loro volta si affidano a piccole società all'estero), creano una rete di matrioske in cui è difficile distinguere responsabilità e catena di comando. Le motivazioni? “Aumentare gli attuali profitti a vantaggio degli azionisti, come risposta ad un calo dei guadagni”. Con un piccolo grande nonsense: il settore continua, nonostante la crisi che tenta di cavalcare, a generare profitti e liquidità (+1% di fatturato nel 2009).

A chi vive questi nuovi operatori dall'accento straniero come inopportuni molestatori, sciacalli della privacy e “ladri” di numeri di telefono non liberamente concessi, ci sentiamo di dare dunque un consiglio: munitevi di dizionario. E cercate alle voci “dumping”, “outsourcing” e “delocalizzazione”. I termini sono da globalizzazione cattiva (proprio come il colesterolo), ma dietro pulsano vite reali: dipendenti italiani che nella migliore delle ipotesi verranno ceduti a società esterne e, nella peggiore, prima sfiniti con contratti di solidarietà, cassa integrazione e mobilità incentivata, poi licenziati per essere rimpiazzati da nuovi “schiavi” del profitto dotati di microfono e cuffiette ed educati prima alla gentilezza e poi all'insistenza per un minimo premio di produzione.
Per dirla con Rita Battaglia, vice presidente di Federconsumatori, “una nuova guerra fra poveri è scoppiata”. Però, è l’amara profezia, non ci saranno vincitori, ma solo perdenti.

Articolo tratto da http://www.giudiziouniversale.it
Titolo originale: Call center, paradisi telefonici
di Alessandra Testa
Fonte: http://www.rassegna.it


mercoledì 24 febbraio 2010

Phonemedia, sì al primo commissario; il tribunale dà ragione ai lavoratori


La protesta dei dipendenti Phonemedia Raf
Azienda commissariata, beni e liquidità congelati, l'amministratore escluso da qualsiasi attività di gestione. Il tribunale di Novara - presidente Quatraro, giudice delegato Filice - ha accolto le istanze dei lavoratori di Phonemedia e a 48 ore dall'udienza sull'istanza di insolvenza ha emesso un verdetto che dà qualche speranza ai settemila dipendenti dell'ex colosso dei call center passato nelle mani del gruppo Omega.

Il tribunale ha disposto il commissariamento della società Raf - ramo di Phonemedia da cui dipendono direttamente i contact center di Novara, Trino Vercellese, Gaglianico (Biella) e Monza - , il sequestro dell'azienda con il congelamento di tutti i crediti e le disponibilità liquide e il blocco di ogni attività societaria. I giudici novaresi hanno quindi nominato un custode-amministratore giudiziario al quale sono affidati tutti i poteri, ordinari e straordinari, per la gestione e l'esercizio dell'impresa, a partire dall'attivazione urgente delle pratiche per ottenere la cassa integrazione straordinaria per i dipendenti di Raf spa. Al contempo, i giudici hanno decretato la sospensione dell'amministratore Claudio Marcello Massa da ogni attività inerente la società, dedicando molto spazio alle esigenze cautelari che hanno portato all'immediata estromissione degli amministratori dalla gestione dell'azienda.

"La sentenza non fa che confermare la giustezza dell'impostazione nazionale della vertenza - commenta in una nota la segreteria nazionale della Slc-Cgil - rendendo, finalmente, giustizia ai lavoratori della RAF e, presto a quelli, di tutto il gruppo Phonemedia. Con questa sentenza si è definitivamente dimostrata l'inaffidabilità della proprietà palesando, se ancora ce ne fosse bisogno, la strumentalità delle azioni effettuate sino ad oggi dal gruppo Omega comprese le raffazzonate e tardive richieste di apertura di ammortizzatori sociali e la strumentale dichiarata volontà di predisporre un concordato".

La Cgil-Slc confida che nel fatto che la sentenza di Novara venga presto seguita da provvedimenti identici nei confronti delle altre controllate Phonemedia-Omega per le quali sono state presentate identiche istanze di commissariamento. A doversi pronunciare sono infatti ancora i tribunali di Pistoia e Vibo Valentia. Nel primo caso, Omega sta trattando una cessione del call center Answers con la formula dell'affitto di ramo d'azienda alla Call & call. Nel secondo caso, il verdetto del tribunale di Vibo deciderà sulla Multi media planet, controllata Phonemedia-Omega che gestisce i call center di Bitritto (Bari) e Trapani. Tutte le istanze di insolvenza sono state presentate perché l'azienda non ha più pagato gli stipendi dal mese di settembre.

A Catanzaro, la sentenza novarese è stata "festeggiata" da un centinaio di lavoratori del call center Multivoice a un incontro con il sindaco Rosario Olivo, il quale ha espresso soddisfazione e assicurato il sostegno del Comune anche nel prosieguo della vertenza.

di SALVATORE MANNIRONI
Fonte: http://www.repubblica.it


martedì 23 febbraio 2010

Comunicato Segreteria nazionale Slc Cgil (23.02.2010)

CALL CENTER: AVVIATO TAVOLO DI SETTORE.
PER SLC-CGIL SERVONO FATTI CONCRETI IN TEMPI BREVI

Venerdì 19 febbraio si è svolto il primo incontro del tavolo nazionale sui call center presso il Ministero dello sviluppo Economico. Al tavolo, richiesto espressamente al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, On. Letta, dalle OO.SS durante l’ultimo incontro a Palazzo Chigi sulla crisi del gruppo Omega (vertenze Phonemedia\Agile), hanno partecipato le Segreterie Nazionali di SLC-CGIL, FISTEL-CISL e UILCOM-UIL, i rappresentanti dei Ministeri dello Sviluppo Economico e del Lavoro, Assocontact, Confindustria e Regione Calabria.
Dopo il processo di stabilizzazione, con la conseguente normalizzazione delle condizioni di lavoro del settore, il mondo dei call center sta affrontando ora un processo di ristrutturazione molto profondo, in parte causato da crisi aziendali specifiche, in parte da debolezze strutturali intrinseche al settore.
Nell’illustrare il quadro della situazione le OO.SS. hanno posto l’attenzione su alcuni punti in particolare, sottolineando, in particolare come SLC-CGIL, l’importanza che il tavolo produca risultati in tempi brevi e possa essere un utile accompagnamento a risolvere casi aperti come quelli di Omnia, Phonemedia (pur nel rispetto del tavolo specifico presso la Presidenza del Consiglio), Ratio Consulta, ecc.
Per quanto riguarda la tenuta complessiva del settore, l’auspicio delle OO.SS è che il tavolo congiunto possa verificare le disponibilità delle Istituzioni ad interventi che possano ridare strumenti di supporto alle imprese del settore. Strumenti che potranno essere di natura fiscale o sotto forma di incentivi. In particolare come SLC-CGIL abbiamo chiesto ai rappresentanti ministeriali di verificare l’opportunità di dedicare parte dei fondi destinati al rilancio dell’economia a quelle aziende che, nel rilevare commesse da imprese in crisi, si facciano carico dell’occupazione dei lavoratori (di fatto un’agevolazione all’applicazione di clausole sociali).
Un altro elemento di forte preoccupazione espresso dal sindacato riguarda l’assenza di forme strutturate di ammortizzazione sociale per il settore. In particolare si è posto l’accento su un elemento nuovo, emerso proprio durante la gestione della crisi dei call center del gruppo Phonemedia: l’inefficacia della legislazione in materia di ammortizzatori nel caso di “scomparsa” della proprietà. La drammatica condizione delle migliaia di lavoratori Phonemedia ha evidenziato il rischio che si possano venire a creare situazioni di stallo legislativo nel quale, in assenza di una azienda che attivi la richiesta di ammortizzatori, diventa molto complicato portare concreti sostegni al reddito ai lavoratori. Auspicio del Sindacato è che il tavolo ministeriale possa affrontare il tema degli ammortizzatori provando a superare l’attuale contraddizione per la quale, oggi, alcuni call center possono accedere alla Cassa Integrazione perché iscritti all’INPS sotto la categoria “industria”, mentre la stragrande maggioranza, essendo iscritta come “servizi”, può contare solo sugli strumenti in deroga (con le difficoltà e le lungaggini dell’erogazione della CIG che lo strumento della deroga comporta).
Sempre riguardo la tenuta del settore, si è posta l’attenzione sull’urgenza di far ripartire l’attività ispettiva, anche in relazione all’annunciato rilancio degli “indici di congruità”. A riguardo è stato richiesto ed ottenuto che, nel prosieguo dei lavori, partecipino anche i responsabili dei servizi ispettivi del Ministero del Lavoro.
Altro punto sul quale il tavolo dovrà provare a rimettere in moto un percorso di confronto è quello fra la domanda e l’offerta, ovvero fra gli outsourcer e i committenti (compresi quelli pubblici e partecipati dal Ministero delle Finanze). E’ interesse di tutti i soggetti interessati che la competizione avvenga sempre più sulla qualità e sempre meno su politiche ribassiste. Perché ciò avvenga è indispensabile il coinvolgimento dei committenti, a cominciare da quelli pubblici o a partecipazione pubblica.
L’incontro è terminato con la determinazione, da parte di tutti i partecipanti, a dare un ritmo serrato ai lavori del tavolo, dividendo i prossimi incontri sulle seguenti tematiche:
1) Orientamento della domanda (committenti)
2) Qualificazione dell’offerta (rapporto tecnologia\lavoro, qualità)
3) Fiscalità
4) Quadro legislativo (ammortizzatori sociali, politiche ispettive).

Come SLC-CGIL abbiamo chiesto che gli incontri siano fissati rapidamente per produrre orientamenti – ci auguriamo condivisi – da tradurre in interventi rapidi. Sarà nostra cura tenere le lavoratrici ed i lavoratori informati su tutte le evoluzioni del confronto.

Roma 23 Febbraio 2010
La Segreteria Nazionale di SLC-CGIL