domenica 16 maggio 2010

Teleperformance cosa vuol dire fare figli ai tempi del call center



Ogni favola che si rispetti dovrebbe avere un lieto fine. A trentadue anni Ferdinando Sorrenti pensava di avere trovato il suo. Dopo un diploma e 13 anni di precariato alle Poste Italiane, a farlo sognare ad occhi aperti è stato il richiamo di un posto fisso. Un contratto part time a tempo indeterminato offerto, tre anni fa, da un call center di Taranto, Teleperformance. Erano bastate sei ore di lavoro al giorno, pagate 7,5 euro l’una, perché Ferdinando e sua moglie provassero a scrivere la loro trama: un matrimonio e una bambina, Beatrice.

Ferdinando, a dire il vero, non è stato il solo a credere al lieto fine. I circa duemila impiegati della società, una volta ottenuto un contratto stabile, hanno immaginato una vita diversa. In 385, ad esempio, hanno deciso di avere figli. Trecento sono già nati, 85 lo faranno presto. Gli altri, più banalmente, hanno allargato i propri orizzonti. Mutui, auto, mobili, vacanze, magari una laurea. Ma la vita non è una fiaba. Non al sud, non a Taranto, tanto meno se lavori in un call center italiano. L’incantesimo si è rotto il primo aprile scorso. Quando Teleperformance ha aperto lo stato di crisi chiedendo 674 licenziamenti. Colpa di una circolare del dicembre 2008 a firma Maurizio Sacconi che ha riportato il settore agli albori, alla giungla, dove il più forte mangia sempre il più debole. E il più debole di solito è il lavoratore. E dove, naturalmente, non c’è spazio per i sogni.

Taranto è un posto duro. Quando arrivi ti accoglie l’Ilva e i suoi interminabili cancelli. Acciaio e fatica. Qui Teleperformance sbarca nel 2005. La città viene preferita a Catanzaro, poco collegata. La scelta di un centro del Sud, comunque, permette alla multinazionale francese, presente in 50 paesi, di usufruire di incentivi. «Uno, generale, legato al rilancio di zone sottoutilizzate», sostiene la Cgil locale, «è contenuto nella Finanziaria: 10mila euro a dipendente». L’altro glielo offre nel 2007 la regione Puglia: 6,8 milioni come supporto a 936 assunzioni.

Appena messo l’annuncio di assunzione, in poche ore nella sede di via del Tratturello Tarantino arrivano 800 curricula. Michela Miceli è una delle prime ad essere assunta nel giugno del 2005. «Mi ricordo anche la matricola: 0048». A 33 anni, una separazione alle spalle, l’arrivo del call center «è stata l’unica boccata d’ossigeno in una città difficile». A Taranto e provincia c’è fame di lavoro. Su 500mila abitanti i disoccupati sono circa 60-70mila. Ma forse più. Gli uffici del centro per l’impiego provinciali non conoscono neanche la cifra esatta. Quelli che bussano alla porta di Teleperformance sono quasi tutti diplomati e una larga fetta, circa il 30%, laureati. Moltissime donne, poi. Oltre il 70% delle assunzioni. Il call center, con i suoi duemila dipendenti, diviene ben presto la seconda industria per numero di occupati. Solo l’Ilva sfama più gente. «Per la prima volta - spiega Rocco Sorallo - ci è stata data la possibilità di fare qualcosa della propria vita». Come un figlio, ad esempio, a 36 anni. «Gabriele è nato una settimana dopo la regolarizzazione».

Il posto «fisso» arriva per tutti dopo l’11 aprile 2007. Dopo, cioè, che azienda e sindacati firmano un accordo che recepisce la circolare 17 del 2006, voluta dall’allora ministro del Lavoro Cesare Damiano, con la quale si impone la stabilizzazione dei precari «in bound» dei call center. Sono i lavoratori che rispondono alle chiamate. Nell’intesa si va oltre. Teleperformance stabilizza anche chi lavora «out bound», cioè i dipendenti che fanno campagne informative, che chiamano i potenziali clienti. «Per noi - ci dice Cosimo Caforio, 49 anni, sposato con due figli e 18 anni di lavoro da contabile alle spalle - è stata una conquista». Durata poco, però. «L’azienda - racconta Andrea Lumino della Slc Cgil di Taranto - inizia subito ad accusare un calo di commesse». Secondo Teleperformance l’accordo fa aumentare i costi di lavoro del 30%.

Questo perché pochi altri gruppi in Italia seguono l’esempio francese. Nel settore si viaggia sempre con contratti a progetto da 2,5 euro l’ora. Nonostante una seconda circolare Damiano, dell’aprile del 2008, l’orologio torna indietro. Sacconi, nel dicembre dello stesso anno, cancella la precedente normativa. Niente stabilizzazioni. Di più. La circolare consente alle aziende di tornare alla logica dei massimi ribassi per ottenere appalti. Vince, cioè, chi propone un prezzo più basso. E come si fa? Sottopagando i lavoratori, cancellando tutele e diritti. In questo mercato - dove si arriva anche a sospendere un’asta, quella di Poste Italiane, per eccesso di ribasso - Teleperformace annuncia lo stato di crisi.

Per molti lavoratori il lieto fine si dissolve nel giro di un giorno di aprile. Valeria Leopardi, a 33 anni ha acceso un mutuo da 130mila euro, Maria De Giorgio, a 47 anni, ha due figli e un marito precario da mantenere, Simona Tempesta, 37 anni e una laurea, una bambina da sfamare, Deborah Matarrelli, 35 anni, un’auto da pagare, Domenico Perelli, 31 anni, una laurea da conseguire, Tatiana Sisto, 23 anni, una vita da immaginare. Tutti, comunque, ripongono i sogni nel cassetto. La rabbia è talmente alta che al primo sciopero convocato dai sindacati, il 30 aprile scorso, partecipa il 98% dei lavoratori. Imbufaliti non solo per la mobilità, che sarà discussa a breve davanti al ministero del Lavoro, ma anche perché Teleperformance continua a lavorare: con una società satellite, la Ob.Tel. Che però offre contratti a progetto da due euro l’ora. Come nel resto della provincia. Dove l’attività di call center, come spiega Amedeo Pesce segretario generale della Slc-Cgil della città, «si svolge nei garage e nei sottoscala». A Taranto, al sud, nei call center non esistono le favole. E tanto meno il lieto fine.

15 maggio 2010

di Roberto Rossi

Fonte: http://www.unita.it


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