sabato 1 maggio 2010

Una volta tanto si distingue la destra dalla sinistra



Un emendamento presentato dall’ex ministro Damiano ha generato un fatto nuovo e chiarificatore nel dibattito in corso circa l’ammissibilità dell’arbitrato nelle controversie di lavoro che, come si sa, rappresenta il punto più delicato del cosiddetto collegato lavoro che ha meritato le censure del capo dello Stato e il conseguente rinvio alle camere. Il problema, si ricorda, è questo: secondo il testo del collegato lavoro sarebbe possibile già nella lettera di assunzione inserire una clausola per la quale il lavoratore si obbliga a non portare davanti al giudice, ma davanti ad un collegio arbitrale, le controversie che dovessero insorgere in futuro con il datore di lavoro, con la possibilità ulteriore che il collegio arbitrale decida non in base al diritto, ma in base all’equità e dunque anche derogando a norme di tutela del lavoro che dovrebbero, invece, essere inderogabili.
L’unica ridicola garanzia della effettiva volontà del lavoratore di assumere una simile decisione suicida era, secondo il testo originale del collegato, che la clausola compromissoria sarebbe dovuta passare da una commissione di certificazione la quale avrebbe dovuto accertarsi della reale volontà del lavoratore. Il capo dello Stato stesso ha notato che al momento dell’assunzione il lavoratore è debolissimo, nel senso che pur di reperire un’occupazione firmerebbe qualsiasi cosa e dichiarerebbe sicuramente di essere ben contento di privarsi della possibilità di ricorso al giudice ordinario e della garanzia delle norme inderogabili.
Si è osservato ironicamente che anche quando si monacavano a forza le figlie delle famiglie patrizie il vescovo chiedeva sempre se erano contente di prendere i voti e la risposta era invariabilmente positiva.
Dopo l’importante intervento del capo dello Stato si è cercato da parte della maggioranza e dei sindacati “collaborativi” di apprestare un qualche rimedio che consisterebbe nella previsione che la clausola compromissoria potrebbe essere stipulata non al momento dell’assunzione, ma solo una volta superato il periodo di prova o, se il periodo di prova non è previsto, dopo 30 giorni dall’inizio del rapporto di lavoro. E’ chiaro che si tratta di un rimedio che non rimedia nulla, sia perché una buona metà dei lavoratori italiani non gode dell’articolo 18 e dunque anche una volta trascorso il periodo di prova la situazione di sudditanza psicologica verso il datore di lavoro rimane per loro invariata, sia perché anche per gli altri, è davvero incredibile che non appena superato il periodo di prova il lavoratore cominci a opporre al datore di lavoro un rifiuto in relazione, ad eventualità solo future, perché ciò significherebbe sicuramente “compromettere” il clima senza un interesse concreto.
L’emendamento proposto dall’ex ministro Damiano tocca invece il cuore del problema e lo risolve perché afferma che la commissione deve appurare la volontà del lavoratore di andare o no dall’arbitro invece che dal giudice, solo dopo che la controversia è effettivamente insorta. Il che dal punto di vista tecnico significa che non si deve più parlare di clausola compromissoria bensì di compromesso, ossia di accordo per affidare la decisione all’arbitro, raggiunto dalle parti volta per volta, ma dopo e non prima che la controversia sia nata. Il che ovviamente garantisce piena libertà della scelta. E’ curioso che un certo numero di giuristi e avvocati del lavoro, infinitamente minore però di quello che ha recentemente sottoscritto un appello per una coerente traduzione in norma dei rilievi del capo dello Stato, abbia cercato di appoggiare il testo del collegato lavoro insufficientemente corretto dal governo nel modo che si è detto.
Gli stessi dichiarano di credere che l’arbitrato possa rappresentare un adeguato strumento aggiuntivo per la giustizia del lavoro, ma ciò non sarà mai vero finché non vi sarà una reale libertà del lavoratore. Cosa possibile solo se all’arbitrato si arriva dopo che è sorta la lite come previsto dall’emendamento Damiano, oppure con una clausola compromissoria unilaterale, che cioè consenta al solo contraente debole, ossia il lavoratore, di scegliere comunque, all’occorrenza, se andare dall’arbitro o dal giudice, così come suggerito dall’appello sottoscritto da centinaia di giuristi. Si tratta ora di riprendere il discorso davvero e di approfondirlo non solo sul punto dell’arbitrato che è comunque essenziale, ma anche sul precariato (articolo 32 del collegato) e sulle cosiddette clausole generali (articolo 30) temi non meno importati e gravi.
Bisogna sottolineare che una volta tanto sul tema del lavoro, si comincia a distinguere la destra dalla sinistra.

di Piergiovanni Alleva
Fonte: http://www.liberazione.it


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