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venerdì 24 dicembre 2010

Mirafiori, firmato l’accordo


Stravince la linea Marchionne
Azzerato il potere delle rappresentanze sindacali,
ma a dissociarsi è solo la Fiom


Sergio Marchionne è riuscito ad avere a Mirafiori un nuovo contratto su misura con il sì di Fim, Uilm, Ugl e Fismic e il no della Fiom che si tira fuori dall’intesa e parla di “firma della vergogna”. L’accordo è stato siglato ieri sera dopo una nuova giornata di discussioni e limature al testo che la Fiat aveva già presentato lo scorso 3 dicembre. I circa 5500 operai delle Carrozzerie di Mirafiori saranno così “licenziati” dalla Fiat e riassunti dalla New.co, frutto della joint venture tra Fiat e Chrysler, e che non aderirà a Federmeccanica, che si impegna a investire un miliardo di euro per dare avvio alla produzione del Suv Chrysler e dei modelli Alfa Romeo. Un passaggio d’epoca, per certi versi, che sancisce la fuoriuscita del Lingotto dalla Confindustria e l’avvio di una stagione nuova per la casa automobilistica torinese. Giorgio Airaudo, segretario piemontese della Fiom e responsabile Auto la sintetizza così: “One company, one trade union”, cioè un modello all’americana secondo il quale per ogni azienda ci sarà un sindacato specifico.

Marchionne è ovviamente molto contento, parla di “bel momento per i lavoratori” e assicura che l’investimento “partirà in tempi brevi”. La soddisfazione dell’amministratore Fiat è lecita perché la novità più rilevante dell’intesa di ieri è tutta di politica sindacale e con un colpo solo, infatti, Marchionne ottiene più risultati.

Innanzitutto, con la fuoriuscita dall’Associazione degli Industriali, non è più costretto a riconoscere il contratto nazionale siglato da Federmeccanica. Quel testo è cosa “d’altri”, alla Fiat non interessa più e quel sindacato che volesse ricorrervi per contestare le intese aziendali si troverebbe con le armi spuntate. In secondo luogo abolisce in fabbrica le relazioni sindacali stabilite dall’accordo tra Confindustria e Cgil, Cisl e Uil del 1993 – quelle con cui vengono elette le Rappresentanze sindacali unitarie. A Mirafiori non saranno più valide e i sindacati riconosciuti sono solo quelli che firmano l’intesa. Niente più Rsu, cioè delegati eletti da tutti i lavoratori e titolari anche della contrattazione aziendale, ma ripiego sulle Rsa, le rappresentanze sindacali aziendali che vengono nominate da ciascun sindacato e che non hanno alcun potere contrattuale.

Su questo si concentra la determinazione della Fiom, che a Mirafiori è il primo sindacato – e che non sarà rappresentato nella nuova joint-venture – a non firmare l’accordo. “È un fatto gravissimo, ci dice Airaudo, perché si stabilisce che a rappresentare i lavoratori sono solo quei sindacati che sono d’accordo con l’azienda”.

Dal canto loro, Fim e Uilm, se hanno scelto di accettare quello che non andava bene il 3 dicembre, il contratto separato e l’uscita da Confindustria, è perché si sentono rassicurate dalla Fiat che ha specificato che “qualora Confindustria recepirà i contenuti dell’accordo di ieri allora la Fiat, cioè la new.co, rientrerà” nell’associazione degli industriali. Un modo per affermare la priorità del testo torinese su tutta la contrattistica nazionale. Per Marcegaglia uno smacco e una sconfessione esplicita.
Ottenuto il punto fondamentale, i dirigenti Fiat al tavolo della trattativa, guidati dall’inossidabile Rebadeungo hanno aperto con molta timidezza ad alcune delle richieste del sindacato. E così la pausa mensa, che Fiat voleva porre a fine turno, come a Pomigliano, rimarrà all’interno dell’orario di lavoro ma solo fino a che la Joint Venture non andrà a regime.

Per quanto riguarda l’assenteismo la “mediazione” finale prevede che la Fiat si limiterà a non pagare “solo” i primi due giorni di assenza malattia, invece dei primi tre, riservandosi però un’ulteriore sanzione dopo sei mesi in seguito al monitoraggio sull’assenteismo operato da un’apposita commissione. Le pause, invece, scendono a 30 minuti e i dieci minuti verranno risarciti con 32 euro mensili. Scatta poi la “clausola di responsabilità” per tutti i dipendenti che si impegnano, alla firma del contratto, di rispettare l’accordo, altrimenti saranno soggetti a sanzioni. Per quanto riguarda i turni vengono introdotti i dieci turni settimanali (due per 5 giorni) che saliranno a 12 (due turni di straordinario) a seconda dell’andamento del mercato. Le ore di straordinario obbligatorie per i dipendenti saranno 120 l’anno (15 sabati lavorativi) 80 in più rispetto alle 40 previste fino ad oggi dal contratto nazionale. Il numero dei turni può crescere fino a 18 (tre turni per 6 giorni la settimana); in quel caso il turno del sabato notte può essere trasformato in permesso oppure lavorato in cambio di una maggiorazione salariale.

“Abbiamo portato a casa l’accordo possibile e pensiamo di aver fatto il massimo”, dice il responsabile auto della Fim, Bruno Vitali, ponendo l’accento sull’importanza dell’investimento da un miliardo, mentre la Fismic parla di “accordo di portata storica”. “Con questo accordo – dice ancora il segretario generale della Uil, Angeletti – l’Italia ha la possibilità di tornare ad essere un grande produttore di auto”. Prende le distanze dall’intesa, invece, il Pd con il suo responsabile economico, Fassina, che parla di “accordo regressivo”.

L’accordo passa ora al vaglio dei lavoratori che saranno chiamati a un referendum nel mese di gennaio. La discussione in fabbrica si potrà tenere dal 10-12 gennaio, quando finirà la cassa integrazione e si potranno svolgere riunioni più o meno formali. A queste condizioni e dopo la minaccia di Marchionne – “se il 51% vota contro non facciamo più l’investimento” – è difficile che il No possa prevalere.

La Fiom non farà una campagna di opposizione e si limiterà, come ha fatto a Pomigliano, a definire “illegittima” la consultazione perché lesiva di diritti “superiori” (il contratto nazionale, la malattia, lo sciopero). “Ma in ogni caso abbiamo già deciso al nostro Comitato centrale una giornata di sciopero del gruppo Fiat e quindi ora la utilizzeremo”.

Fonte: http://www.ilfattoquotidiano.it

L'America a Torino


L'ACCORDO per la nuova società che gestirà Mirafiori segna una brutta svolta nelle relazioni industriali in Italia. Esclude la Fiom, che sin dagli anni del dopoguerra è stato il sindacato di maggior peso nel grande stabilimento torinese.

Inasprisce deliberatamente il conflitto tra i maggiori sindacati nazionali: Fiom-Cgil da una parte, tutti gli altri contro. Divide i sindacati in un momento in cui i lavoratori dipendenti, di fronte alle cifre drammatiche della disoccupazione, della cassa integrazione e del lavoro precario, avrebbero il massimo bisogno di sindacati uniti per poter uscire dalla insicurezza sociale ed economica che li attanaglia. In presenza, per di più, di un governo del tutto inerte di fronte ai costi umani della crisi. Ora che si è chiuso stabilendo che solo i sindacati che lo hanno firmato potranno avere in essa i loro rappresentanti, si può dire che nell'insieme l'accordo su Mirafiori lascia intravvedere un paio di certezze, ed altrettante incognite. Una prima certezza è che l'ad Sergio Marchionne pensa evidentemente di importare in Italia non solo le auto, ma anche le relazioni industriali degli Usa. Il motivo è chiaro: legislazione e giurisprudenza statunitensi sulle libertà sindacali sono assai più arretrate che in Europa. Al punto che grandi imprese tedesche e francesi, che coltivano in patria relazioni industriali pienamente rispettose di quelle libertà, nelle sussidiarie Usa le violano con la massima disinvoltura. Assumendo crumiri al posto di lavoratori in sciopero, ad esempio, oppure esercitando pressioni inaudite sul singolo lavoratore affinché non segua le indicazioni del sindacato. Il tutto nel rispetto della sottosviluppata legislazione del luogo. Nel mondo globale non si vede perché, sembra essere il ragionamento di Fiat, le relazioni industriali in Italia non si possano conformare a quel modello.

Inoltre pare ormai certo che l'operazione Fiat-Chrysler non sia affatto destinata a fare di Chrysler la testa di ponte statunitense della Fiat; è piuttosto questa che si accinge a fungere da testa di ponte europea per la Chrysler. Partendo da Mirafiori. Si può infatti convenire che a fronte di una produzione prevista di oltre 250.000 vetture, tre volte quella degli ultimi anni, non si vede che differenza faccia produrre per la maggior parte Jeep Grand Cherokee, magari con la placca Alfa Romeo, piuttosto che qualche successore delle attuali auto del gruppo. Sono sempre posti di lavoro. Ma qui la Fiat si gioca la sopravvivenza come marchio originale. E' noto che per non sparire sul mercato europeo Fiat deve assolutamente spostarsi sulla fascia medio-alta; si comincia ora a intravvedere che il prezzo potrebbe essere la sua uscita dal rango dei progettisti originali e costruttori che hanno fatto la storia dell'auto.

Le incognite riguardano anzitutto che cosa succederà nelle altre aziende, a cominciare dalla componentistica, visto che il tetto comune del contratto nazionale sembra prossimo a cadere. Le grandi aziende - poche ormai in Italia - possono anche ritenere che il principio "ad ogni azienda il suo contratto" si attagli alle loro esigenze. Ma le piccole e medie? Il contratto nazionale non serve soltanto a proteggere i lavoratori in modo relativamente uniforme. Serve anche a proteggere le aziende dalla proliferazione incontrollata di sigle sindacali, come pure da rivendicazioni interne, magari extra-sindacali, che in assenza di un contratto quadro possono dare agli imprenditori grossi grattacapi.

Un'altra incognita riguarda destino e strategie della Fiom e dei suoi iscritti, in presenza di un'intesa che dal 2012 li esclude dalla newco Mirafiori - salvo un esito diverso del referendum. A Torino sarà assunto solo chi giura di non appartenere alla Fiom? Oppure dovrà nascondere la propria identità sindacale? O, al contrario, dovrà portare un badge che permetta ai capi di distinguerli a vista? Fuori Torino, poi, le cose potrebbero essere anche più complicate. Chi sa se l'ad Fiat si rende conto che in molte aziende meccaniche, comprese quelle che fabbricano componenti, la Fiom è il sindacato di maggioranza; in non pochi casi è l'unico. All'epoca della produzione giusto in tempo, il parabrezza o la sospensione o il disco dei freni che non arrivano perché il fornitore è fermo per una vertenza sindacale, può danneggiare la produttività di Mirafiori molto più che non i 40 minuti di pausa per turno invece di 30, o la pausa mensa a metà turno invece che alla fine. Le grandi strategie sovente naufragano per aver trascurato i dettagli.
di LUCIANO GALLINO
Fonte: http://www.repubblica.it

Regole zero e massima flessibilità "Si torna agli anni Cinquanta"


ROMA - "È un ritorno agli anni Cinquanta", dice Aris Accornero, sociologo, licenziato dalla Fiat proprio in quel periodo perché comunista. La tesi di Accornero, intellettuale di sinistra quasi mai allineato, sulla logica che ha portato all'accordo separato di ieri alla Fiat-Chrysler è del tutto originale. Perché non c'è solo l'identica "cacciata" dalle fabbriche dei ribelli (i comunisti all'epoca, la Fiom oggi), c'è anche il comune fattore esterno che determina la strategia del gruppo automobilistico: oggi come più di mezzo secolo fa è l'America - spiega Accornero - che decide le traiettorie delle relazioni industriali. "Negli anni Cinquanta l'ambasciatrice americana Clare Booth Luce sosteneva che il suo governo avrebbe negato le commesse se a prevalere fossero stati i comunisti. Oggi Marchionne dice che non investe se non si sta al passo con la globalizzazione".

E oggi come all'ora si consuma il distacco della grande Fiat dalla Confindustria. Perché il passaggio chiave per far fuori la Fiom è l'uscita della newco di Mirafiori (esattamente come quella per Pomigliano) dall'associazione degli industriali. Fuori dalla Confindustria, fuori dal contratto nazionale, fuori dalle regole pattizie della rappresentanza sindacale. Quasi a far incrociare i destini di Fiom e Confindustria, così agli antipodi eppure così legati. Addio - almeno per Mirafiori e Pomigliano - al "protocollo Ciampi" del 1993 che per chi non firma i contratti prevede la possibilità di presentare una lista, raccogliendo il 5 per cento delle firme dei lavoratori interessati, per eleggere i propri rappresentanti sindacali. La Fiom non avrà più questa garanzia (anche se frotte di avvocati si preparano ad aprire le vertenze) e non potrà nemmeno ricorrere al novecentesco Statuto dei lavoratori perché chi non firma i contratti collettivi non può dar vita alle vecchie Rsa, le rappresentanze aziendali.

Per trattenere la Fiat, Emma Marcegaglia, presidente della Confindustria, avrebbe potuto dare la disdetta dell'intesa del '93. Non l'ha fatto anche per non scatenare un conflitto sociale radicale. Ha riunito la Consulta dei presidenti e nessuno, su questo, si è schierato con il Lingotto. Ma va detto che una parte del sindacato, per esempio la Uil di Luigi Angeletti, aveva suggerito di superare formalmente quell'accordo perché non è mai stato modificato nella parte che riguarda le rappresentanze sindacali. Impensabile che ora possa arrivare una legge sulla rappresentanza e la democrazia sindacali: a parte la Cgil sono tutti contrarissimi, a cominciare dal ministro del Lavoro, Maurizio Sacconi. Ci vorrebbe un nuovo accordo ma l'ennesima frattura tra Cgil, Cisl e Uil non prelude a una soluzione condivisa.

Un'epoca si chiude davvero. Quella di Sergio Marchionne, amministratore delegato del Lingotto, non a caso con doppio passaporto (italiano e canadese), è una svolta radicale. "Una bomba atomica", la chiama Tiziano Treu, giuslavorista democratico, già ministro del Lavoro nel primo governo Prodi. "È un sistema di relazioni industriali - aggiunge Treu - che comincia a perdere tutti i pezzi: gli accordi, i contratti, i diritti. Marchionne è uscito da un sistema e si sta facendo il suo "sistemino" di relazioni industriali". È il sistema americano, quello con il sindacato e i contratti aziendali. D'altra parte anche in Germania molte aziende stanno uscendo dalla loro Confindustria proprio per non applicare il contratto collettivo. In Italia chi potrà imiterà Marchionne. Il ruolo di Confindustria, come quello delle confederazioni sindacali, è messo totalmente in crisi. Si va verso il modello aziendalista".

Quello che in Italia, però, non ha mai attecchito. E che - altro ricorso storico - proprio negli anni Cinquanta la Fiat introdusse con il Sida (Sindacato italiano dell'automobile), nato da una costola della Cisl, la cui eredità è stata presa oggi dal Fismic. Giuseppe Berta, storico dell'industria, sostiene che "il centralismo romano sia finito, ma non la rappresentanza degli interessi". Aggiunge: "La Fiat che è sempre stata molto nazionale, ora è diventata "glocal", globale e locale. È un passo decisivo verso la globalizzazione. Tutti gli standard di riferimento, anche quelli sindacali, diventano globali". Per sindacati e Confindustria nulla sarà come prima. Marchionne l'ha deciso a Detroit.
Fonte: http://www.repubblica.it

giovedì 23 dicembre 2010

Fiat, Berlusconi plaude all'accordo La Fiom: «Così il dissenso non esiste»



Mirafiori, un accordo senza la Fiom. L'intesa sullo tabilimento Fiat torinese prevede un investimento di oltre un miliardo di euro in joint venture tra Fiat e Chrysler e la produzione a regime di 280 mila vetture l'anno di suv Chrysler e Alfa Romeo.

BERLUSCONI: ACCORDO STORICO
''E' un accordo storico''. Cosi' Silvio Berlusconi commenta l'intesa tra Fiat e sindacati raggiunta ieri. Il premier, parlando a 'Mattino5', si augura che l'azienda automobilistica possa mantenere la produzione in Italia , evitando il trasferimento all'estero degli impianti.

TUTE BLU: FIRMA DELLA VERGOGNA
«È una firma con vergogna di un accordo senza precedenti che limita la libertà di associazione sindacale. Serve una risposta di tutto il mondo del lavoro'', dice Giorgio Airaudo, responsabile Auto della Fiom dopo l'accordo separato su Mirafiori. Che sarebbe finita così l'aveva già fatto presagire Federico Bellomo, segretario provinciale della Fiom: ''Se non ci saranno ripensamenti e modifiche dell'ultima ora che sono molto improbabili - il nostro sindacato non firmera' l'intesa».

L'ACCORDO
Sarà sottoposto al voto dei lavoratori, probabilmente nella seconda settimana di gennaio, l'unica in cui la fabbrica non sarà coinvolta dalla cassa integrazione a ripetizione. L'accordo prevede: il pieno utilizzo degli impianti sui 6 giorni lavorativi, il lavoro a turni avvicendati che mantiene l'orario individuale a 40 ore settimanali, le assenze (ci sono misure contro gli assenteisti), gli straordinari, pause e mensa a fine turno. In cambio la Fiat conferma l'investimento di un miliardo per trasformare la fabbrica simbolo del gruppo nell'avamposto europeo del gruppo Chrysler: nei piani di Marchionne, infatti, l'azienda di corso Agnelli dovrà produrrre i Suv realizzati su una piattaforma americana con i marchi Alfa-Chrysler.

Queste, in dettaglio le ragioni per le quali la Fiom non ha firmato: «Ci sono 120 ore di straordinario obbligatorio, come a Pomigliano, - spiega Giorgio Airaudo - un sistema di turnazioni che può portare il dipendente a fare sei giorni di lavoro con 10 ore per turno. C'è poi la riduzione di giorni di malattia pagati dall'azienda, che sono tre negli altri contratti di lavoro: a Pomigliano non ne viene pagato più neanche uno, a Torino solo uno. C'è la cancellazione di dieci minuti di pausa: erano 40 minuti per 8 ore di lavoro, adesso sono 30. La mensa: l'azienda a differenza che a Pomigliano, spostata a fine turno, a Mirafiori si sono dichiarati disponibili a tenerla all'interno del turno. I lavoratori firmeranno un contratto individuale con delle clausole con le quali di fatto vengono di fatto dissuasi a scioperare, altrimenti sono sanzionabili". L'accordo di Mirafiori, infine, conclude Airaudo, è fuori dalle regole dell'accordo interconfederale del luglio 1993, che consente a tutti i sindacati di presentare liste e avere rappresentanti nelle Rsu se ha il 5% dei lavoratori: "Così rendono impossibile la presenza dei metalmeccanici della Cgil. Siamo di fronte al tentativo di un'azione della Fiat per semplificare il pluralismo sindacale italiano, espellendo la Cgil e riducendo all'impotenza anche i sindacati consenzienti. E' una lesione alla quale pensiamo debba rispondere l'insieme della Cgil».
Fonte: http://www.unita.it