domenica 25 gennaio 2009

Federalismo e contratti due scatole vuote

Nella stessa settimana del voto al Senato sul federalismo fiscale il governo aveva convocato le parti sociali e le Regioni per discutere le misure anticrisi.
Questo e solo questo era l'ordine del giorno per il meeting a Palazzo Chigi di venerdì 23 gennaio. La discussione è durata pochi minuti. (...).
Le Regioni presenti al meeting di venerdì hanno obiettato al ministro dell'Economia che non avrebbero accolto le sue richieste se prima egli non avesse indicato quali erano le risorse che lo Stato metterà sul tavolo da parte sua e tutto è stato rinviato a giovedì prossimo.
A questo punto Epifani si è alzato ritenendo che la riunione fosse terminata ma ha constatato con stupore che tutti gli altri rappresentanti delle parti sociali (sindacati, commercianti, banchieri, cooperative, Confindustria) restavano seduti. Ha chiesto se c'erano altre questioni da esaminare. "Visto che siamo qui tutti" ha risposto Gianni Letta "utilizziamo l'incontro per discutere la riforma contrattuale".
La signora Marcegaglia a quel punto ha distribuito un documento sulla contrattazione privata e il ministro Brunetta ha distribuito un altro documento sulla contrattazione del pubblico impiego. Epifani ha chiesto 24 ore di tempo per l'esame dei due testi, preliminare alla discussione che ne sarebbe seguita.
Silenzio assoluto. "Debbo dedurre che i testi non sono emendabili?", ha domandato il segretario della Cgil. Ancora silenzio. A questo punto Epifani ha preso la via dell'uscio senza che alcuno lo trattenesse.
Mi spiace di non aver letto questo racconto sui giornali di ieri, eppure esso fa parte integrante dello "storico" incontro sulla riforma dei contratti ed è - diciamolo - abbastanza stupefacente.

Ma andiamo al merito di questa riforma che il maggior sindacato italiano non ha firmato.
E' vero che essa diminuisce l'importanza del contratto nazionale e rivaluta il contratto di secondo livello agganciandolo alla produttività. Ed è vero (come ha ricordato Enrico Letta sul "Corriere della Sera" di ieri) che questa rivalutazione é suggerita dalle mutazioni dell'economia post-industriale ed era già stata proposta dal governo Prodi. Quante buone cose aveva avviato il governo Prodi, vengono fuori un po' per volta e una ogni giorno; alla fine i suoi truci nemici di ieri gli faranno costruire un monumento in vita, magari a cavallo della sua bicicletta.
Basta. E' anche vero che la riforma prevede un'inflazione al tasso adottato dalla contabilità dell'Eurostat al netto delle importazioni di beni energetici. Questo punto di riferimento è probabilmente migliore dell'inflazione programmata usata finora nei contratti. Ma qui cessano le virtù della riforma. Vediamone i difetti.
1. Riformare i contratti e agganciarli alla produttività in una fase di recessione, licenziamenti, diminuzione produttiva è come costruire caloriferi all'Equatore e frigoriferi ai Poli. Ma, si obietta, almeno la riforma sarà già pronta quando la crescita riprenderà.
2. L'accordo firmato venerdì non è un vero accordo sindacale e infatti si chiama "linee guida". Documento di indirizzo. Dopo la sua approvazione saranno discusse le linee guida di area e infine si arriverà ai contratti nazionali di categoria veri e propri. Diciamo che la costruzione è alquanto barocca, le linee guida sono più o meno un altro scatolone come la legge delega sul federalismo. Ma da dove viene l'urgenza?
3. L'urgenza viene dal fatto che Confindustria e sindacati (assente la Cgil) avevano stabilito il valore del "punto" retributivo al quale applicare il tasso d'inflazione Eurostat per determinare l'ammontare dei contratti di categoria. Il valore di quel "punto" è inferiore a quello attualmente vigente e sul quale sono stati costruiti i contratti fino a questo momento: inferiore di un 15 per cento nella migliore delle ipotesi. Non so se Enrico Letta fosse al corrente di questo piccolo dettaglio. Forse non guarderebbe con tanto ottimismo all'accordo di venerdì scorso.
In sostanza l'operazione prevede una piattaforma al ribasso dei contratti nazionali, da recuperare nei contratti di secondo livello che saranno stipulati azienda per azienda, con esplicita esclusione di contratti di "filiera" riguardanti aziende di analoga struttura e produzione.
Poiché il 95 per cento delle imprese italiane sono di piccolissime dimensioni, ciò significa che per una moltitudine di lavoratori il contratto di secondo livello non ci sarà mentre il contratto nazionale di base partirà con una decurtazione notevole.
E' così che stanno le cose? Lo domando alla signora Marcegaglia e a Bonanni e Angeletti. Sarò lieto di essere smentito sulla base di fatti provati, ma se così è, a me sembra scandaloso.

Il commento di E. Scalfari
Fonte: http://www.repubblica.it

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