Il ministero corregge le indicazioni per le ispezioni
Non è decisivo l'uso di mezzi o strutture del committente
Non è decisivo l'uso di mezzi o strutture del committente
Per il contratto a progetto con i call center, dopo varie circolari e la direttiva del 18 settembre scorso, arrivano ulteriori chiarimenti dal Ministero del Lavoro.
Con la circolare n. 25/17286 di ieri, il ministero del Lavoro risponde ad un quesito dell’Inps e chiarisce la posizione sui contratti a progetto, con particolare riferimento per quelli aventi per oggetto l’attività nei call center. Sul punto il Lavoro ricorda di essersi già espresso con le circolari n. 1 dell’8 gennaio 2004, n. 17 del 14 gennaio 2006, n. 4 del 29 gennaio 2008 e, da ultimo, con la direttiva del 18 settembre scorso.
Dal punto di vista operativo, il ministero chiarisce in primo luogo che l’accertamento ispettivo, riguardante i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, in qualsiasi modalità, anche a progetto, e le associazioni in partecipazione con apporto di lavoro, dovrà concentrarsi “esclusivamente” verso quelli che non siano stati già sottoposti al vaglio della commissione per la certificazione dell’articolo 76 del decreto legislativo 276/2003, salvo che non si evidenzi una palese incongruenza tra il contratto certificato e le modalità concrete di esecuzione della prestazione. In quest’ultima ipotesi saranno utili le dichiarazioni rese dai lavoratori interessati e tutti gli altri elementi che possano essere utilmente valutati ai fini della corretta qualificazione del rapporto di lavoro, tenendo conto delle richiamate circolari, ma senza dare rilevanza all’elencazione di attività e delle preclusioni contenute nella circolare 4/2008. Peraltro, con riferimento a tali esclusioni la questione era stata già trattata dalla direttiva di settembre, in quanto ritenute complessivamente non coerenti con impianto e finalità della legge Biagi.
Nel reprimere il fenomeno delle collaborazioni fittizie, la nota ministeriale richiama l’attenzione dell’ispettore a non adottare il principio della “presunzione di subordinazione” per determinare le tipologie di attività: questo principio, infatti, - riferisce la nota ministeriale – risulta chiaramente in contrasto con il decreto 276, ma anche con il consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza secondo cui ogni attività umana suscettibile di valutazione economica può essere resa in forma autonoma o subordinata, mentre decisivo è il requisito essenziale della subordinazione.
Quindi, là dove non sia presente l’elemento essenziale della subordinazione, anche i collaboratori che svolgono attività di promozione, vendita, sondaggi e campagne pubblicitarie in genere possono, anzi “devono” essere considerati lavoratori autonomi. Ne deriva anche che il collaboratore, impiegato in attività di call center “out bound”, è un prestatore di lavoro autonomo, ancorché coordinato e continuativo in base all’art. 409, n. 3, del Codice di procedura civile, quando svolge la prestazione in autonomia e cioè può liberamente prefigurare il contenuto della propria prestazione sulla base del risultato oggettivamente individuato dalle parti con il contratto di lavoro.
Non sono pertanto di per sé suscettibili di far disconoscere la natura autonoma del rapporto, ad esempio: l’utilizzo esclusivo di mezzi, materiali, e strumenti del committente; l’utilizzo di sistemi di chiamata in automatico, che necessariamente forniscono indicazioni al sistema informativo del committente circa la presenza del collaboratore e che mettono in comunicazione il collaboratore resosi in quel momento disponibile con l’utente telefonico; la prestazione eseguita all’interno della struttura del committente necessariamente soggetta ad un orario di apertura e chiusura, pur non essendovi il collaboratore vincolato; le istruzioni di massima fornite dal committente.
Con la circolare n. 25/17286 di ieri, il ministero del Lavoro risponde ad un quesito dell’Inps e chiarisce la posizione sui contratti a progetto, con particolare riferimento per quelli aventi per oggetto l’attività nei call center. Sul punto il Lavoro ricorda di essersi già espresso con le circolari n. 1 dell’8 gennaio 2004, n. 17 del 14 gennaio 2006, n. 4 del 29 gennaio 2008 e, da ultimo, con la direttiva del 18 settembre scorso.
Dal punto di vista operativo, il ministero chiarisce in primo luogo che l’accertamento ispettivo, riguardante i contratti di collaborazione coordinata e continuativa, in qualsiasi modalità, anche a progetto, e le associazioni in partecipazione con apporto di lavoro, dovrà concentrarsi “esclusivamente” verso quelli che non siano stati già sottoposti al vaglio della commissione per la certificazione dell’articolo 76 del decreto legislativo 276/2003, salvo che non si evidenzi una palese incongruenza tra il contratto certificato e le modalità concrete di esecuzione della prestazione. In quest’ultima ipotesi saranno utili le dichiarazioni rese dai lavoratori interessati e tutti gli altri elementi che possano essere utilmente valutati ai fini della corretta qualificazione del rapporto di lavoro, tenendo conto delle richiamate circolari, ma senza dare rilevanza all’elencazione di attività e delle preclusioni contenute nella circolare 4/2008. Peraltro, con riferimento a tali esclusioni la questione era stata già trattata dalla direttiva di settembre, in quanto ritenute complessivamente non coerenti con impianto e finalità della legge Biagi.
Nel reprimere il fenomeno delle collaborazioni fittizie, la nota ministeriale richiama l’attenzione dell’ispettore a non adottare il principio della “presunzione di subordinazione” per determinare le tipologie di attività: questo principio, infatti, - riferisce la nota ministeriale – risulta chiaramente in contrasto con il decreto 276, ma anche con il consolidato indirizzo interpretativo della giurisprudenza secondo cui ogni attività umana suscettibile di valutazione economica può essere resa in forma autonoma o subordinata, mentre decisivo è il requisito essenziale della subordinazione.
Quindi, là dove non sia presente l’elemento essenziale della subordinazione, anche i collaboratori che svolgono attività di promozione, vendita, sondaggi e campagne pubblicitarie in genere possono, anzi “devono” essere considerati lavoratori autonomi. Ne deriva anche che il collaboratore, impiegato in attività di call center “out bound”, è un prestatore di lavoro autonomo, ancorché coordinato e continuativo in base all’art. 409, n. 3, del Codice di procedura civile, quando svolge la prestazione in autonomia e cioè può liberamente prefigurare il contenuto della propria prestazione sulla base del risultato oggettivamente individuato dalle parti con il contratto di lavoro.
Non sono pertanto di per sé suscettibili di far disconoscere la natura autonoma del rapporto, ad esempio: l’utilizzo esclusivo di mezzi, materiali, e strumenti del committente; l’utilizzo di sistemi di chiamata in automatico, che necessariamente forniscono indicazioni al sistema informativo del committente circa la presenza del collaboratore e che mettono in comunicazione il collaboratore resosi in quel momento disponibile con l’utente telefonico; la prestazione eseguita all’interno della struttura del committente necessariamente soggetta ad un orario di apertura e chiusura, pur non essendovi il collaboratore vincolato; le istruzioni di massima fornite dal committente.
Luigi Caiazza
Fonte: Il Sole 24 Ore, 04.12.08, p. 35
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